Moody’s alza il rating dell’Italia dopo 23 anni, cosa cambia per debito e conti

Moody’s alza il rating dell’Italia premiando conti più solidi e avanzamento del Pnrr ma avverte: serve una crescita stabile

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Mauro Di Gregorio

Giornalista politico-economico

Laurea in Scienze della Comunicazione all’Università di Palermo. Giornalista professionista dal 2006. Si interessa principalmente di cronaca, politica ed economia.

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L’agenzia di rating Moody’s promuove l’Italia dopo 23 anni, con l’upgrade da Baa3 a Baa2.

E dopo 7 anni passati sull’ultimo gradino dell’investment grade: l’Italia esce così dalla posizione anticamera del junk in cui era confinata dal 2018.

Perché Moody’s ha promosso l’Italia

Moody’s è stata l’ultima grande agenzia di rating a muoversi, dopo gli upgrade già assegnati nel 2025 da S&P, Fitch, Dbrs, Kroll e Scope. Esulta il Governo Meloni, alla guida della terza economia dell’eurozona, sebbene fortemente indebitata e storicamente percepita come vulnerabile a crisi politiche e fiscali. Ma il cambio di passo è stato possibile anche grazie all’onda lunga delle politiche del Governo Draghi.

Quattro gli elementi chiave alla base della scelta di Moody’s:

Stabilità politica e continuità della policy

Moody’s sottolinea che, negli ultimi anni, la politica economica italiana ha mostrato maggiore coerenza e prevedibilità rispetto al passato. Questo ha rafforzato la capacità del governo di stabilizzare i conti pubblici e di gestire il ciclo di bilancio anche in un contesto di crescita debole.

Rientro del deficit e ritorno dell’avanzo primario

Il deficit, pur ancora elevato in termini storici, è sceso sotto il 3% e il Governo punta a consolidare questa dinamica già nel 2025. Il ritorno dell’avanzo primario, salito allo 0,9% del Pil e previsto in aumento nei prossimi anni, rappresenta uno dei pilastri dell’upgrade: è la condizione indispensabile per stabilizzare un debito che sfiora il 140% del Pil.

Attuazione del Pnrr oltre le attese

Moody’s riconosce che l’Italia è in cima alla classifica europea per milestone raggiunte e fondi richiesti: un fattore che non solo sostiene la crescita potenziale, ma rafforza la percezione di capacità amministrativa.

Solidità di banche, famiglie e imprese

Il settore bancario più stabile, bilanci privati relativamente robusti e una posizione esterna equilibrata attenuano la vulnerabilità ai shock e riducono il rischio sistemico complessivo.

E la notizia che riguarda Moody’s arriva a stretto giro dopo la conferma dell’andamento positivo dello spread Btp-Bund.

Cosa cambia in concreto per l’Italia già da ora

Sono diversi gli effetti di questo ennesimo taglio del rischio relativamente al rating, oltre al mero impatto favorevole sulla percezione internazionale.

L’Italia deve rifinanziare ogni anno centinaia di miliardi di titoli. Anche una riduzione di pochi decimi di punto nei rendimenti si traduce, nell’arco di pochi anni, in risparmi per miliardi. Mercati e investitori, anticipando l’upgrade, avevano già compresso lo spread: i Btp a 10 anni sono arrivati a rendere quasi quanto gli Oat francesi. Con l’upgrade, questa dinamica si consolida. L’effetto diretto si traduce in: meno spesa per gli interessi, maggiore stabilità dei conti pubblici, migliori condizioni per ogni emissione futura.

E non solo: molti fondi globali (soprattutto fondi pensione, fondi indicizzati e investitori regolati) hanno limiti stringenti che impediscono l’acquisto di titoli troppo vicini alla soglia “junk”. L’Italia, con Baa3, era sul limite. Passare a Baa2 amplia la platea degli investitori e rafforza la domanda strutturale di Btp.

Aumenta il potere negoziale con Bruxelles: un Paese con rating più alto, deficit sotto controllo e spread ridotti entra nei tavoli europei con un maggiore peso percepito. L’Italia punta a uscire dalla procedura per disavanzo eccessivo nel 2026: l’upgrade dà forza a questa strategia.

Le condizioni di Moody’s

Ma Moody’s non si limita a premiare. Il debito scenderà solo se la crescita terrà e l’Italia ha una crescita potenziale modesta e un forte invecchiamento demografico, due elementi che giocano contro. E molti degli indicatori migliorati negli ultimi anni sono temporaneamente saliti perché sostenuti dai fondi europei. Si vedrà cosa accadrà con la fine del Pnrr.

Ci sono poi fattori strutturali che restano irrisolti: bassa produttività, lentezza amministrativa e rischio politico di medio periodo.