Materie prime critiche, per l’industria italiana valgono 690 miliardi

Investendo 1,2 miliardi di euro, l'Italia può ridurre la dipendenza dalle materie prime critiche di un terzo, generando oltre 6 miliardi di valore aggiunto

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Matteo Paolini

Giornalista green

Nel 2012 ottiene l’iscrizione all’Albo dei giornalisti pubblicisti. Dal 2015 lavora come giornalista freelance occupandosi di tematiche ambientali.

Pubblicato: 6 Novembre 2024 16:06

La dipendenza dall’estero costituisce un problema fondamentale per l’industria italiana, specialmente nel contesto delle materie prime critiche strategiche. Attualmente, le filiere italiane non sono adeguatamente sviluppate per garantire l’autosufficienza del Paese in questo ambito. Sebbene sia stato recentemente approvato il decreto materie prime critiche per allineare l’Italia agli obiettivi del Critical Raw Material Act dell’Unione Europea, mancano ancora le infrastrutture e le risorse necessarie per rendere autonoma l’industria nazionale.

Per comprendere meglio l’impatto delle commodities sui settori strategici italiani, e identificare le risorse finanziarie e strategiche necessarie per ridurre la dipendenza da paesi terzi, Iren ha incaricato The European House – Ambrosetti (Teha) di svolgere uno studio approfondito. Questo studio mira a valutare quanto investire per raggiungere l’autosufficienza nel medio termine e individuare le strategie per accelerare tale processo.

Tra le soluzioni chiave proposte dallo studio emergono tre direttrici principali:

  1. Sviluppo di una filiera nazionale ed europea: investire in una catena di approvvigionamento interna per assicurare la disponibilità di materie prime critiche direttamente sul territorio italiano e comunitario;
  2. Ripristino della presenza italiana in Africa: promuovere partnership strategiche in Africa, continente ricco di risorse naturali, per diversificare le fonti di approvvigionamento;
  3. Potenziamento dell’economia circolare: incrementare le capacità di riciclo e riuso delle risorse già disponibili, riducendo la dipendenza dalle importazioni e favorendo la sostenibilità.

Teha ha strutturato una roadmap basata sull’analisi di circa 50 documenti ufficiali, tra cui report della Commissione Europea e della World Bank. Tale roadmap, presentata a Roma il 4 novembre, fornisce un piano d’azione dettagliato che punta a rafforzare l’autonomia italiana nel settore delle materie prime critiche e a posizionare l’Italia come leader di una strategia europea condivisa.

L’importanza delle materie prime critiche per l’economia e la sicurezza italiana

La strategia di indipendenza dell’Italia nelle materie prime critiche parte da un’analisi accurata del peso economico di queste risorse. Secondo le stime di Teha-Iren, le materie prime critiche, essenziali per numerosi settori industriali, influenzano la produzione industriale italiana per un valore di circa 690 miliardi di euro. Questo dato sottolinea quanto l’intera economia e competitività nazionale dipendano dall’accesso stabile e sicuro a tali risorse. Come evidenziato dal presidente di Iren, Luca Dal Fabbro, ben il 32% del Pil italiano è legato allo sviluppo e all’accessibilità di queste risorse, che sono cruciali non solo per la competitività industriale, ma anche per la sicurezza nazionale.

In Europa, l’Italia e altri Stati membri stanno affrontando una sfida importante: gli investimenti nel settore delle materie prime critiche sono ancora insufficienti rispetto a quelli di paesi concorrenti. Attualmente, in tutta Europa sono stati stanziati 2,7 miliardi di euro, una cifra decisamente inferiore ai 14,7 miliardi di euro investiti dalla Cina nello stesso settore. Questa disparità di investimento si traduce in una dipendenza significativa dalle forniture cinesi, da cui l’Unione Europea importa circa il 56% delle materie prime critiche necessarie.

