Il 2023 si conferma un anno “fortunato” dal punto di vista minerario per l’Europa. Dopo la scoperta a inizio anno di un maxi giacimento di terre rare in Svezia (qui abbiamo spiegato perché è così importante), in questi giorni arriva la notizia di un altro grande sito nell’area scandinava che promette di rivoluzionare gli equilibri produttivi dell’Ue.
Parliamo di un enorme deposito di roccia fosfatica di alta qualità, rinvenuto in Norvegia e considerato il più grande del mondo. Perché è così importante per “noi” e cosa cambia concretamente con la sua scoperta?
Cos’è il nuovo giacimento norvegese e a cosa serve
Secondo la Norge Mining, la società che sfrutterà il maxi giacimento, il deposito norvegese contiene almeno 70 miliardi di tonnellate di roccia fosfatica. Una quantità pazzesca, se si considera che le riserve mondiali attualmente sono pari a quasi 71 miliardi di tonnellate (stando ai dati forniti dall’US Geological Survey nel 2021). Se ne potrà estrarre fosforo da impiegare in settori chiave per lo sviluppo e l’industria del Vecchio Continente. Per rendere ancor meglio la portata della scoperta, si consideri che il secondo deposito di roccia fosfatica più grande del pianeta si trova nel Sahara occidentale, in Marocco (circa 50 miliardi di tonnellate), mentre il terzo in Cina (3,2 miliardi di tonnellate). Seguono Egitto (2,8 miliardi di tonnellate) e Algeria (2,2 miliardi di tonnellate).
Ma a cosa servono questi fosfati? Si tratta di elementi fondamentali per la produzione di dispositivi tecnologici altamente strategici per il futuro: batterie per auto elettriche, pannelli solari e fertilizzanti. Sempre secondo la Norge Mining, il contenuto del giacimento garantirebbe di soddisfare la domanda in questi settori da qui ai prossimi cento anni. Una notizia accolta con grandissimo entusiasmo dall’Unione europea, specialmente in un periodo storico di instabilità globale e difficoltà nel reperire materie prime. A sottolinearlo è stata la stessa Commissione Ue: “Questa scoperta contribuirà agli obiettivi della proposta di legge relativa alle materie prime critiche (Critical Raw Material Act)“.
Il mega deposito naturale norvegese è stato scoperto nel 2018 e si estende fino a 4.500 metri di profondità. Non è però possibile perforare il terreno completamente, quindi i calcoli dei geologi si riferiscono solo a un terzo del volume (fino a 1.500 metri dalla superficie).
Perché la roccia fosfatica è importante
Come accennato, la roccia fosfatica è fondamentale per ottenere il fosforo. Un elemento cruciale per vari processi, come nella produzione di fertilizzanti, settore in cui non esiste una valida alternativa e che vede l’utilizzo di oltre il 90% della roccia fosfatica estratta a livello globale. Il fosforo è una parte essenziale anche del processo di decarbonizzazione al centro della strategia Ue, dalla realizzazione di pannelli solari e quella di batterie per le auto elettriche, di tipo LFP (litio-ferro-fosfato).
Quest’ultima tipologia di batterie rappresenta tuttavia il “parente povero” delle più diffuse e apprezzate batterie agli ioni di litio. I costi inferiori nella produzione di dispositivi LFP hanno però spinto alcune grandi aziende a riconvertire la loro industria di accumulatori, e la scoperta del nuovo giacimento norvegese potrebbe fornire un impulso ulteriore a questo processo. Un processo che appare però lungo e complesso: secondo la rivista Nature, l’utilizzo di fosfati nell’industria delle batterie rappresenterà appena il 5% nel 2050.
Una promessa di “indipendenza” industriale?
Nonostante l’Ue non classifichi la roccia fosfatica come materia “strategica”, ma “critica”, la scoperta del maxi sito in Norvegia potrebbe concretamente portare l’Europa a rendersi indipendente dall’importazione e dalla lavorazione del fosfato da parte di Paesi terzi, in primis la Cina (sanzioni e contro-sanzioni: ecco la guerra economica di Pechino). Al momento la raffinazione dei composti di roccia fosfatica avviene infatti quasi esclusivamente in Asia (in Vietnam e Kazakistan, oltre che in Cina). Non solo: lo sfruttamento del giacimento potrebbe portare a un sensibile e necessario abbassamento dei prezzi, i quali al momento sono ostaggio della forte domanda e della bassa offerta, concentrata nelle mani di pochissimi Stati. E la sua importanza è primaria anche nella produzione di chip, al centro soprattutto negli ultimi giorni di una feroce disputa tra il Dragone e l’Occidente.
Lo sfruttamento della roccia fosfatica è tuttavia molto pesante per l’ambiente, ma la Norge Mining promette grande attenzione anche a questo aspetto fondamentale. Il fondatore Michale Wurmster dichiara che la Norvegia “sarà in grado di osservare standard ambientali più severi nell’estrazione e nella lavorazione rispetto ai concorrenti asiatici”, grazie a una più performante tecnologia di cattura e stoccaggio del carbonio. Da parte sua, la Commissione europea prende tempo e dovrebbe approvare definitivamente la proposta di legge sulle materie prime critiche entro la fine del 2023.
Il deposito contiene anche vanadio e titanio, anch’essi classificati come materie prime critiche da Bruxelles e importanti. Il primo è necessario per migliorare l’acciaio e per le gigantesche batterie liquide ad alta tecnologia utilizzate dalle società elettriche. Il titanio è essenziali in numerosi processi industriali: dal settore dei motori a reazione all’ambito aerospaziale.
I problemi legati all’ambiente
Uno dei rischi più grandi legati all’industria del fosforo è quello dell’impatto sull’ambiente. Un problema globale, visto che l’intero sistema produttivo utilizza circa 50 milioni di tonnellate di fosforo ogni anno. Si è osservato, ad esempio, che il fertilizzante fosfatico utilizzato in agricoltura è finito nelle acque dei fiumi, provocando la fioritura infestante di alghe. Secondo l’Onu, a essere compromessi dall’eccesivo utilizzo di questo elemento in ambito agroalimentare sono anche gli ecosistemi lacustri e marini.
Secondo gli esperti, l’uomo ha compromesso in maniera incontrovertibile il ciclo globale del fosforo. In alcune regioni del mondo viene infatti riversato troppo fosforo nel suolo per le colture, inasprendo anche le diseguaglianze sociali, visto che in molte zone gli agricoltori che non hanno accesso ai fertilizzanti sintentici non possono reggere la concorrenza delle coltivazioni intensive. Secondo l’Unep (United Nations environment programme), l’aumento del riciclaggio del fosforo dai rifiuti “ha il potenziale per aumentare la sicurezza alimentare riducendo allo stesso tempo l’impatto sull’ambiente”.
Stando all’American Geophysical Union e all’Università del Nebraska, le attività umane a livello mondiale hanno causato la diffusione di 1,62 milioni di tonnellate di fosforo ogni anno nei principali bacini d’acqua dolce. Anche in questo caso è l’Asia a conservare il primato: la Cina ne è responsabile per il 30%, seguita dall’India con l’8% e dagli Stati Uniti col 7%. Il maggior contributo al carico globale di fosforo proviene al 54% dalle acque reflue domestiche, seguito dall’agricoltura con il 38% e infine dall’industria con l’8%. La crescita maggiore di inquinamento da fosforo è però in capo al settore agricolo, che ha raggiunto quasi il milione di tonnellate.