La Federal Reserve ha annunciato che quest’anno taglierà i tassi di interesse, ma la tempistica e la misura verrà a dipendere come sempre da due incognite, il tasso di inflazione e quello di disoccupazione, o meglio dalla crescita del mercato del lavoro. Come sempre il Job Report, il rapporto sul mercato del lavoro americano, in uscita oggi, sarà cruciali per interpretare le prossime mosse della banca centrale americana. Una sorta di “termometro” della politica monetaria. E questo perché la crescita occupazionale è uno dei due parametri sui quali la Fed prende le sue decisioni, l’altro è l’inflazione, che sinora, com’è ovvio, ha avuto la prevalenza.
L’inflazione ha rallentato
Negli ultimi mesi la crescita dei prezzi si è un po’ ridimensionata. Gli ultimi dati hanno evidenziato un rallentamento al 3,9% dal 4,6% precedente e rispetto al 4,3% atteso, ben lontana dai picchi raggiunti nel 2022, quando la ripresa dell’attività post-Covid, i colli di bottiglia delle catene di approvvigionamento e la crescita occupazionale e salariale, aveva creato pressioni al rialzo sui prezzi.
E la Fed pensa di tagliare i tassi
La Federal Reserve è così tornata a ragionare su un possibile taglio dei tassi, avendo questi raggiunto un picco. Lo hanno confermato i verbali dell’ultimo incontro di politica monetaria, che però rivelano anche qualche incertezza e la mancanza di uniformità di vendute sui prossimi passi.
Ma questa volta la Fed guarderà anche alla situazione del mercato del lavoro, per trovare il giusto bilanciamento fra crescita ed inflazione e determinare così il livelli più appropriato dei tassi d’interesse.
Gli osservatori prudenti, che basano le attese su quanto emerso dai “dot plot” di dicembre, i grafici delle preferenze dei membri del FOMC, ritengono che quest’anno la banca centrale ridurrà i tassi di 75 punti base e che inizierà da metà anno. I più ottimismi stanno invece scommettendo su un taglio anticipato a marzo e su una riduzione del costo del denaro di 150 punti al 3,75-4%.
Quali dati occupazionali saranno soddisfacenti?
Se nei mesi scorsi la lotta all’inflazione era una priorità assoluta, che si è tradotta in un percorso veloce di adeguamento al rialzo dei tassi di interesse, da alcuni mesi l’emergenza è rientrata e la Fed, dopo una fase di stabilità dei tassi, ha addirittura aperto alla possibilità di un taglio del costo del denaro nel 2024.
Di fronte ad un’inflazione quasi sotto controllo, l’attenzione si è spostata sul mercato del lavoro, come indicatore dello stato dell’economia. Un buon dato potrebbe infatti convincere i banchieri che i tempi sono maturi per un taglio dei tassi, ma un dato troppo forte potrebbe anche essere deleterio e suggerire alla Fed di aspettare, perché le pressioni sul mercato del lavoro potrebbero tradursi in una crescita salariale e in un nuovo aumento del tasso d’inflazione.
La buona notizia è che questa volta il range della attese è più ampio che nei mesi passati – oscilla fra 100mila e 250mila posti di lavoro – avendo già la Fed anticipato un possibile taglio dei tassi nel 2024 ed essendo i mercati ancora convinti che la banca centrale inizierà a tagliare i tassi a marzo e ridurrà il costo del denaro di 1,5 punti al 3,75-4% entro la fine dell’anno. Vero è che dati troppo forti potrebbero ridimensionare aspettative così ottimistiche.