Un sisma 500 volte più forte di quello che ha colpito Amatrice, come se 130 bombe atomiche fossero cadute contemporaneamente tra il suolo turco e quello siriano. È questo l’effetto, immaginato, del grave terremoto che ha colpito lunedì 6 febbraio 2023 Turchia e Siria, uno sciame che si è prolungato nel corso della giornata e che prosegue ancora oggi provocando migliaia di morti e feriti. Al momento il bilancio è di oltre 8.300 decessi, un quadro che purtroppo potrebbe aggravarsi sempre di più nei prossimi giorni a causa del crollo di molti palazzi residenziali.
Ma una scossa così forte come la prima, quella di 7.8 di magnitudo registrata alle 2:17, porterà con sé di certo altre repliche che, seppur in minor misura, faranno preoccupare e non poco le popolazioni interessate. Ecco quindi che si parla di pericolo di epidemia sismica, evento che in casi del genero non può essere escluso. Col governo guidato da Recep Tayyip Erdogan che tenta di correre ai ripari.
Cos’è un’epidemia sismica
Quando si parla di epidemia sismica si fa riferimento all’insieme di eventi sismici che possono susseguirsi nel tempo dopo un forte terremoto. A volte, banalmente, vengono definite anche scosse di assestamento che però, nel caso degli eventi che hanno coinvolto Turchia e Siria, potrebbe portare con sé repliche non di poco conto. Ne è esempio la scossa arrivata nove ore dopo quella principale di 7.8 di magnitudo, con una replica di magnitudo 7.5 alle 11 del mattino e quella successiva di magnitudo 6.0 del pomeriggio di lunedì.
L’epidemia sismica, usando l’esempio dei virus, è dunque l’effetto che la terra “malata” risente dopo un terremoto. Si può quindi parlare di fenomeni che possono durare giorni, mesi o addirittura anni. Si differenzia dallo sciame sismico dal fatto che questo è di per sé calante, mentre l’epidemia sismica potrebbe portare a scosse uguali o appena inferiori rispetto a quello principale.
I timori dopo il terremoto in Turchia
Ma perché si parla di epidemia sismica dopo il terremoto in Turchia? Il sisma che ha colpito il Paese ha provocato l’attivazione di una porzione lunga circa 190 chilometri e larga 25 della faglia dell’Anatolia orientale, il confine tettonico tra le tre placche, che assesta il moto del blocco anatolico, a sua volta causato dalla collisione in atto con la placca euroasiatica. Secondo le prime valutazioni, la Turchia sarebbe scivolata di almeno tre metri rispetto alla Siria, anche se il dato più preciso si avrà dopo il rilevamento satellitare.
Secondo quanto riferito da Carlo Doglioni, presidente dell’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) intervistato dal Corriere della Sera, è impossibile prevedere cosa succederà nei prossimi giorni: “Fino a quando l’energia accumulata non sarà liberata, il fenomeno non si interromperà”.
Guardando alla storia sismica della Turchia, poi, bisognerà aggiornare i dati in futuro. Dal 1970, infatti, solo tre terremoti hanno avuto magnitudo 6 o superiore entro 250 km dal terremoto del 6 febbraio 2023, tuttavia, da quando questi eventi procedono lungo la faglia dell’Anatolia orientale con il terremoto di Adana-Ceyhan del 1998, seguito dai terremoti di Bingöl del 2003 e di Elazığ del 2010 e del 2020, nessun sisma aveva avuto la forza distruttiva di quest’ultimo evento.