Telefonata Trump-Putin sul cessate il fuoco, cosa si sono detti veramente

Il colloquio fra i presidenti americano e russo è solo una tappa dei negoziati sull'Ucraina. Gli obiettivi di Mosca e Washington vanno oltre la guerra. Ecco a quali condizioni

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Pubblicato: 19 Marzo 2025 13:09

Nonostante la roboante propaganda di questi giorni, l’annunciata telefonata fra Trump e Putin non è che una tappa dei lunghi negoziati fra Stati Uniti e Russia. Per mesi abbiamo sottolineato come la tregua in Ucraina fosse una questione che russi e americani avrebbero discusso fra loro, senza il coinvolgimento reale degli altri attori coinvolti (Kiev e l’Ue).

Il colloquio fra i due presidenti segna tuttavia una svolta nella definizione del cessate il fuoco di 30 giorni. E mette sul piatto ciò che davvero vuole Mosca dal riavvicinamento a Washington, al di là delle speculazioni mediatiche.

Il vero accordo fra Trump e Putin sull’Ucraina

La prima e più diretta fonte per verificare cosa si sono effettivamente detti Donald Trump e Vladimir Putin nella loro telefonata di oltre due ore e mezza sono i comunicati ufficiali delle rispettive cancellerie. Oltre a rimarcare il clima positivo e di “fiducia reciproca”, Casa Bianca e Cremlino hanno confermato il reciproco “sì” a un cessate il fuoco di 30 giorni. Attenzione però: per volontà russa, la tregua delle armi non sarà totale come auspicato (e accettato) già dagli ucraini, ma riguarderà soltanto le infrastrutture energetiche.

Energia, sanzioni e aiuti all’Ucraina: i tre punti fermi di Putin

A tal proposito, il comunicato del Cremlino è più preciso rispetto alla controparte americana: il primo parla di “infrastrutture energetiche” dure e pure, mentre il secondo indica un po’ dolosamente “infrastrutture ed energia”. Quasi a suggerire: non preoccupatevi, la Russia non attaccherà neanche ponti e autostrade. Per fugare ogni dubbio, in mattina Mosca ha bombardato l’ospedale di Sumy, oltre ad aver rilanciato la controffensiva nel Kursk. La tregua resta armata.

Nell’ultimo anno e soprattutto nelle ultime settimane, l’Ucraina ha subìto ingenti danni alla propria rete elettrica ma anche le forze di Kiev hanno intensificato i loro attacchi contro centrali e depositi energetici russi, tentando di complicare i piani logistici e i rifornimenti del nemico.

Una vera e propria guerra delle centrali che avevamo individuato come decisiva già mesi fa, con tanto di preoccupazione preventiva degli Usa. La priorità del Cremlino era far cessare questo tipo di raid, chiedendo al contempo altri due punti fermi dei loro negoziati: il completo stop all’invio di aiuti militari e di intelligence all’Ucraina e la dismissione delle sanzioni economiche e finanziarie occidentali contro enti e soggetti russi. Queste tre condizioni sono state le principali direttive dettate da Putin a Trump.

Cosa vuole davvero la Russia

Per destreggiarsi al meglio nella selva di telefonate e proclami che si susseguiranno nelle prossime settimane, è bene tenere presente quali sono i punti fermi ai quali la Russia non accetterà di rinunciare per giungere a una tregua duratura. Putin ha affermato di essere favorevole a una soluzione a lungo termine che affronti “le cause profonde del conflitto“. Propaganda, certo, ma suffragata da obiettivi strategici ben chiari sia a Mosca sia agli altri attori coinvolti:

  • neutralità dell’Ucraina, cioè nessuna sua adesione alla Nato;
  • fine delle sanzioni internazionali contro la Russia;
  • il riconoscimento dell’autodeterminazione russa (secondo il comunicato del Cremlino) della Crimea e delle quattro regioni ucraine annesse unilateralmente (Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson);
  • ridimensionamento dell’esercito ucraino;
  • smilitarizzazione del fronte e ritiro delle truppe ucraine dalle zone attualmente occupate dai russi.

L’altro grande obiettivo del Cremlino era quello di riabilitarsi agli occhi dell’Occidente. Non certo da un punto di vista morale, ma diplomatico ed economico. Agli occhi russi è molto importante inoltre trattare da potenza di pari livello con gli Usa, quasi costringendoli ad accettare compromessi in nome della distensione. Una moneta retorica di grande impatto per Putin e il suo entourage, soprattutto in termini di opinione pubblica interna.

Perché Trump sta accontentando Putin?

La domanda è lecita, ma anche impropria. Innanzitutto perché il presidente americano, da solo, non decide proprio nulla a nome della sua nazione. Poi anche perché dietro Trump ci sono gli apparati statunitensi (Cia, Pentagono, Dipartimento di Stato, Tesoro, servizi segreti), che hanno sfruttato la propaganda del tycoon per raggiungere un obiettivo comune: aprire alla Russia per dividerla dalla Cina, alleato di convenienza in ottica anti-occidentale. Quando si hanno due nemici coalizzati, si punta il più debole e si cerca di staccarlo dal socio di maggioranza. La Russia, per l’appunto, è il partner di minoranza di una Cina sempre più ambiziosa e assertiva.

Detto questo, nulla ancora è stato ratificato. Lo abbiamo ricordato in apertura: il colloquio fra Trump e Putin, seppur storico, non è nulla più di una dichiarazione d’intenti. I due Paesi stanno ancora negoziando, e non è affatto detto che gli Usa accettino di interrompere del tutto gli aiuti a Kiev. Fermo restando che ci sarebbe sempre la “scorciatoia” europea: anche ammesso che Washington non rifornisca più direttamente gli ucraini sulla carta, lo farà fare agli Stati Ue come già ampiamente preventivato. Proprio per questo motivo, il Cremlino ha parlato di “aiuti stranieri” a Kiev, pur consapevole che gli Stati europei potranno fare di testa loro.

Lo scambio di prigionieri come garanzia

Intendiamoci: una tregua delle armi conviene a entrambi gli schieramenti. Agli ucraini perché sono allo stremo e in rotta con l’amministrazione Trump, ai russi perché la sconfitta strategica di divenire preda della Cina è sempre più evidente. Il valzer negoziale dovrebbe dunque giungere a un cessate il fuoco effettivo, sempre certificato dagli americani. Con le solite garanzie che si convengono alle tregue belliche, a partire da uno scambio di prigionieri.

Le due parti hanno dunque concordato uno scambio di 175 prigionieri per schieramento, sulla carta da effettuare già a poche ore dalla telefonata. Sulle tempistiche non è però stato deciso nulla.

E dopo? Quando si arriverà alla pace?

Ferma restando l’inconciliabilità tra alcune richieste russe e ucraine, quando saranno formalizzati i negoziati e la tregua di 30 giorni riguardo le strutture energetiche (difficilmente senza incidenti), allora si passerà alle fasi successive.

Nel comunicato della Casa Bianca si legge che i prossimi passi per una tregua strutturata a lungo termine, senza indicazione alcuna delle tempistiche, saranno:

  • negoziati sul cessate il fuoco nel Mar Nero;
  • cessate il fuoco completo in Ucraina;
  • pace permanente.