L’Italia si presenta spesso sulla scena internazionale come un paese all’avanguardia nel riciclo della plastica da imballaggio. I nostri rappresentanti politici, forti di questa reputazione, si oppongono con forza a qualsiasi misura che possa limitare la produzione di plastica monouso o promuovere sistemi di riuso più efficaci. Tuttavia, un’analisi più approfondita dei dati e delle dinamiche del settore rivela una realtà ben diversa, meno rosea e più complessa di quanto si voglia far credere.
Negli ultimi anni, infatti, è emerso con chiarezza che il tasso di riciclo effettivo della plastica in Italia è significativamente inferiore al 50% dei rifiuti prodotti. Un dato allarmante, che contrasta nettamente con l’immagine di eccellenza che il nostro Paese cerca di proiettare. Inoltre, i metodi di calcolo utilizzati per stimare i quantitativi di plastica riciclata sono spesso poco trasparenti e soggettivi, rendendo difficile ottenere un quadro preciso e affidabile della situazione.
Una recente inchiesta di Greenpeace Italia, intitolata “Plastica, Italia campione del riciclo?”, ha fatto luce su queste criticità, evidenziando le incongruenze tra le dichiarazioni ufficiali e la realtà dei fatti. L’indagine si basa su un’attenta analisi dei dati pubblicati dal Corepla, il consorzio che gestisce la raccolta e il riciclo degli imballaggi in plastica nella maggior parte dei comuni italiani, e dal Conai, il consorzio nazionale degli imballaggi.
Cosa emerge da questa indagine?
- Un divario significativo tra gli obiettivi dichiarati e i risultati raggiunti: l’Italia si è posta ambiziosi obiettivi di riciclo della plastica, ma i dati reali dimostrano che siamo ancora molto lontani dal raggiungerli;
- Metodi di calcolo poco trasparenti: i criteri utilizzati per determinare la quantità di plastica effettivamente riciclata sono spesso vaghi e difficili da verificare, consentendo di gonfiare i risultati e di nascondere le inefficienze del sistema;
- Una dipendenza eccessiva dall’incenerimento: una parte considerevole della plastica raccolta viene incenerita per produrre energia, anziché essere riciclata. Questa pratica, sebbene riduca il volume dei rifiuti, non contribuisce alla creazione di un’economia circolare e comporta comunque l’emissione di sostanze inquinanti;
- Un sistema di gestione dei rifiuti plastici ancora fragile: la raccolta differenziata della plastica è migliorata negli ultimi anni, ma rimangono molte criticità, come la contaminazione dei materiali, la mancanza di impianti di riciclo adeguati e la scarsa tracciabilità dei rifiuti lungo tutta la filiera.
Indice
La situazione del riciclo della plastica in Italia
Tra il 2021 e il 2023, il Consorzio Corepla ha gestito annualmente circa 700 mila tonnellate di imballaggi in plastica, inviandole agli impianti di riciclo. Tuttavia, un numero significativo, pari a 500 mila tonnellate, si è tradotto in scarti non recuperabili, destinati allo smaltimento in discarica o, più frequentemente, a impianti di cementificazione all’estero. Questa realtà pone l’Italia ben al di sotto degli obiettivi europei di riciclo, che richiedono un tasso di riciclo effettivo e dimostrabile del 50% entro il 2025 e del 55% entro il 2030.
In Italia, il tasso di riciclo è spesso calcolato come materiale avviato al riciclo, un dato che include anche gli scarti generati durante il trattamento. Questo approccio differisce notevolmente dalle nuove direttive comunitarie che richiedono il conteggio del solo riciclo effettivo – vale a dire, la quantità di materiale che diventa davvero nuova materia prima.
Nel 2022, il tasso italiano di avvio a riciclo per la plastica si attestava al 55,1%, suggerendo un apparente conformità agli standard europei. Tuttavia, calcolando solo il riciclo effettivo secondo le normative comunitarie, la percentuale reale scende al 48% nel 2023. Questo divario evidenzia come la metodologia italiana abbia finora sopravvalutato il livello di riciclo, offrendo un’immagine distorta della sostenibilità del sistema.
L’enorme quantità di scarti derivanti dalla gestione della plastica rappresenta non solo un problema ambientale, ma anche un fallimento degli obiettivi di economia circolare. Se i volumi di scarti continueranno a crescere senza una gestione sostenibile, l’Italia rischia di mancare non solo gli obiettivi europei, ma anche l’opportunità di ridurre significativamente la dipendenza da discariche e cementifici esteri.