Un recente report di Ispra, pubblicato lo scorso luglio, ha rivelato che l’Italia estrae solo 2 delle 17 materie prime critiche presenti nel Paese: feldspato e fluorite. Questi materiali sono utilizzati principalmente per la produzione di ceramica, acciaio e alluminio, ma contribuiscono solo marginalmente ai settori tecnologici ed energetici più avanzati, come la robotica e l’aerospazio. Per esempio, nel 2022 l’Italia ha dovuto importare gallio e indio per un valore di 14,5 miliardi di euro destinati alla robotica, e 1,4 miliardi di euro per i semiconduttori. Sempre nel settore aerospaziale, l’Italia ha acquistato 13 miliardi di euro di tungsteno dall’estero.

Valerio De Molli, managing partner e Ceo di Teha, evidenzia come un investimento strategico di 1,2 miliardi di euro potrebbe rappresentare un passo avanti per ridurre la dipendenza italiana dalle importazioni di materie prime critiche. Con questo intervento, l’Italia potrebbe diminuire di circa un terzo la propria vulnerabilità e valorizzare fino a 6 miliardi di euro di materie prime seconde entro il 2040. Questo approccio non solo aumenterebbe l’autosufficienza del Paese, ma aprirebbe la strada a una filiera di recupero e riuso delle materie già presenti sul territorio, contribuendo così anche alla sostenibilità e alla circolarità dell’economia.

La rivitalizzazione delle risorse minerarie italiane, una strategia integrata

Negli ultimi 150 anni, l’Italia ha visto operativi circa 3.016 siti minerari, ma oggi solo 94 di essi possiedono una concessione attiva. Questa situazione rappresenta una criticità significativa per il Paese, che necessita di competenze minerarie aggiornate e di un piano nazionale di esplorazione. Secondo quanto emerso dal report di Ambrosetti, nel breve e medio termine, la priorità dovrebbe essere ricostruire le competenze minerarie e quantificare il potenziale dei siti minerari ancora attivi. L’obiettivo è chiarire l’effettivo impatto che i giacimenti presenti sul territorio potrebbero avere sulla capacità dell’Italia di ridurre la propria dipendenza dalle importazioni di materie prime critiche.

In particolare, l’Italia dispone di giacimenti strategici di materie prime importanti come il cobalto e il rame. I principali depositi di cobalto si trovano in Sardegna e Piemonte; in quest’ultima regione, il sito di Punta Corna è considerato di rilievo strategico a livello europeo. Per quanto riguarda il rame, sono presenti riserve considerevoli lungo l’Appennino ligure-emiliano, nelle Alpi occidentali e in Sardegna. Inoltre, una consistente riserva di litio è situata nelle vicinanze del lago di Bracciano nel Lazio. Tuttavia, molti di questi giacimenti sono stati abbandonati per decenni e necessitano di investimenti significativi per tornare produttivi, permettendo così al Paese di incrementare la propria autonomia.

Raffinazione, una sfida cruciale

Oltre alla riattivazione delle estrazioni, Teha-Iren evidenziano la necessità di affermarsi nel settore della raffinazione. Il Critical Raw Material Act dell’Ue stabilisce che entro il 2030, almeno il 40% del consumo di materie prime critiche debba essere coperto da raffinazione all’interno dell’Europa. Tuttavia, allo stato attuale, l’Unione Europea possiede capacità che coprono appena il 5% del fabbisogno complessivo. Questo limite rappresenta una sfida enorme, ma anche un’opportunità per l’Italia, che potrebbe sfruttare le proprie competenze industriali nel trattamento chimico-fisico di materiali come il litio. Investire in questa direzione consentirebbe al Paese di creare una filiera integrata e attrattiva per gli stakeholder, migliorando la competitività e la sicurezza dell’approvvigionamento nazionale.

Partnership internazionali, collaborazioni con paesi africani

Un elemento fondamentale per garantire la sicurezza nell’approvvigionamento di materie prime critiche è rappresentato dalle partnership internazionali. Secondo l’analisi condotta da Teha-Iren, un passo strategico in questa direzione sarebbe quello di promuovere nuove collaborazioni con i paesi africani, un continente ricco di risorse naturali fondamentali per molte industrie, come quelle tecnologiche ed energetiche. L’Africa, infatti, possiede una vasta gamma di materie prime strategiche che sono essenziali per l’industria globale, tra cui cobalto, litio, terre rare e altri minerali critici. Queste risorse, però, sono attualmente sfruttate principalmente da paesi esterni al continente, come la Cina, che detiene un controllo predominante sulla raffinazione e lavorazione di questi materiali.

