Cresce sempre di più la consapevolezza dei lavoratori italiani sul welfare aziendale. Il 7° Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale presentato il 21 febbraio a Roma restituisce una fotografia nitida: i lavoratori in Italia sono sempre di più, e tra loro aumentano conoscenza e apprezzamento nei confronti di tutti gli strumenti utili al benessere aziendale. Ma il Rapporto si inserisce in una fase storica del mercato del lavoro italiano contraddistinta da un paradosso inedito: il record di occupati, un trend di creazione di lavori più stabili e una maggiore presenza di donne nel mondo lavoro convivono con una diffusa disaffezione al lavoro.
Il Rapporto, realizzato in collaborazione con Eudaimon, leader nei servizi per il welfare aziendale, con il contributo di Credem, Edison, Michelin e OVS, evidenzia come, nel 2022, sia stato segnato il dato più alto di sempre di occupati, con ben 23,1 milioni, facendo schizzare la crescita al +3,5% rispetto al 2012. In 10 anni il tasso di occupazione è passato, tra 2012 e 2022, dal 56,1% al 60,1%, con incrementi percentuali sia per gli uomini – dal 65,5% al 69,2% – sia per le donne – dal 46,8% al 51,1% -.
I salari fermi e erosi dall’inflazione crescente di questi ultimi anni hanno anche innescato un cambiamento culturale: oggi gli italiani sono più attenti al welfare aziendale, cioè a tutti quei benefit e prestazioni erogati dai datori di lavoro, come buoni pasto per fare la spesa, voucher asilo, abbonamenti in palestra, sconti vari con partner e così via.
Mentre interi settori occupazionali hanno difficoltà a trovare personale, gli italiani, in particolare i giovani, nella scelta del lavoro tengono sempre più conto delle proprie esigenze di benessere e più alta qualità della vita, spingendo le aziende a offrire, oltre a retribuzioni e carriere allettanti, ulteriori benefici, a cominciare da tempi di lavoro più facilmente conciliabili con la vita privata, soprattutto (ma non solo) familiare.
Indice
Più occupati, più lavoro stabile, più donne
Gli occupati in Italia al 2022 sono 23,1 milioni: il dato più alto di sempre. Le donne sono il 42,2%: erano il 41,7 nel 2012. Il tasso di occupazione è passato tra 2012 e 2022 dal 56,1% al 60,1%. Il gap nel tasso di occupazione tra uomini e donne si è ridotto di 0,6 punti percentuali. Ridotta la presenza dei 15-34enni (-6,5%) e dei 35-49enni (-14,7%), decollata quella dei 50-64enni (+40,7%) e degli over 64enni (+66,2%).
Non solo. Oltre alle donne cresce anche il lavoro stabile: nel confronto relativo al III trimestre del 2019 con quello del 2023 si registrano +595 mila dipendenti, con +738 mila permanenti e -143 mila a termine. Sono diminuiti di 207 mila unità gli indipendenti. Tradotto: +5% di permanenti e -4,5% di dipendenti a termine.
Ancora troppe disparità di genere
Il tasso di occupazione dei maschi con figli è pari all’89,3%, quello dei maschi senza figli al 76,7%. Per le donne senza figli è pari al 66,3% e per quelle con figli al 58,6%. Il divario tra il tasso di occupazione delle donne con figli e quello degli uomini con figli in termini di punti percentuali è pari in Italia a -30,7. Giusto per avere un paragone, in Germania è -17,4, in Francia -14,4, in Spagna -19 e in Grecia -29.
L’arrivo dei figli – volenti o nolenti – rilancia il modello tradizionale di famiglia con quell’antica divisione per genere dei compiti, spiega il Censis. Il tasso di occupazione femminile resta basso: per le donne con figli in Italia è pari al 58,6%, lontano dal 75,4% della Germania, dal 76,7% della Francia e inferiore anche ai valori di Grecia (62,6%) e Spagna (70,4%). Per le donne senza figli, in Italia è pari al 66,3%, di contro all’86,7% in Germania, all’81,8% in Francia, al 75,6% in Spagna e al 67,6% in Grecia.
La conciliazione tra lavoro e figli rimane dunque difficilissima. Le dimissioni e risoluzioni consensuali di lavoratori genitori erano 39.738 nel 2017 e sono salite a oltre 61 mila nel 2022. Nel 2022 le madri sono state 44,7 mila e i padri 16,7 mila. Il 41,7% delle madri, contro al 2,8% dei padri, si è dimesso per difficoltà a conciliare il lavoro con la cura dei figli, data la carenza dei servizi di cura. Il 21,9% delle madri e il 4,3% dei padri sempre per difficoltà nel conciliare lavoro e cura dei figli per ragioni legate all’azienda in cui lavorano.
Corsa da un lavoro a un altro, ma non è una fuga
Le dimissioni dal lavoro registrano -5,8% nel quarto trimestre 2022 e -3,4%, -2,9% e -1,8% nei primi tre trimestri del 2023. Ciò significa che l’onda alta delle dimissioni con + 33,6% tra 2020 e 2021 e + 14% tra 2021 e 2022 sta rapidamente scendendo.
I dati Inps segnalano che su 2,1 milioni di cessazioni di lavoro dipendente privato (esclusi gli operai agricoli e i lavoratori domestici) per dimissioni, 1,2 milioni erano relativi a rapporti di lavoro a tempo indeterminato (+26% rispetto al 2019). E il tasso di ricollocazione a 3 mesi dei dimessi volontari con meno di 60 anni è stato pari al 67%, più alto rispetto agli anni precedenti. È in atto una corsa da un lavoro all’altro, piuttosto che una fuga dal lavoro.