Per affrontare la sfida degli obiettivi di riciclo e realizzare una vera economia circolare, l’Italia dovrà adottare criteri più rigorosi e trasparenti, adeguandosi ai nuovi standard di riciclo effettivo promossi dall’Unione europea. Un cambiamento di metodologia e l’implementazione di misure concrete di riduzione degli scarti saranno fondamentali per rispondere alle esigenze ambientali e raggiungere un sistema di gestione dei rifiuti realmente sostenibile e in linea con gli obiettivi comunitari.
Dubbi sul riciclo della plastica, mancanza di trasparenza e monitoraggio inadeguato
Permangono perplessità sulla trasparenza dei dati relativi al riciclo effettivo della plastica, poiché i documenti necessari per effettuare un calcolo preciso non sono pubblici. Anche gli audit indipendenti, riportati nel Rapporto di Sostenibilità 2023 di Conai, non soddisfano gli standard attesi: il monitoraggio ha coinvolto soltanto tre impianti (uno dedicato al compostaggio di plastica biodegradabile e compostabile, uno alla selezione di imballaggi in plastica e plastica-metallo e uno al riciclo).
Queste criticità sono state inoltre segnalate dalla Corte dei Conti Europea. Dopo un’indagine condotta in Italia, Romania e Paesi Bassi, la Corte ha messo in evidenza gravi lacune nei sistemi di monitoraggio e raccolta dati. Il rapporto finale ha evidenziato un rischio molto elevato che i riciclatori, in assenza di un controllo efficace, non eseguano adeguate operazioni di trattamento sui rifiuti di imballaggio in plastica ricevuti.
L’illusione del riciclo della plastica in Italia
“Credere nell’eccellenza del sistema che gestisce i nostri imballaggi in plastica assomiglia più a un atto di fede“, afferma Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. Secondo Ungherese, i dati forniti da Corepla e Conai si caratterizzano per opacità e scarsa trasparenza sui criteri di calcolo e rendicontazione. Di conseguenza, i risultati realmente ottenuti potrebbero essere ben più scarsi di quelli dichiarati.
Nonostante ciò, le incredibili performance del sistema di riciclo italiano continuano a essere sbandierate dai politici in ogni tavolo negoziale internazionale. Queste affermazioni vengono utilizzate come scudo per mantenere lo status quo, opporsi a qualsiasi provvedimento che riduca l’utilizzo di plastica monouso e ritardare le strategie che favoriscono il riuso.
In vista dell’ultimo round negoziale sul trattato sulla plastica, che inizierà in Corea del Sud nelle prossime settimane, Greenpeace Italia chiede maggiore trasparenza a tutti gli attori coinvolti nella filiera italiana. La richiesta di Ungherese sottolinea l’importanza di un approccio più chiaro e responsabile nella gestione dei rifiuti di plastica, affinché si possa realmente affrontare la crisi ambientale in corso.
Esportazioni di rifiuti di imballaggi in plastica
Il rapporto di Greenpeace analizza in dettaglio le esportazioni di rifiuti da imballaggi in plastica, con un focus specifico sul plasmix – un tipo di plastica eterogenea e mista che rappresenta una quota rilevante della raccolta differenziata. Questa tipologia di rifiuto viene avviata quasi interamente alla combustione per la produzione di energia o, in misura minore, smaltita in discarica, poiché risulta non riciclabile dal punto di vista tecnico o economico.
Negli ultimi anni, l’export di plasmix è cresciuto sensibilmente, come confermato da un’altra indagine dell’organizzazione ambientalista. Tuttavia, questa crescita ha suscitato seri dubbi riguardo alla destinazione finale di tali rifiuti e alla loro effettiva trasformazione in energia. Una volta fuori dall’Italia, infatti, esiste il rischio che i rifiuti esportati possano finire in attività illegali, come incendi dolosi, sotterramenti o triangolazioni verso Paesi terzi, spesso con normative ambientali meno rigorose.
Greenpeace sottolinea l’urgenza di un controllo più stringente e di una maggiore trasparenza nelle esportazioni di rifiuti plastici, per evitare che tali pratiche danneggino ulteriormente l’ambiente e compromettano la fiducia nel sistema di gestione dei rifiuti in Italia.