Come ampiamente prevedibile, dopo la decisione dell’Ucraina di chiudere il punto di accesso del gas russo nel Donbass mercoledì scorso, è arrivata la reazione di Mosca. La Russia ha deciso lo stop dei flussi di gas che transitano attraverso il gasdotto Yamal-Europa in Polonia.
Il punto di transito chiuso dall’Ucraina gestisce circa l’8% dei flussi di gas russi verso l’Europa e Kiev ha proposto che i flussi possano essere reindirizzati a un punto di transito alternativo, a Sudzha.
Nel 2021 i Paesi UE hanno ottenuto circa 155 miliardi di metri cubi di gas dalla Russia: una cifra enorme. E ora l’Europa si trova a un bivio: quella che sta mettendo in campo è una maggiore pressione a Putin per garantire forniture di gas alternative, dopo che Mosca ha imposto sanzioni alle filiali europee del gigante energetico russo Gazprom e dopo che Kiev ha chiuso quella importante rotta di transito.
I prezzi sono già saliti alle stelle: presso il sito del gas TTF nei Paesi Bassi sono aumentati del 10% giovedì, con contratti per la consegna a luglio e agosto scambiati tra 105 euro e 106 euro per megawatt.
Cosa sappiamo del gas alla Polonia
Nel mirino del Cremlino ci sono soprattutto Gazprom Germania e Europol Gaz, proprietario della parte polacca del gasdotto Yamal-Europa che porta il gas russo in Europa: il gasdotto è di proprietà congiunta con Gazprom.
Gazprom detiene una partecipazione di quasi il 49% nella sezione polacca del gasdotto. L’oleodotto Yamal può fornire 33 miliardi di metri cubi all’anno di gas in Polonia e Germania. Tuttavia, Gazprom ha utilizzato la sua capacità in modo irregolare per diversi mesi, limitando fortemente le forniture dalla fine di aprile.
Secondo Gazprom, le sanzioni polacche contro il produttore di gas hanno privato la società russa del suo status di azionista in Europol Gaz dal 26 aprile, bloccando i suoi diritti di voto e la possibilità di ottenere i dividendi.
Cosa sappiamo del gas alla Germania
Le sanzioni russe contro Europol Gaz includono anche Gazprom Germania e le sue affiliate in quelli che la Russia considera “Paesi ostili”, nazioni cioè che hanno imposto sanzioni contro il Paese, le sue società e individui in risposta all’invasione militare russa in Ucraina.
Gazprom Germania gestisce il più grande impianto di stoccaggio di gas della Germania, Astora, che si trova a Rehden, nella regione della Bassa Sassonia. L’impianto ha una capacità di 4 miliardi di metri cubi.
Tuttavia, l’autorità tedesca Bundesnetzagentur che ora ne ha il controllo ha scoperto che gli impianti di stoccaggio erano quasi vuoti già in aprile.
Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha affermato che non possono esserci relazioni con le società che hanno imposto sanzioni né possono prendere parte alla fornitura di gas russo. L’agenzia di stampa russa Interfax ha affermato che le sanzioni riguardano 29 affiliate di Gazprom con sede in Belgio, Bulgaria, Francia, Ungheria, Lussemburgo, Paesi Bassi, Romania, Singapore, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti.
Resta solo Nord Stream
Insieme alla perdita di un terzo della sua capacità di transito attraverso l’Ucraina all’inizio di questa settimana, Gazprom ha ora un solo gasdotto per il nord Europa rimasto in funzione: il collegamento Nord Stream con una capacità di 55 miliardi di metri cubi all’anno.
Nord Stream serve sia la Germania che la Polonia da aprile, mentre il gasdotto Yamal opera invece nella direzione inversa per trasportare gas dalla Germania alla Polonia.
