Fed, nuovo taglio dei tassi: il costo del denaro è ai minimi da tre anni

La Fed taglia i tassi per la terza volta nel 2025 portando il costo del denaro ai minimi da tre anni

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Claudio Cafarelli

Giornalista e content manager

Giornalista pubblicista laureato in economia, appassionato di SEO e ricerca di trend, content manager per agenzie italiane e straniere

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La Federal Reserve ha annunciato un nuovo taglio dei tassi di interesse, il terzo nel corso del 2025. Il costo del denaro scende di un quarto di punto, collocandosi in un intervallo compreso fra il 3,50% e il 3,75%. Si tratta del livello più basso registrato negli ultimi tre anni, a conferma dell’orientamento prudente adottato dalla banca centrale statunitense in una fase segnata da rallentamento economico e pressioni inflazionistiche ancora superiori al target.

Il provvedimento rientra nel ciclo di allentamento iniziato nel settembre 2024, quando la Fed aveva avviato una serie di riduzioni dei tassi per contenere gli effetti dell’inasprimento finanziario sull’economia. Da allora i tagli sono stati sei: uno da mezzo punto e cinque da 25 punti base.

Una decisione divisiva all’interno della Federal Reserve

Il voto interno al Fomc, il comitato che decide la politica monetaria, ha mostrato un fronte meno compatto rispetto alle precedenti riunioni. Nove membri hanno votato a favore della riduzione, mentre tre si sono espressi contro. Due avrebbero preferito mantenere invariati i tassi e uno, Stephen Miran, nominato da Donald Trump, avrebbe voluto un taglio più ampio, pari a 50 punti base.

La divisione interna riflette due valutazioni differenti sullo stato dell’economia. Da un lato, alcuni membri temono un ulteriore indebolimento del mercato del lavoro. Altri invece ritengono che la discesa dei tassi debba essere più lenta, considerando che l’inflazione rimane stabilmente sopra il 2%. La scarsità di dati economici dovuta allo shutdown federale ha contribuito a complicare la valutazione dello scenario, influenzando il dibattito.

Inflazione e crescita: le nuove stime della Banca Centrale

Nelle previsioni aggiornate, la Fed indica che l’inflazione dovrebbe rimanere superiore al target del 2% ancora per diversi anni. A incidere sono diversi fattori, tra cui l’aumento dei prezzi connesso ai dazi sulle importazioni e l’incertezza sulla loro futura applicazione, in attesa del pronunciamento della Corte Suprema sulla loro legittimità.

Parallelamente, la banca centrale prevede un miglioramento del Pil nel 2026, atteso in crescita del 2,3% contro l’1,8% stimato a settembre. Nonostante le indicazioni di rallentamento del mercato del lavoro e le difficoltà legate al costo della vita, l’economia americana mostra segnali di tenuta.

Il tema del costo della vita negli Stati Uniti resta comunque centrale nel dibattito politico. Mentre Donald Trump minimizza il problema, molti cittadini continuano a percepire una pressione elevata dei prezzi e temono un peggioramento qualora il Congresso non raggiungesse un accordo per estendere i sussidi all’Obamacare.

La questione dei dazi e l’impatto sui conti pubblici

Un altro elemento osservato dalla Fed riguarda l’effetto dei dazi sui prezzi interni. L’eventuale abolizione delle tariffe potrebbe avere ripercussioni sui conti pubblici, riducendo le entrate necessarie a coprire i tagli fiscali voluti da Trump e a contenere deficit e debito. Le incertezze sugli sviluppi di politica commerciale si sommano al quadro di instabilità istituzionale legato alla futura nomina del presidente della Federal Reserve.

Anche in Europa arrivano segnali di possibile miglioramento economico. La presidente della Bce, Christine Lagarde, ha dichiarato che “i tassi vanno bene” e non ha escluso una revisione al rialzo delle stime di crescita dell’Eurozona. La Cina, secondo il Fondo Monetario Internazionale, dovrebbe crescere più del previsto: +5% nel 2025 e +4,5% nel 2026. Le previsioni positive sono sostenute dalle recenti misure di stimolo e da tariffe all’export inferiori alle aspettative.