Microplastiche negli alimenti, occorre fare attenzione anche alle comode “schiscette”

Un recente studio condotto dall'Università degli studi di Milano ha concluso che i contenitori in plastica riscaldati possono rilasciare microplastiche

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Francesca Secci

Giornalista

Giornalista pubblicista con esperienza in redazioni rilevanti, è specializzata in economia, finanza e geopolitica.

Un recente studio condotto dall’Università degli Studi di Milano, in collaborazione con l’azienda Eos e l’Università di Milano-Bicocca, ha rilevato che i contenitori alimentari riscaldati al microonde possono rilasciare microplastiche nell’ambiente. La ricerca, pubblicata sulla rivista internazionale Particles and Particle Systems Characterization, evidenzia i rischi legati all’uso improprio dei contenitori in plastica durante il riscaldamento degli alimenti.

Le microplastiche sono ormai presenti ovunque, dalle vette montane agli abissi oceanici, e il loro impatto sull’ambiente e sulla salute umana è ancora poco chiaro, ma potenzialmente dannoso.

Questi frammenti microscopici sono inalati quotidianamente e ingeriti con acqua e cibo. Alcune ricerche indicano che ogni settimana assumiamo una quantità di plastica pari al peso di una carta di credito. Un modo per ridurre l’esposizione potrebbe essere evitare di riscaldare alimenti in contenitori di plastica nel microonde.

La “schiscetta” e l’ambiente

Portarsi il pranzo in ufficio nella cosiddetta “schiscetta” e scaldarlo al microonde senza seguire le istruzioni corrette può contribuire al rilascio di microplastiche negli alimenti. Questo fenomeno è stato osservato grazie alla tecnologia Spes, Single Particle Extinction and Scattering, sviluppata nei laboratori di Fisica dell’Università Statale di Milano e utilizzata da Eos per caratterizzare otticamente le polveri.

Il protocollo di ricerca

L’idea di verificare se i contenitori alimentari in plastica scaldati al microonde rilasciassero micro e nanoplastiche è nata da Eos. Utilizzando la tecnologia “Spes”, è stata evidenziata la formazione di nano e microsfere di plastica durante il riscaldamento di acqua pura, simulando il riscaldamento del cibo.

Quello della “Spes è un metodo innovativo che permette di classificare nano e microparticelle in modo molto preciso e completo”, spiega Marco Pallavera, direttore Ricerca e Sviluppo di Eos e primo autore dell’articolo.

Risultati della ricerca

La ricerca ha dimostrato che riscaldando acqua pura nei contenitori alimentari si liberano nano e micro-sfere di polipropilene, il materiale di cui sono costituiti i contenitori stessi.

Il polipropilene, biocompatibile, fonde tra i 90 e i 110 gradi. Portando l’acqua a ebollizione, una piccola parte di polipropilene si fonde e poi si solidifica nuovamente in acqua. Questo processo è simile a quello utilizzato industrialmente per produrre nanosfere polimeriche.

I risultati, analizzati in dettaglio anche da Llorenç Cremonesi e Claudio Artoni del laboratorio EuroCold presso l’Università Milano-Bicocca, sono stati corredati da immagini al microscopio elettronico prese da Andrea Falqui dell’Università Statale di Milano.

Tiziano Sanvito, amministratore di Eos, sottolinea l’importanza di seguire le indicazioni dei produttori: “Diversi produttori specificano di non portare i contenitori oltre i 90 °C, o di non riscaldarli per troppo tempo nel microonde, o di non usare l’apparecchio alla massima potenza. Seguendo queste indicazioni, l’effetto non si verifica”.

Impatto sull’ambiente

Marco Potenza, docente di Ottica presso il dipartimento di Fisica “Aldo Pontremoli” dell’Università Statale di Milano, conclude: “Le nano e micro-particelle prodotte contribuiscono alla dispersione di plastica nell’ambiente, un problema crescente nel mondo moderno”.

La conferma da uno studio americano

Anche un recente studio pubblicato sulla rivista Environmental Science & Technology, condotto dalla University of Nebraska-Lincoln, ha concluso che i contenitori di plastica autorizzati per l’uso alimentare possono contaminare il cibo con microplastiche quando riscaldati nel microonde.

Lo studio ha analizzato il rilascio di microplastiche (particelle tra 100 nanometri e 5 millimetri) e nanoplastiche (tra 1 e 100 nanometri) da buste e contenitori di plastica ai cibi in base all’uso.

Gli effetti delle microplastiche sulla salute umana sono ancora poco compresi. I ricercatori della University of Nebraska-Lincoln hanno simulato le conseguenze sulle cellule renali, esponendole a concentrazioni di microplastiche simili a quelle rilevate negli esperimenti. Il 77% delle cellule esposte alle concentrazioni più elevate è morto. Tuttavia, i ricercatori ammettono che non è chiaro quante microplastiche raggiungano effettivamente i reni e cosa accada all’interno del corpo umano.