Rinnovabili, perché in Italia 9 progetti su 10 rimangono bloccati anni

Per raggiungere gli obiettivi 2030 nel contesto della transizione ecologica, è imperativo abbandonare l'approccio cauto e passare a una strategia più incisiva

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Matteo Paolini

Giornalista green

Nel 2012 ottiene l’iscrizione all’Albo dei giornalisti pubblicisti. Dal 2015 lavora come giornalista freelance occupandosi di tematiche ambientali.

Per l’eolico, il processo di autorizzazione si protrae per oltre tre anni e mezzo, precisamente 43 mesi, sia nel 2023 che nella media del periodo 2019-2022. Tuttavia, solamente l’8% dei progetti ha ricevuto l’autorizzazione, mentre più del 90% attende ancora una risposta definitiva. Nel caso del solare, i tempi per il cosiddetto “permitting” sono più rapidi, ma si sono comunque allungati, passando da una media di 17 mesi tra il 2019 e il 2022 a 22 mesi nel 2023, con un tasso di autorizzazione al 16%.

Questo allungamento dei tempi è attribuibile, almeno in parte, all’aumento dei progetti da valutare: 65 gigawatt per il solare e 36 gigawatt per l’eolico. I dati, elaborati dall’Osservatorio REgions2030 (progetto di Elemens e Public Affairs Advisors) per il Corriere, evidenziano una situazione ben nota agli addetti ai lavori. Tommaso Barbetti, founding partner di Elemens, spiega che dopo il 2013 la crescita delle installazioni ha subito un rallentamento, prima a causa della fine del Conto Energia che forniva incentivi generosi, e successivamente a causa dell’impasse nei permessi, dovuto all’interesse rinnovato degli operatori che, raggiunta la competitività delle rinnovabili, hanno ripreso a pianificare investimenti.

Nonostante la transizione ecologica in corso, è essenziale superare gli ostacoli attuali se vogliamo raggiungere gli obiettivi fissati per il 2030. Altrimenti, rischiamo di compromettere il nostro impegno per una transizione sostenibile.

Italia, indietro sugli obiettivi rinnovabili: serve un’accelerazione

Attualmente, il livello di copertura di consumi finali lordi di energia rinnovabile è inferiore agli obiettivi nazionali, indicando una discrepanza significativa. Nel settore elettrico, la quota proveniente da fonti green nel 2021 si attesta al 36%, sottostando al dato preventivato del 37,5%. Nel settore termico, la percentuale è del 19,7%, al di sotto del target del 22,1%, mentre nei trasporti si registra un 8,2%, rispetto all’obiettivo del 9,9%.

I nuovi obiettivi, secondo il documento “Le fonti rinnovabili” del Servizio Studi della Camera dei Deputati datato agosto 2023, sono fissati al 55% per l’elettrico, al 33,9% per il termico e al 22% per i trasporti. La proposta di aggiornamento del Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec), presentata a Bruxelles dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, sottolinea la necessità di una maggiore adozione di fonti pulite come sole e vento, già oggi disponibili e competitive.

Secondo il Pniec, entro il 2030, il fotovoltaico (attualmente con 28,1 Gw installati) e l’eolico (12,3 Gw) devono crescere rispettivamente di altri 55 gigawatt e 16,3 Gw di potenza. Questo implica la necessità di aggiungere quasi 8 Gw di energia solare e 2,3 Gw di energia eolica ogni anno. Il documento della Camera sottolinea la pressante esigenza di un’accelerazione per raggiungere gli ambiziosi traguardi posti.

Due strade per accelerare lo sviluppo delle rinnovabili

Le vie da percorrere per superare gli ostacoli nel settore delle energie rinnovabili sono principalmente due: semplificazioni nell’iter autorizzativo e l’individuazione delle cosiddette “aree idonee” nelle regioni. Il presidente di Elettricità Futura, Agostino Re Rebaudengo, afferma che, sebbene la burocrazia autorizzativa sia stata parzialmente semplificata, il problema reale risiede nel fatto che le Regioni continuano a negare le autorizzazioni, annullando gli sforzi di semplificazione del governo.

