Avete letto l’ultimo report dell’IPCC e vi è salita un po’ di preoccupazione? Potrebbe trattarsi di eco ansia. Gli eventi causati dai cambiamenti climatici stanno cambiando il mondo che conosciamo. Le gravi conseguenze sono dirette ed indirette in numerosi ambiti, compreso quello della salute mentale. Riconoscere e curare gli effetti psicologici principali della crisi climatica, diventerà sempre più importante negli anni a venire.
L’eco ansia o depressione climatica, è stata definita dall’’American Psychological Association (APA)” come un disturbo psico-fisico che corrisponde alla “paura cronica del disastro ambientale“.
Termine che qualche decennio fa non esisteva, ma che ora è un fenomeno diffuso a macchia d’olio. I cambiamenti climatici, stanno stravolgendo il mondo, creando nuovi scenari ed inevitabilmente, un nuovo vocabolario. La parola è legata ad “solastalgia”, termine coniato da Glenn Albrecht nel 2003, e che indica la nostalgia di chi non riconosce più il suo territorio, la sua casa, a causa delle conseguenze del cambiamento climatico. Un linguaggio in continua evoluzione che ci prepara a riconoscere e affrontare le sfide di un nuovo mondo.
Il cambiamento climatico non sta solo distruggendo il pianeta, ma lentamente erodendo anche la nostra salute mentale. L’inerzia dei potenti della Terra di fronte alla crisi climatica rischia di rubarci il futuro, ma (anche) di rovinare il presente, oscurandone la serenità.
Che cos’è l’eco-ansia?
L’eco ansia fa parte della famiglia dei disturbi dell’ansia, ma non è ancora stata ufficialmente riconosciuta e inserita all’interno del manuale diagnostico dei disturbi mentali (DSM-5), ovvero il manuale con cui professionisti della salute mentale si orientano per porre diagnosi.
L’Eco-Ansia è una malattia da guarire? No. Non è una patologia dalla quale bisogna guarire perché è una risposta sana e costruttiva di fronte ad una minaccia reale. L’angoscia per i cambiamenti climatici non è causata da un referente, ma poggia comunque su valide ragioni, quindi non possiamo propriamente parlare di “disturbo mentale”. Oltretutto, non si tratta nemmeno di un problema personale, ma collettivo, in quanto la situazione ambientale ci riguarda tutti.
Chi soffre di più
L’eco ansia non ha età, ma le statistiche ci raccontano che i soggetti maggiormente esposti sono i giovani della generazione z (i nati tra il 1995 e il 2010) la più informata e colei che ha più futuro da vivere di tutti.
Diversi studi e articoli indagano l’eco-ansia nei giovani, addirittura nei bambini, il loro pessimismo e la loro vulnerabilità, soprattutto in relazione alla percezione del fallimento delle risposte politiche e istituzionali. Uno studio condotto dall’Università di Beth e da altre importanti istituzioni coinvolgendo un campione di diecimila persone provenienti da dieci paesi diversi: Australia, Brasile, Francia, Finlandia, Filippine, India, Nigeria, Portogallo, Regno Unito e Stati Uniti.
La ricerca ha dimostrato come il 45% di chi ha tra i 16 e 25 anni soffre di eco ansia e che il 58% delle persone intervistate si sente tradita dal proprio governo. Gli autori dello studio ritengono che l’eco ansia sia un “fattore di stress ineludibile” che può impattare negativamente il benessere psicologico delle generazioni più giovani.
I sintomi
Gli impatti della crisi climatica sulla salute mentale hanno profonde implicazioni. Uno stato di attivazione continuo, accompagnato da un senso di impotenza e catastrofismo possono ripercuotersi sulla salute mentale a lungo termine.
Stress, ansia, ansia generalizzata, cattivo umore, terrore, rabbia, impotenza, insonnia, fino a sfociare in attacchi di panico, disagio mentale estremo, disturbo da stress post-traumatico (PTSD), ridotte capacità di autonomia e controllo dei sentimenti di impotenza, fatalismo e paura, depressione, aumento del rischio suicidario e del consumo di sostanze. Si riscontra inoltre, un ulteriore deterioramento in coloro che hanno una storia di malattia mentale. A raccontarcelo è questo recente studio.
Come possiamo affrontarla
Può succedere che le preoccupazioni diventino eccessivamente invalidanti. L’eco ansia non va banalizzata, ma al contrario, dobbiamo validarla ed accogliere il nostro sentire, mettendo in pratica comportamenti pro-attivi che possano farci sentire utili alle cause che vorremmo portare avanti. Se partiamo dal presupposto che questo tipo di ansia è innescata da una minaccia reale, essa può essere intesa come un fenomeno fisiologico che ha pertanto una valenza evoluzionistica e protettiva che non deve essere curata bensì favorita.
Secondo gli esperti di eco-psicologia il modo migliore per combattere l’eco-ansia è il ricongiungimento con la natura. Dal semplice prendersi cura di piante e orto, alle attività outdoor, fino al Forest Bathing.
Altre azioni che possiamo mettere in atto:
- Non facciamoci carico di situazioni che non abbiamo creato e che non abbiamo il potere di cambiare. Colpevolizzarci eccessivamente non aiuterà noi e nemmeno la causa;
- Distogliamo il pensiero dalle notizie catastrofiche e concentrati su ciò che di bello la natura può offrire. ProteggI, celebra e racconta la bellezza del mondo, così non ti dimentichi per cosa stai lottando;
- Condividiamo le nostre preoccupazioni con altre persone. Comunicare il cambiamento climatico e coinvolgere tutti nella risposta a questa crisi, significa avere ancora fiducia nella nostra capacità di reagire;
- Promuovi condotte pro-ambientali attraverso la partecipazione in attività ecologiche autonome o promosse da associazioni. L’impegno nella divulgazione di informazioni atta ad aumentare la consapevolezza collettiva, può aiutare a trovare persone con cui condividere le preoccupazioni climatiche. Più gruppi, associazioni, movimenti: è così che persone ordinarie diventano forti e possono influenzare governi e aziende;
- Chiedi azioni politiche. è necessario che venga messa in atto una strategia globale comune e unita per affrontare le cause principali del surriscaldamento globale. Scrivi mail, firma petizioni, condividi, scendi in strada;
- Concentrati sul presente e gestisci il tuo sentire con tecniche di respirazione, meditazione, yoga ma anche freewriting (scrittura libera) e journaling.
Non lasciamo che il catastrofismo rischi di diventare per molti l’ennesima scusa per non fare nulla e dire che è troppo tardi. Un atto concreto e rivoluzionario che tutti possiamo fare è diventare consapevoli di quanto potere abbiamo sia singolarmente, sia come umanità, nel disegnare il futuro. Ognuno può contribuire nel suo ambito e a livello individuale, cominciando a fare scelte più responsabili, e dandosi obiettivi raggiungibili. Gli unici ostacoli sono politici e immaginativi.