Perché tutta questa insoddisfazione? Le crescente disaffezione al lavoro degli italiani ha cause lontane. Retribuzioni inadeguate, mansioni sbilanciate rispetto a titoli di studio e/o competenze e minaccia di perdere il lavoro a causa delle nuove tecnologie: queste le ragioni profonde.
Per il 62% degli occupati la retribuzione da lavoro non consente di realizzare le proprie ambizioni. C’è poi anche una frustrazione latente trasversale ai lavoratori, visto che il 43,3% ritiene di svolgere un lavoro inadeguato al titolo di studio e/o alle competenze. Inoltre, il 29,7% dei lavoratori ritiene di rischiare il licenziamento perché il proprio lavoro in futuro potrà essere svolto dalle nuove tecnologie, con lo spauracchio Intelligenza Artificiale in testa.
Priorità: lavorare meno
La priorità evidente è lavorare meno. Il 67,7% degli occupati in futuro vorrebbe ridurre il tempo dedicato all’attività lavorativa: lo vorrebbe fare il 65,5% dei giovani, il 66,9% degli adulti ed il 69,6% degli over 50enni. E il 68,4% dei dirigenti, il 71,2% degli impiegati e il 68,4% degli operai.
Già oggi il 30,5% degli occupati (il 34,7% tra i giovani) dichiara di impegnarsi nel lavoro lo stretto necessario, rifiutando gli straordinari, non accettando chiamate o mail fuori dall’orario di lavoro ed eseguendo solo quel che gli compete per mansione.
Anche i sindacati, proprio in questi giorni, sono tornati a sostenere la richiesta di aumenti salariali oltre che la riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore.
Welfare aziendale, mai più senza
A tutto questo si collega una maggiore presa di coscienza della necessità di avere un welfare aziendale solido. Oggi l’81,8% degli occupati dichiara di sapere cosa sia il welfare aziendale, in particolare il 32,7% in modo preciso e il 49,1% per grandi linee, mentre solo il 18,2% dichiara di non sapere cosa sia. Se nel 2018 solo il 19,6% conosceva bene questo strumento, ora la percentuale è cresciuta del 67%. Di conseguenza, cresce anche la percentuale di chi lo conosce (+21%), e crolla quella di chi non lo conosce per nulla: 6 anni fa era addirittura del 39,8% mentre ora si è più che dimezzata con un calo del 54%.
Questa crescente consapevolezza rispetto al welfare aziendale arriva in realtà da lontano: dal 2016 per la precisione, quando la Legge di Stabilità lo ha trasformato in uno degli strumenti più efficaci per integrare i redditi dei lavoratori, da troppo tempo fermi o comunque segnati da un ritmo di crescita molto lento.
“Conoscenza e apprezzamento sono segnali incoraggianti, sintomi di un fenomeno in costante diffusione e ormai consolidato, soprattutto come conseguenza di esigenze socio-politiche negli ultimi anni – spiega Alberto Perfumo, fondatore e Amministratore Delegato di Eudaimon –. Ciò che senza dubbio emerge dal Rapporto è la necessità di un salto culturale del welfare aziendale, che poi è la riscoperta della sua identità, per cogliere le sfide del momento e rispondere efficacemente ai bisogni di aziende e lavoratori”.
Oggi sempre più aziende, soprattutto quelle grandi, stanno optando per vantaggi extra per i propri dipendenti, come premi di produzione e agevolazioni.
Come cambierà il welfare: personalizzazione e ascolto dei bisogni
Le sfide sono quelle di un mercato del lavoro sempre più competitivo, “ma con sempre meno mezzi per giocare la partita dell’attraction e della retention”. I bisogni sono quelli di un maggior ascolto, riconoscimento e attenzione da parte delle aziende al benessere dei dipendenti. “Entrambi sono consapevoli che il welfare aziendale, oltre alle ormai consolidate ma fuorvianti finalità retributive, possa contribuire concretamente al benessere dei lavoratori attraverso un approccio nuovo, individuale, attivo, che superi l’obsoleto approccio riparativo o rivolto solo a lavoratori in difficoltà, e che invece migliori la qualità della vita di tutti”.
Ma c’è di più. Tra chi conosce gli strumenti e gli aiuti in azienda, ben l’84,3% vorrebbe che venissero potenziati. Tra coloro che non ne beneficiano, l’83,8% vorrebbe fosse introdotto nella propria azienda. L’apprezzamento arriva al punto che il 79,5% degli occupati vedrebbe con favore un aumento retributivo sotto forma di una o più prestazioni di welfare. I lavoratori guardano anche alla sua evoluzione e l’89,2% degli occupati vorrebbe la personalizzazione del welfare aziendale, con offerte modulate sulle singole esigenze di ciascuno.
In particolare, la personalizzazione del welfare implicherebbe un dialogo costante e diretto tra lavoratore azienda, per far emergere bisogni, desideri e aspettative da un lato e possibili soluzioni dall’altro. Per questo i lavoratori sono sempre più disaffezionati al lavoro, chiedono di essere ascoltati (89%) e reclamano più attenzione alla qualità della loro vita (61%).
Il 72,4% apprezzerebbe proprio un consulente per il welfare che li supportasse nell’affrontare eventuali problemi con la sanità, la previdenza, la scuola dei figli, ecc. Un altro desiderio riguarda la semplificazione: il 79,3% vorrebbe che i servizi di welfare aziendale fossero accessibili e gestibili tramite app su smartphone perché ne faciliterebbe l’utilizzo.