La cooperazione con i paesi africani potrebbe ampliare le fonti di approvvigionamento per l’industria italiana, riducendo la dipendenza dalle forniture esterne e creando un mercato più stabile e diversificato per le materie prime. Un’alleanza strategica in questo ambito non solo garantirebbe forniture più sicure e costanti, ma favorirebbe anche una maggiore sostenibilità delle catene di approvvigionamento. Inoltre, attraverso il rafforzamento dei legami con le nazioni africane, l’Italia potrebbe diventare un partner commerciale di riferimento, supportando lo sviluppo economico del continente e creando scambi reciproci vantaggiosi.

La strada verso l’indipendenza delle materie prime: collaborazioni e economia circolare

L’Africa gioca un ruolo cruciale nel mercato globale delle materie prime critiche, poiché da questo continente proviene oltre il 90% delle riserve mondiali di materiali strategici del gruppo platino e il 56% del cobalto. In particolare, l’industria mineraria è fondamentale per diverse economie africane. Nella Repubblica Democratica del Congo, ad esempio, l’estrazione mineraria contribuisce a circa il 47% del Pil nazionale, mentre in Zambia e Namibia incide rispettivamente per il 17% e l’11% del prodotto interno lordo. Tuttavia, nonostante la ricchezza delle risorse naturali, gran parte dei materiali estratti in Africa viene poi lavorata e raffinata in Cina, limitando l’autonomia produttiva del continente e lasciandolo in una posizione di dipendenza.

Per rispondere a questa sfida, la roadmap proposta da Teha-Iren sottolinea la necessità di riprendere gli investimenti nelle materie prime critiche in Africa, che sono diminuiti del 70% negli ultimi dieci anni. Oltre a rinnovare l’impegno finanziario, è essenziale promuovere lo sviluppo industriale e infrastrutturale sul territorio africano, consentendo al continente di beneficiare pienamente delle proprie risorse. In questo contesto, il Piano Mattei potrebbe rappresentare uno strumento efficace per rafforzare la collaborazione tra Italia, Unione europea e Africa, come suggerito da Ambrosetti, creando un modello di cooperazione sostenibile che favorisca lo sviluppo locale e l’indipendenza africana.

Il ruolo dell’economia circolare in Italia

Parallelamente alla collaborazione con l’Africa, l’Italia deve concentrarsi su un’altra strategia fondamentale per ridurre la dipendenza dalle importazioni di materie prime critiche: potenziare l’economia circolare. Il Critical Raw Material Act dell’Unione europea ha stabilito un obiettivo di riciclo del 25% entro il 2030, una percentuale ambiziosa che richiede miglioramenti significativi nei sistemi di gestione dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee). Attualmente, circa metà dei flussi di Raee in Europa sfugge ai sistemi di raccolta formale, finendo spesso in esportazioni illegali o in smaltimento non conforme. Questo sistema inefficiente non solo crea perdite economiche di circa 10 miliardi di euro, ma rappresenta anche uno spreco di risorse potenzialmente riutilizzabili.

In Italia, l’azienda Iren è già attiva nel settore del riciclo con l’Osservatorio RigeneRare e con un nuovo impianto in Valdarno dedicato al trattamento dei Raee, la cui inaugurazione è imminente. La roadmap di Teha-Iren mette in evidenza l’importanza di sviluppare filiere domestiche per sostenere la transizione energetica, sottolineando che nei prossimi anni il fabbisogno italiano di materie prime grezze aumenterà del 320%. I rifiuti elettronici, una volta correttamente riciclati, potrebbero diventare una risorsa preziosa per colmare parte di questa domanda crescente, riducendo la necessità di approvvigionarsi di nuove materie prime e contribuendo alla sostenibilità ambientale.