Il salario reale di un lavoratore in Italia è diminuito da 30 anni a questa parte, in quanto nel 1990 si guadagnava di più rispetto a oggi. A evidenziarlo è una classifica Ocse che, basandosi sui dati Eurostat sui redditi medi dei Paesi membri dell’Unione Europea, ha sottolineato come il salario rapportato ai prezzi odierni è in calo drastico rispetto al 1990.
Numeri impietosi per l’Italia, soprattutto guardando allo scarto con gli altri Paesi membri che hanno saputo rispondere nel tempo all’inflazione che ha eroso, via via sempre più, gli stipendi degli italiani.
Salario reale, un passo indietro dal 1990
I dati sui quali è stata stilata la classifica Ocse sono quelli relativi ai salari reali dei Paesi dell’Eurozona registrati da Eurostat. Numeri che certificano, senza alcun dubbio, il passo indietro dell’Italia. Il nostro Paese, e soprattutto i nostri lavoratori, ha visto decrescere in maniera sostanziosa il reddito disponibile rispetto al 1990, con i dati al 2020 che fanno suonare il campanello d’allarme.
Rispetto a 30 anni fa, infatti, sono stati registrati cali del 2,9% nel salario reale paragonato a quello del 2020. Anno che, va sottolineato, ha risentito in maniera pesante della pandemia da Covid-19 e che ha visto poi la situazione economica aggravarsi sempre più.
Non è quindi una sorpresa l’ulteriore calo nel 2021, seguito da un -7,3% nel 2022 rispetto all’anno precedente. La causa? La crescita dei prezzi trainata dal rincaro dell’energia che ha ridotto pesantemente il potere d’acquisto delle famiglie che comprano sempre meno. E contemporaneamente il mancato aumento degli stipendi, ancora fermi agli standard di anni e anni fa. Per non considerare poi le condizioni lavorative alle quali devono sottostare in tanti, tra contratti stagionali o la piaga del lavoro in nero che ancora oggi non riesce a essere debellata.
Cos’è il salario reale
Per capire questo passo indietro, però, va specificato il significato di salario reale. Si intende, infatti, come il salario rapportato ai prezzi sul mercato.
Il calo del salario reale in Italia, dunque, va tradotto in un solo modo: i prezzi sono aumentati, ma gli stipendi sono rimasti sempre gli stessi. La conseguenza logica, quindi, è che il potere d’acquisto degli italiani si è assottigliato sempre di più, lasciando poco margine di manovra.
Il salario reale a confronto
Ma come si comportano gli altri Paesi? C’è chi se la passa meglio, e di molto, rispetto all’Italia. Anche perché nella classifica Ocse il Bel Paese viene considerato quello in cui, tra le grandi economie, i salari reali sono diminuiti di più.
I redditi sono cresciuti in Germania (2.7%) e in Repubblica Ceca (4.4%), molto di più in Francia, in cui il valore nominale dei salari è cresciuto indicativamente del 5%. In Italia, va sottolineato, l’aumento c’è stato ma solo dell’1%. Dato che ha portato al calo del salario reale anche negli anni in cui si parla con insistenza del salario minimo.
Infatti, come riferito da uno studio dell’associazione Adpt citato dal Corriere della Sera, l’aumento dei prezzi, così repentino e sproporzionato, ha completamente eroso l’aumento nominale delle retribuzioni contrattuali registratosi in questi anni: “Sebbene dal 2015, si sia riscontrata una crescita dei salari, anche in termini reali, nella maggior parte dei paesi europei, tale crescita, il cui trend già nel 2021 aveva subito un calo, fino a scendere drasticamente nel 2022, si è arrestata con l’aumento dell’inflazione”.