Ue stanzia altri 500 milioni di euro per le armi all’Ucraina
Probabilmente ci troviamo di fronte a un momento di svolta per il conflitto russo-ucraino, con l’Unione europea che ha deciso di stanziare altri 500 milioni di euro per le armi e altri equipaggiamenti militari all’Ucraina. Ad anticiparlo è stato il capo della politica estera Ue Josep Borrell al vertice dei G7 in Germania. Sale così a 2 miliardi di euro l’assistenza finanziaria che Bruxelles ha fornito a Kiev.
Già prima dell’avvio del vertice Borrell aveva rilevato che “la guerra continua” e come G7 “forniremo all’Ucraina le armi di cui ha bisogno. Forniremo armi, carri armati, artiglieria pesante, munizioni… le cose di cui hanno bisogno”. Ma ha anche detto che l’Europa continuerà a lavorare per l’isolamento internazionale della Russia.
Quanto alla dipendenza energetica da Mosca, Borrell ha spiegato che “ci vuole un accordo e un impeto politico” per “liberarci dalla dipendenza del gas russo”. Lunedì prossimo i ministri degli Affari esteri forniranno un ulteriore slancio in questo senso durante la riunione in programma a Bruxelles. Perché “anche se comprendiamo tutte le esigenze dei Paesi membri, serve un accordo” conclude.
Quanto può durare ancora la guerra
Ad oggi sono almeno 26.900 i soldati russi che sono stati uccisi in Ucraina dall’inizio della guerra lo scorso 24 febbraio. I dati sono stati resi noti dal ministero della Difesa di Kiev nel suo ultimo bollettino, sottolineando che 1.205 carri armati russi e 2.900 blindati sono stati distrutti nei combattimenti. Sono invece 13 le navi da guerra russe distrutte dai militari di Kiev, secondo quanto riferito dallo Stato Maggiore ucraino.
L’Ucraina ha intanto già speso per la guerra circa 8,25 miliardi di dollari, ha spiegato il ministro delle Finanze ucraino Serhiy Marchenko.
Tutto questo significa che il conflitto, limitandoci qui a un punto di vista materiale, non è sostenibile ancora a lungo. Quanto può durare ancora? Qualche settimana? Massimo l’estate?
Il ruolo fondamentale di Draghi
In questo scenario una partita fondamentale la sta giocando senz’altro Mario Draghi. Il premier, che è volato negli Usa per incontrare il presidente Joe Biden, ha detto di essere fiducioso che la richiesta di Mosca che gli acquirenti europei paghino per il gas russo in rubli non porterà a un’interruzione delle forniture.
La Commissione europea ha avvertito che il rispetto dello schema russo potrebbe violare le sanzioni UE, ma Draghi ha affermato che si tratta di una “zona grigia” senza alcuna decisione ufficiale in merito. “Non c’è una dichiarazione ufficiale su cosa significhi violare le sanzioni, nessuno ha mai detto nulla sul fatto che i pagamenti in rubli violino le sanzioni o meno, come siano organizzati questi pagamenti, quindi è una tale zona grigia qui”, ha detto. Peraltro, ha precisato, “la maggior parte degli importatori di gas ha già aperto i propri conti in rubli con Gazprom”.
L’Italia dipende dalla Russia per il 40% delle sue importazioni di gas. Ora sta cercando di trovare fornitori alternativi, tanto che Draghi ha invocato un “Piano Marshall” per il nostro Paese.
Draghi a Washington ha esortato tutti a sedersi attorno a un tavolo. Anche se – e in pochi se l’aspettavano – la missione americana di “Super Mario” è stata molto meno allineata di quanto ci si aspettasse da uno dei premier europei più schierati in senso atlantico (di quello che si sono detti Draghi e Biden abbiamo parlato qui).
Intanto, la Ue sta mettendo a punto il suo piano di emergenza nel caso di una brusca interruzione di gas da parte della Russia, che verrà ufficializzato il 18 maggio. Ciò che già si sa, è che punterà su razionamento dei consumi, solidarietà tra i Paesi Ue colpiti, tetto al prezzo del gas e interventi contro la speculazione.