Ucraina, dopo tre anni Putin dichiarerà vittoria ma ha solo fretta di congelare la guerra

Mentre Usa e Russia si preparano a intavolare negoziati senza Ue e Ucraina al tavolo, i tre anni di guerra si fanno sentire sul groppone di Mosca. Putin non può più ignorare tre segnali d'allarme che potrebbero far implodere la Federazione

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Pubblicato: 23 Febbraio 2025 18:57

Il 24 febbraio, in occasione del terzo anniversario dell’invasione sul larga scala dell’Ucraina, Vladimir Putin annuncerà la vittoria della Russia. In maniera unilaterale, proprio come ha annesso alla Federazione le quattro regioni ucraine occupate (neanche per intero). Il discorso alla nazione avverrà in propaganda magna, come al solito.

La realtà delle cose è che Mosca non ha più forza e voglia di continuare una guerra che non è riuscita a vincere nelle due settimane inizialmente previste, e che da tre anni la logora sia a livello materiale che di reputazione. Ma ecco l’assist insperato: gli Usa di Trump si allineano alla retorica del Cremlino e sembrano voltare le spalle all’Ucraina. Ma nella nebbia della guerra, che proseguirà sotto altre forme, nulla è mai come sembra.

Perché Trump e Putin vogliono fermare la guerra in Ucraina

Mentre le delegazioni di Washington e Mosca si preparano ai negoziati con un’accelerazione inedita, è bene rammentare uno dei principi basilari della diplomazia internazionale: i veri accordi non vengono mai svelati o pubblicizzati prima che siano avvenuti in gran segreto. Per ora abbiamo assistito solo alla passerella di due Capi di Stato innamorati di loro stessi, più che espressione dei propri popoli. Da parte degli Stati Uniti, Donald Trump potrebbe supporre che porre fine alla guerra aumenterà il suo prestigio globale e forse persino premiarlo con un Premio Nobel per la Pace. Se l’hanno dato a Barack Obama, in fondo, perché non anche a lui. La necessità di mantenere le promesse elettorali, aumentando il benessere interno americano, si sposa benissimo con la volontà degli apparati statunitensi di stemperare i troppi fronti aperti in giro per il mondo.

Da parte russa, Vladimir Putin è abituato a correre sulle faglie di crisi da oltre un ventennio. Come figura statalista, il suo primo obiettivo è far credere di aver riportato la Russia a livelli di grandezza tali da negoziare il futuro dell’Europa direttamente con gli egemoni globali, cioè gli Usa. Ma questa è solo una parte della verità. L’economia e il bilancio statale russi sono da tempo sottoposti a una pressione immensa e il presidente sa che la guerra è diventata finanziariamente insostenibile. Per non parlare dell’aspetto sociale, con le minoranze etniche delle Repubbliche periferiche che hanno pagato il prezzo di sangue più alto per Mosca e che minacciano di far partire rivolte pilotate anche da attori stranieri. Lo scopo più urgente del Cremlino a livello pratico diventa quindi quello di ottenere concessioni dagli Stati Uniti sul fronte delle sanzioni.

Lo stato dell’economia russa si aggrava

Oltre ai primari discorsi sulla potenza e sulla proiezione imperiale, che per Mosca e russi profondi vengono prima di tutto, il Cremlino non può più ignorare tre segnali d’allarme principali.

  • La crisi di Gazprom, che prima del ridimensionamento delle forniture verso l’Europa rappresentava il 10% delle entrate statali. Le perdite record e i paralleli investimenti miliardari nella rete gasiera siberiana e asiatica con i cinesi hanno compromesso la “mucca” dalla quale Mosca mungeva soldi.
  • La crisi bancaria: banche statali russe sono sempre più riluttanti ad acquistare il debito sovrano della nazione, sollevando dubbi sulla capacità di Mosca di finanziare il suo deficit di bilancio in un momento in cui le sanzioni limitano il movimento sui mercati internazionali.
  • Le nuove sanzioni secondarie, imposte dall’amministrazione Biden a fine mandato, stanno cominciando a farsi sentire. Si tratta di azioni ostili anche nei confronti di quei Paesi, soprattutto centroasiatici ma anche europei, che si prestavano come argini per aggirare i blocchi commerciali predisposti dagli Usa. Risultato: gli impianti di gas naturale liquefatto della Russia nell’Artico versano in condizioni critiche e molti carichi di petrolio russo sono rimasti invenduti.

Per continuare a finanziare la guerra, il Cremlino ha attinto ai risparmi del Russian National Welfare Fund. Mossa disperata, che non vede piani B. La liquidità disponibile della Federazione è diminuita del 60% da febbraio 2022, anche se è sempre più arduo stimare numeri esatti da quando il ministero dell’Economia russo ha bloccato l’accesso ai dati rilevanti. Ulteriore indizio, tra l’altro, che conferma lo stato di difficoltà di Mosca. Il Cremlino non vuole arrivare a istituzionalizzare lo scenario di ultima istanza, cioè aprirsi ufficialmente al sostegno finanziario da parte della Cina. Pechino sta già riempiendo depositi e serbatoi del grano e degli idrocarburi russi a prezzo scontato, pagato per giunta a rate e in yuan. La Repubblica Popolare è tuttavia al contempo impegnata a evitare lo scoppio di una grande guerra commerciale con Usa e Ue, pena la riduzione del surplus col quale sta finanziando la sua ascesa alla superpotenza.

Gli accordi sono già chiari a Usa e Russia, meno a noi

Secondo le previsioni, le difficoltà finanziarie di Mosca possono solo peggiorare, a meno che una brusca revoca delle sanzioni statunitensi non dia al Cremlino un po’ di respiro. Collocando, ad esempio, parte di debito estero e tornando a vendere più idrocarburi ai vecchi clienti occidentali. Questo è esattamente ciò che Putin spera di ottenere da Trump, dando al contempo l’immagine di volere la pace e di aver vinto la guerra sul terreno. Il presidente russo sa anche che più a lungo proseguirà il conflitto in Ucraina, più alti sono i rischi che le pesanti condizioni economiche alimenteranno disordini popolari. Fino al colpo di Stato, come la storia russa ci insegna. Per assurdo Trump farebbe dunque meglio a tirarla per le lunghe, in modo che la Russia si trovi in una condizione tale da non potersi permettere di fare troppe richieste.

Nella realtà, i negoziati tra Usa e Russia sono iniziati a dicembre. In segreto, com’è necessario che sia in caso di conflitti in corso. La volontà degli apparati statunitensi, che contano molto più del presidente, è di appaltare la ricostruzione e la protezione ucraina agli Stati europei, sì, ma anche ad attori stranieri. Per poter poi dire: l’Ucraina non è un affare squisitamente europeo, possiamo evitare di occuparcene. Discorso complesso e rischioso, ovviamente. Ma la Russia in questo modo eviterebbe di finire preda della Cina e al contempo potrebbe riconoscersi anche nel mercato europeo. Pesce in barile da poter giocare su ambo i fronti, orientale e occidentale. Non male come strategia.