Pensioni più basse per gli autonomi, quanto potrebbero realmente prendere

Secondo lo studio di Confcommercio Professioni, gli autonomi rischiano di percepire solo il 40% del loro reddito come pensione

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Claudio Cafarelli

Giornalista e content manager

Giornalista pubblicista laureato in economia, appassionato di SEO e ricerca di trend, content manager per agenzie italiane e straniere

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Negli ultimi dieci anni, il numero dei lavoratori autonomi iscritti alla Gestione Separata Inps è aumentato del 68%, secondo lo studio presentato da Confcommercio Professioni a Roma. Oggi si contano 544 mila soggetti, tra consulenti, designer, formatori, professionisti ICT, amministratori di condominio, wedding planner e content creator. Le donne sono in forte crescita: +91% dal 2015 e rappresentano ormai quasi la metà del totale. Dietro questi numeri positivi, però, si nasconde una criticità strutturale. Le simulazioni previdenziali condotte da Confcommercio indicano che un lavoratore autonomo che inizia a versare contributi a 30 anni e va in pensione a 67, potrà contare su un assegno pari a meno della metà dell’ultimo reddito.

Un tasso di sostituzione sotto il 45%

Il tasso di sostituzione, cioè il rapporto tra la pensione e l’ultimo reddito percepito, è il principale indicatore del divario previdenziale. Per gli autonomi della Gestione Separata, il tasso lordo si ferma al 45-46%, mentre quello netto scende al 40% per i redditi medi. Chi inizia a contribuire più tardi, ad esempio a 35 anni, può arrivare ad avere un assegno compreso tra il 37% e il 41% del reddito finale.

Ciò significa che, a parità di guadagni, gli autonomi percepiranno una pensione molto più bassa rispetto ai lavoratori dipendenti. Il sistema contributivo puro, introdotto nel 1996, penalizza chi ha carriere discontinue e redditi variabili, due condizioni molto comuni tra i liberi professionisti.

Quanto prenderanno in media gli autonomi

Nel 2024, il reddito medio dei lavoratori autonomi in Italia si è attestato intorno ai 75.710 euro lordi annui, secondo le elaborazioni su dati Inps e Istat. Applicando il tasso di sostituzione medio del 40%, la pensione teorica annua si collocherebbe attorno ai 30.000 euro, pari a circa 2.300 euro al mese lordi, circa 1600 euro netti.

Chi ha redditi più bassi vedrà importi proporzionalmente inferiori: per un reddito annuo di 40.000 euro, la pensione netta stimata si ridurrebbe a circa 16.000 euro l’anno, cioè poco più di 1.300 euro al mese.

Cosa succede se si lavora per 20 anni

Considerando la situazione lavorativa in Italia, ipotizziamo che un autonomo abbia 67 anni e abbia lavorato per 20 anni versando regolarmente i contributi nella Gestione Separata con un reddito medio di 75.710 euro annui. Si troverebbe in una condizione ancora più penalizzante. Considerando l’attuale aliquota del 26,07%, in due decenni accumulerebbe circa 394.000 euro di contributi complessivi. Applicando il coefficiente di trasformazione del 5,723% previsto a 67 anni, l’assegno pensionistico ammonterebbe a circa 22.500 euro lordi all’anno, pari a 1.350 euro netti al mese.

In termini di tasso di sostituzione, ciò corrisponde a circa il 30% del reddito percepito durante la carriera. Un livello che mostra chiaramente quanto la durata della contribuzione incida sull’importo finale della pensione.

Oltre all’importo della pensione, i professionisti iscritti alla Gestione Separata devono fare i conti con prestazioni di welfare ridotte rispetto ai contributi versati. Per questo, Confcommercio sta promuovendo strumenti di previdenza complementare, come l’estensione del fondo Fon.te, su base volontaria, anche a imprenditori autonomi e liberi professionisti. L’obiettivo è costruire una seconda pensione capace di integrare quella pubblica e garantire maggiore stabilità economica.

Simulazione pensione lavoratori autonomi (20 anni di contributi)
Reddito medio annuo Pensione annua stimata Pensione mensile stimata
€ 40.000 € 12.000 € 1.000
€ 60.000 € 18.000 € 1.500
€ 75.710 € 22.500 € 1.350
€ 100.000 € 30.000 € 1.750