Manovra, nel 2025 le pensioni minime aumentate a 621 euro

La Manovra 2025 aumenta, seppur di poco, le pensioni minime che arriverebbero a 620,92 euro: 2,7% la crescita, + 1% di adeguamento all’inflazione.

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Riccardo Castrichini

Giornalista

Nato a Latina nel 1991, è laureato in Economia e Marketing e ha un Master in Radio, Tv e Web Content. Ha collaborato con molte redazioni e radio.

Pubblicato: 22 Ottobre 2024 19:50

Sono giorni di grande agitazione per il governo di Giorgia Meloni e per tutti i partiti della maggioranza, chiamati a trovare la quadra del testo della Manovra 2025 che dovrà poi essere approvato dalle Camere del Parlamento. Tra indiscrezioni e conferme si sta facendo sempre più spazio l’ipotesi di un intervento sulle pensioni minime 2025 – fortemente spinto da Forza Italia – le quali potrebbero essere aumentate del 2,7% rispetto al trattamento minimo prima della maggiorazione, che si ricorda essere pari a 598,61 euro, e dell’1% rispetto all’inflazione. Fatti i dovuti calcoli, il valore dell’assegno minimo dovrebbe dunque arrivare a 620,92 euro, mentre ora è 614,77.

Pensioni minime, gli interventi in Manovra

Fin qui l’ipotesi di un rialzo delle pensioni minime nella Manovra 2025 ha rappresentato soltanto una possibilità, mentre sembra che ora i partiti di maggioranza stiano lavorando concretamente a trovare una quadra per migliorare – seppur di poco va detto – l’assegno dei pensionati.

Con l’aumento delle pensioni minime descritto, l’assegno arriverebbe a toccare quota 620,92 euro, ovvero circa 6 euro in più al mese rispetto allo stato attuale. A beneficiare dell’intervento sarebbero 1,8 milioni di persone, che potrebbero così contare sull’annunciato e confermato aumento del 2,7% per il 2025 e sull’incremento dato dall’inflazione (1% al momento). In questo modo, come è facile intuire, i pensionati manterrebbero l’aumento dello scorso anno e non rischierebbero di vedersi ridotto l’assegno, oltre a recuperare l’inflazione.

I fondi integrativi per la pensione

Sempre in tema pensionistico, nella Manovra 2025 dovrebbe essere introdotta la possibilità di utilizzare i fondi integrativi alimentati con il Tfr per permettere a coloro che non hanno raggiunto l’importo dell’assegno sociale con il sistema contributivo di andare in pensione di vecchiaia a 67 anni.

Tale intervento dovrebbe rivolgersi a chi ha versato contributi solo a partire dal 1996 ed è, per questo, interamente nel calcolo contributivo. La stima è che ci siano poche persone in questa condizione visto che chi ha stipendi più bassi tende con meno frequenza a iscriversi alla previdenza integrativa.

Sarebbe invece definitivamente tramontata l’ipotesi per i lavoratori di utilizzare il Tfr versato nei fondi pensione per anticipare la pensione a 64 anni.

Le altre misure in Manovra sulle pensioni

Come noto, a fine 2024 cesseranno di esistere molti sistemi agevolativi sulle pensioni, come il sistema delle Quote che fin qui abbiamo conosciuto. Al dato pratico vuol dire tornare alla Legge Fornero e ai suoi meno agevolativi dettami per poter cessare di lavorare. Per scongiurare, almeno in parte, che questa ipotesi possa verificarsi, il governo di Giorgia Meloni sarebbe pronto a confermare nella Legge di Bilancio l’Ape Sociale, Opzione Donna e Quota 103.

L’attenzione maggiore dei cittadini è proprio a quest’ultima misura che, pur venendo confermata, subirà una stretta vigorosa sulle regole. Entrando più nello specifico, è previsto il calcolo interamente contributivo per l’assegno, così come il limite di quattro volte il trattamento minimo fino all’arrivo all’età di vecchiaia e l’allungamento delle finestre mobili. Il risultato è un brusco calo delle richieste.

Gli incentivi per chi resta a lavoro

Come noto l’esecutivo Meloni ha studiato un fitto sistema di incentivi per tutti coloro che, pur avendone diritto, decidono di ritardare la pensione e continuare a lavorare.

Sono nello specifico stati decisi degli incentivi fiscali per chi rimanda l’uscita dal lavoro pur avendo i requisiti previsti per la pensione anticipata con Quota 103. In busta paga, infatti, potrà finire la quota di contributi a carico del dipendente – il 9,19% – con l’assegno pensionistico che terrà conto di quanto non versato.