Jimmy Carter, storia di un Presidente rinato: dal disastro in Iran al Nobel per la Pace

Al termine del mandato da Presidente degli Stati Uniti, Jimmy Carter è rinato, divenendo una figura cruciale nella lotta per i diritti umani

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Luca Incoronato

Giornalista

Giornalista pubblicista e copywriter, ha accumulato esperienze in TV, redazioni giornalistiche fisiche e online, così come in TV, come autore, giornalista e copywriter. È esperto in materie economiche.

Jimmy Carter è stato il 39° Presidente degli Stati Uniti d’America, in carica dal 1977 al 1981. Un mandato a dir poco complesso, il suo, segnato in maniera irreversibile dalla crisi dei 53 ostaggi americani in Iran. Il tempo gli è però stato clemente e, anni dopo, il suo Paese e il mondo gli hanno riconosciuto gli onori meritati.

La crisi di Teheran

Per molto tempo il giudizio sull’operato del Presidente Jimmy Carter è stato inficiato dalle critiche connesse all’arco conclusivo del suo mandato alla Casa Bianca. La sua sconfitta con Reagan fu netta, accusato nel 1980 dal suo popolo d’aver fallito nel risollevare l’economia del Paese.

L’opinione pubblica fu però senza dubbio deviata da quanto accaduto in Iran, con il disastroso intervento per tentare di salvare i 53 ostaggi americani presso l’ambasciata di Teheran.

Era il 24 aprile 1980 e le forze speciali americane tentarono di liberare 53 cittadini americani, ostaggi presso l’ambasciata statunitense di Teheran. Il regime iraniano ne fece dei prigionieri, minacciandone la vita per mesi.

Tutto ebbe inizio a gennaio 1979 con una rivoluzione che rovesciò il governo dello scià Mohammad Reza Pahlavi, al governo fin dal colpo di Stato del 1953. Si instaurò un regime particolarmente ostile agli USA, rei d’aver poi offerto asilo allo scià fuggiasco, ufficialmente per ricevere cure mediche.

Ebbe così inizio una dura protesta in Iran, che il 4 novembre portò centinaia di persone ad assaltare l’ambasciata americana. Fu così che molti dipendenti vennero affidati alle forze del regime.

Il disastro Eagle Claw

Il Presidente Carter tentò di far valere le proprie capacità diplomatiche, dando la precedenza al benessere dei cittadini americani. Le trattative proseguirono per mesi e, alla fine, si rivelarono inconcludenti. Tra marzo e aprile 1980, con quasi metà anno trascorso e il traguardo ancora distante, si decide di autorizzare un’operazione militare. A spingere in tale direzione furono di certo anche le imminenti elezioni di novembre.

Una mossa politica in pieno stile, che portò a un clamoroso disastro. Da capire come l’esercito USA fosse al tempo ben diverso da quello che conosciamo oggi. Decisamente poco preparato nel condurre operazioni delicate in territorio nemico, che non comprendessero il dispiego della forza bruta a ogni costo.

L’operazione venne denominata Eagle Claw, prima del suo genere. Tanti gli elementi che avrebbero dovuto incastrarsi alla perfezione. Pochissimo margine di errore, ma tutto andò all’aria fin da subito. Dall’autocisterna di un contrabbandiere fatta saltare in aria al passaggio di un autobus colmo di persone. Il percorso desertico non era così isolato come si sperava alla Casa Bianca. Come se non bastasse, si registrarono guasti agli elicotteri impiegati. Il risultato? Gli ostaggi vennero liberati un anno dopo, al termine di complesse e sacrificate trattative diplomatiche.

La rinascita di Jimmy Carter

Come detto, però, il tempo ha contribuito a modificare l’impatto della figura del Presidente Jimmy Carter sul pubblico, tanto americano quanto globale. Si può dire, senza timore d’essere smentiti, come la storia lo abbia rivalutato.

È divenuto un personaggio legato a doppio filo al processo di pace in Medio Oriente, schierandosi inoltre su fronti come l’ambientalismo e la difesa dei diritti umani. Nel 2002 ha ricevuto il premio Nobel per la pace, offertogli con la seguente motivazione: “Impegnato in risoluzioni atte a prevenire conflitti in svariati continenti. Ha mostrato un impegno straordinario in favore dei diritti umani, svolgendo un ruolo di osservatore in innumerevoli elezioni nel mondo”.

Nello stesso anno del Nobel ha inoltre pubblicato un articolo ormai storico sul National Geographic. Un testo suddiviso in quattro parti e incentrato sulle sfide che l’umanità si sarebbe ritrovata a fronteggiare nel XXI secolo.

Un modo per gettare luce su argomenti cardine del nostro futuro immediato: “Le decisioni che prenderemo nei prossimi decenni avranno un impatto sull’intera civiltà umana e non solo, anche sul destino di migliaia di specie che rappresentano milioni di anni di evoluzione”.