La situazione è ulteriormente complicata dal fatto che numerosi interventi di semplificazione, seppur lodevoli nell’intento, distribuiti in diverse normative, hanno contribuito a creare un quadro complesso. Ciò ha spesso avuto l’effetto contrario a quello desiderato, con casi in cui non è chiaro quale procedimento seguire. Urgentemente necessario è dunque un riordino delle disposizioni e la costruzione di un quadro chiaro per il permitting delle diverse tipologie di impianti. La chiarezza normativa e le semplificazioni sono essenziali per garantire una transizione efficace verso un futuro sostenibile nel settore delle energie rinnovabili.

Decreto Aree idonee: tempi lunghi e limiti troppo stringenti

Dopo una lunga attesa dell’industria del settore, è stato elaborato il decreto “Aree Idonee” dal Mase in collaborazione con i ministeri dell’Agricoltura e della Cultura. Il documento stabilisce i criteri per definire un’area come idonea e fissa gli obiettivi minimi, intermedi e finali che ciascuna Regione e Provincia autonoma devono raggiungere. La Sicilia, tra le Regioni più efficienti nella concessione o negazione delle autorizzazioni, guida la lista con l’obiettivo di installare 10,3 GW, seguita dalla Lombardia con 8,6 GW e la Puglia con 7,2 GW, e così via.

Una prima bozza del decreto è stata valutata alla Conferenza Stato-Regioni, ma molte associazioni del settore hanno subito sollevato grandi dubbi e proposto alcune modifiche “strettamente necessarie”. Secondo le previsioni sarà approvato a inizio 2024, seguirà un periodo di 180 giorni durante i quali le regioni devono identificare le aree idonee. L’applicazione esecutiva sarebbe prevista verso la fine del 2024.

Tuttavia, nonostante il processo apparentemente in corso, il testo del decreto non convince gli operatori del settore. Le critiche si concentrano sui limiti delle aree idonee, ritenuti eccessivi dagli addetti ai lavori.

Il Decreto e il rischio di bloccare lo sviluppo delle energie rinnovabili in Italia

Re Rebaudengo, afferma che, in assenza di correttivi, il decreto attuale ostacolerà lo sviluppo delle energie rinnovabili e della filiera industriale in Italia. Tale ostacolo comporterebbe anche la fermata di investimenti stimati a 320 miliardi di euro, rendendo irrealizzabile il raggiungimento del target nazionale di decarbonizzazione.

Paradossalmente, il principale problema del decreto risiede nelle “aree normali,” ovvero quelle che non sono né idonee né non idonee. Secondo Barbetti, il decreto stabilisce criteri dimensionali per queste aree, affermando che per realizzare impianti fotovoltaici standard sarà necessario disporre di terreni con una dimensione almeno dieci volte superiore a quella occupata dall’impianto. A meno che non si preveda la realizzazione di impianti di agrivoltaico avanzato, mantenere questi criteri renderebbe impossibile la realizzazione di impianti solari al di fuori delle aree idonee, poiché richiederebbe l’acquisto o l’affitto di superfici enormi. Un dilemma che solleva preoccupazioni significative per il futuro delle energie rinnovabili in Italia.

Governatori del Sud frenano lo sviluppo del fotovoltaico

Il presidente della Regione Siciliana, Renato Schifani, leader di uno degli enti regionali più virtuosi in termini di tempi e autorizzazioni per gli impianti solari, ha inaugurato il “fronte del No” nel Sud Italia. In primavera, ha minacciato di fermare lo sviluppo del fotovoltaico, affermando che tale settore non porta lavoro né generi introiti sul territorio. Giovanni Galgano spiega che, attualmente, le compensazioni vanno solo ai Comuni (fino al 3% del fatturato annuo dell’impianto ospitato), e le Regioni, secondo le norme attuali, non ricevono nulla.

Nel question time alla Camera dell’11 ottobre, il ministro Gilberto Pichetto Fratin ha dichiarato: “Stiamo lavorando a una norma che garantisca un’incentivazione alle Regioni a rispettare i target previsti al 2030 mediante risorse da ripartire fra le stesse per l’adozione di misure per la decarbonizzazione”. Secondo Re Rebaudengo la crisi in Medio Oriente, unita all’emergenza energetica causata dalla guerra in Ucraina, evidenzia la necessità di un vero sforzo verso l’indipendenza energetica per mettere l’Italia al sicuro.