L’olio di semi di girasole sparirà presto dagli scaffali dei supermercati di tutta Italia ed Europa. Proprio così, a causa del conflitto ucraino e il conseguente blocco delle forniture provenienti dall’Ucraina, l’olio di semi di girasole non si trova e presumibilmente non si troverà nemmeno in un futuro prossimo.
Il Ministero dello Sviluppo Economico ha avvisato che “entro un mese, con l’attuale andamento dei consumi, le scorte di olio di semi di girasole sono destinate a esaurirsi. La situazione potrebbe inoltre complicarsi ulteriormente, se il conflitto dovesse proseguire, perché salterebbe la semina prevista in primavera.”
Infatti, la stagione della semina per il prossimo raccolto (quello del 2023) avrebbe dovuto iniziare in marzo, per poi raccogliere in autunno. Sotto le bombe e con i porti bloccati, quel racconto si può già considerare perduto.
Olio di girasole, quanto è importante per la nostra economia
La Russia e l’Ucraina sono due partner commerciali particolarmente preziosi per l’Unione Europea e il conflitto tra i paesi sta avendo diverse ripercussioni, che superano il perimetro della questione energetica e toccano diversi settori.
Prima della guerra, Russia ed Ucraina producevano circa il 60% del seme di girasole mondiale, ed insieme contavano per quasi l’80% dell’export globale di olio di semi di girasole. L’Ucraina per l’Italia rappresenta oltre il 60% delle importazioni di olio perché non siamo autosufficienti. Ne produciamo infatti 250mila tonnellate ma il nostro consumo è di quasi 800mila. Largamente insufficiente per le necessità dell’industria alimentare. La sua mancanza, rischia di rendersi strutturale e non momentanea, in tutta l’Europa.
Il problema delle etichette e del costo
Alla questione si somma anche la necessità di aggiornare le etichette riportanti gli ingredienti in conformità con il regolamento UE 1169/2011. Tenuto conto della difficoltà di provvedere in tempi rapidi alla stampa e dei relativi costi, e in considerazione della complessità del quadro attuale, si è individuata una soluzione sicura per i consumatori ed al tempo stesso non complicata per i produttori, in questo momento di grande criticità per il settore
Si potrà ri-etichettare, anche fai-da-te (da parte delle attività commerciali) le bottiglie che contengono olio per uso alimentare. I produttori, nel rispetto della sicurezza e corretta informazione dei consumatori, potranno prevedere di utilizzare ticket adesivi che indicano la generica denominazione di “oli e grassi vegetali” seguita “dalle origini vegetali potenzialmente presenti” in base alle forniture disponibili. Non sarà obbligatorio specificare se il prodotto contiene olio di girasole oppure di palma, mais o soia.
Quanto è aumentato il costo dell’olio di semi? Coldiretti parla di un +23,3%. I consumatori finali italiani che acquistano olio di semi di girasole dalla grande distribuzione rappresentano solo una parte del mercato. L’olio di semi di girasole non figura nemmeno ai primi posti nella lista della spesa degli italiani e può essere facilmente rimpiazzato da altri oli. A casa, per esempio, si può sostituire l’olio di girasole con l’olio di mais, di soia o d’arachide.
Quali aziende usano l’olio di girasole
La principale preoccupazione sta altrove, e più precisamente nell’importante fetta dell’economia italiana che utilizza quest’olio. Di quali aziende parliamo? L’industria oleochimica ed energetica con il bio diesel, le farine per uso zootecnico e l’industria alimentare.
Quest’ultima, ha utilizzato l’olio di girasole in modo massiccio come componente e addensante di moltissimi alimenti come maionese, margarine, salse, sughi, snack, prodotti da forno come cracker o biscotti, fritti e gelati. L’olio di semi di girasole è presente nel 90% dei prodotti alimentari e viene usato come addensante in tutti i biscotti più venduti in Italia. Se estendiamo poi il pensiero al settore della ristorazione e della pasticceria, risulta che tutti questi comparti subiranno rincari anche per le forniture alimentari di farina, pasta, zucchero e quelle energetiche.
Come faranno ora, intere produzioni dell’industria alimentare, a soddisfare i loro fabbisogni? Rischiano, nella migliore delle ipotesi, di dover modificare i propri processi.
Per alcune industrie sarà più complesso di altre, poiché non potranno cambiare velocemente la produzione. L’olio di palma, per esempio, è solido e quindi chi ha un sistema produttivo basato sull’olio liquido dovrebbe approntare modifiche sostanziali. Poi c’è la questione organolettica, perché l’olio di girasole è neutro mentre altri hanno un sapore che può cambiare la percezione soggettiva del prodotto finale. Insomma, olio di colza, di soia, di cocco o di palma, non sono così facilmente sostituibili e ogni paese ha delle esigenze alimentari diverse.
Si torna all’olio di palma?
In molti prevedono il grande e inaspettato ritorno del caro, vecchio e temuto olio di palma. Tutti ci ricordiamo le battaglie combattute per eliminarlo dalle liste ingredienti dei prodotti più disparati.
Agli inizi degli anni 2010, le campagne pubblicitarie condotte dalle NGO contro il massiccio uso di olio di palma nell’industria alimentare, hanno raggiunto il loro scopo: limitarne esponenzialmente l’uso per preservare habitat e limitarne i possibili risvolti negativi sulla salute dei consumatori.
Questa situazione, ai tempi, aveva orientato molte aziende italiane (ma non la Ferrero per la realizzazione della sua Nutella) ad orientarsi su altre tipologie di grassi, sostituendo l’olio di palma con altri oli vegetali come quello di soia, colza e girasole.
Insomma, probabilmente assisteremo ad un dietro-front rispetto a questo grasso tanto dibattuto sul piano ambientale e su quello della salute.
Davvero c’è da preoccuparsi per la nostra salute? La rivista Nature ha recentemente pubblicato uno studio che conferma come non sia di per sé l’acido palmitico contenuto in questo olio a scatenare i tumori. Airc Italia ha poi puntualizzato che: “Con una normale alimentazione è molto difficile raggiungere le quantità che aumenterebbero davvero in modo misurabile il rischio individuale di sviluppare un tumore. è consigliabile non abusare di cibi contenenti olio di palma, ma non c’è alcun motivo ragionevole per eliminarli del tutto”.
Secondo l’Efsa, Autorità europea per la sicurezza alimentare, 2 microgrammi per chilo al giorno è la quantità considerata sicura per l’organismo umano. Sul piano ambientale, invece, c’è chi spinge per assistere al ritorno dell’olio di palma “sostenibile”. Ma esisterà davvero?