Un dollaro forte, o troppo forte, presenta alcuni effetti collaterali. È quanto fa notare Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer di UBS WM Italy che nel suo rapporto settimanale si sofferma sulle conseguenze che le elezioni presidenziali negli Stati Uniti avranno sul dollaro nei prossimi mesi.
Usa, quale dollaro vorrà il prossimo presidente?
“L’attuale forza del dollaro statunitense riflette una maggior crescita economica e, di conseguenza, tassi d’interesse più alti rispetto a gran parte del mondo sviluppato – ha spiegato Ramenghi –. Inoltre, ci sono conflitti militari in corso e il dollaro riveste tradizionalmente il ruolo di bene rifugio”. Una forza incrementata dalla “spiccata sovraperformance del mercato azionario americano” e dal “dominio nel know-how dell’intelligenza artificiale” che hanno attratto ingenti flussi di capitali nella prima parte dell’anno.
La differenza tra Democratici e Repubblicani
L’analista ha fatto notare che se da Kamala Harris e dai democratici non sono venute indicazioni esplicite riguardo al cambio, Donald Trump e JD Vance hanno espresso chiaramente una preferenza per un dollaro piu` debole per ridurre il deficit commerciale degli Stati Uniti e ripristinare la potenza manifatturiera americana, anche con l’ausilio dei dazi. “Addirittura, hanno messo in discussione lo status dell’USD quale principale valuta di riserva mondiale”, ha aggiunto. In termini reali, il dollaro e` attualmente scambiato a un livello del 10-20% superiore rispetto al 2016-18, durante la prima parte della presidenza Trump. Il rovescio della medaglia e` che un dollaro piu` debole, soprattutto se unito a maggiori dazi e minore immigrazione, in linea al programma di Trump, potrebbe spingere l’inflazione e pertanto allontanare maggiori tagli dei tassi d’interesse.
Il ruolo della Fed
Solitamente, a medio termine sono i dati economici a guidare i cambi, ricorda Ramenghi. Il deficit degli Stati Uniti e` elevato e un eventuale incremento potrebbe alimentare preoccupazioni riguardo alla sostenibilita` del debito, soprattutto considerando uno sbilancio del bilancio pubblico che da tempo si mantiene sopra il 5%. In tale scenario, la Fed potrebbe ridurre i tassi per rendere più agevole la gestione del debito, ma questo porterebbe a una fase di debolezza del dollaro. Seppur meno rilevante a corto raggio, il tentativo dei BRICS di rendere le proprie economie meno dipendenti dalla valuta statunitense, favorendo gli scambi nelle proprie divise, potrebbe portare a una diminuzione della domanda di dollari a lungo andare.
Cosa aspettarsi
“E` improbabile che vedremo il dollaro perdere lo status di principale valuta di riserva nel prossimo futuro, soprattutto perche´ non esiste un’alternativa immediata”, sostiene l’analista. “Il differenziale di rendimento tra il dollaro e le altre valute principali non diminuira` in maniera marcata nei prossimi mesi e anche l’incertezza geopolitica potrebbe rimanere elevata – ha aggiunto –. Tuttavia, non ci aspettiamo rialzi significativi del dollaro in considerazione delle attuali valutazioni”. Le nuove stime di Ubs indicano quindi un taglio dei tassi d’interesse di mezzo punto a settembre e una ulteriore riduzione di pari ammontare entro la fine dell’anno, di fatto riallineando cosi` la traiettoria della politica monetaria a quella delle altre economie avanzate nei prossimi mesi. “A corto raggio, il dollaro potrebbe rimanere intorno ai valori attuali, ma ci aspettiamo che nel prossimo anno il cambio si indebolisca progressivamente. A nostro avviso, il lungo periodo di forza del dollaro potrebbe quindi volgere al termine. Inoltre, l’elevato deficit pesera` sulla valuta nel lungo termine”, conclude Ramenghi.