Negozi in Italia a rischio scomparsa dal 2034, aprire costa troppo

Secondo l'analisi di Confesercenti, le chiusure di negozi continuano ad aumentare: nel 2024 hanno abbassato la saracinesca circa 169 attività ogni giorno, contro le 139 del 2020

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Andrea Celesti

Giornalista economico-sportivo

Giornalista esperto di economia e sport. Laureato in Media, comunicazione digitale e giornalismo, scrive per diverse testate online e cartacee

Pubblicato: 22 Febbraio 2025 13:10

Il commercio così come lo conosciamo oggi potrebbe scomparire. Nel 2024 il settore ha subito un drastico calo, con un bilancio negativo tra nuove aperture e chiusure di negozi.

Secondo una nuova analisi di Confesercenti, in 12 mesi si sono registrate 61.634 chiusure definitive. Questa tendenza, se confermata negli anni a venire, potrebbe portare entro il 2034 all’azzeramento delle nuove aperture. Vediamo i numeri e le cause di questa crisi.

La lenta scomparsa dei negozi

Secondo l’analisi condotta da Confesercenti, il 2024 è stato un anno da dimenticare per i negozi: nel periodo compreso tra gennaio e dicembre si sono registrate 23.188 nuove attività, a fronte di 61.634 chiusure. Il rapporto è di circa uno a tre, il dato peggiore dell’ultimo decennio.

Nel 2014, le aperture ammontavano a 43.324, corrispondenti a circa 118 al giorno, mentre nel 2024 il ritmo giornaliero è sceso a 63,5, quasi dimezzandosi. Un fenomeno che si è intensificato dal 2020 e che potrebbe portare nel tempo a un azzeramento delle nuove aperture entro il 2034, segnando la fine del commercio tradizionale.

Un elemento di forte preoccupazione è rappresentato dalla dinamica delle cessazioni di attività commerciali. Mentre si osserva una diminuzione delle nuove iscrizioni, le chiusure di negozi continuano ad aumentare per il quarto anno consecutivo.

Nel 2024, si è registrata una media giornaliera di circa 169 chiusure, un incremento significativo rispetto alle 139 del 2020, anno segnato dalla pandemia.

Questo aumento ha portato il rapporto tra chiusure e nuove iscrizioni a quasi 3 a 1 (2,7), un dato allarmante se confrontato con il rapporto di 1,5 a 1 registrato nel 2014.

“La desertificazione commerciale è un problema enorme sia sul piano economico sia sul piano sociale. Purtroppo, fino ad ora si è fatto nulla o poco per porre un argine alla scomparsa dei piccoli negozi”, ha dichiarato Patrizia De Luise, presidente nazionale di Confesercenti.

“La prospettiva, sempre più concreta, è che venga definitivamente marginalizzato il canale distributivo che ha fatto conoscere i nostri prodotti in tutto il mondo. Il rischio è di trasferire il totale controllo della distribuzione commerciale a pochi monopolisti e alle grandi multinazionali che dominano le piattaforme dell’online. Un danno anche per i consumatori”.

Le cause della crisi

Sebbene la tendenza negativa sia diffusa a livello nazionale, alcune regioni mostrano un processo di desertificazione commerciale più accentuato. In particolare, le Marche registrano il rapporto più critico tra nuove iscrizioni e chiusure, con un valore di 1 a 4, con il rischio di azzeramento delle nuove aperture già nel 2031 per la regione. Seguono la Sicilia (1 apertura ogni 3,8 chiusure), il Lazio (1 a 3,7), la Sardegna (1 a 3,5) e l’Umbria (1 a 3,2).

Ma quali sono le ragioni di questa crisi? Tra i fattori che contribuiscono al declino delle nuove imprese ci sono le dinamiche demografiche.

L’invecchiamento della popolazione si riflette negativamente sul tessuto imprenditoriale: dal 2014 ad oggi, si è registrata la scomparsa di oltre 153.000 attività gestite da under 35 in tutti i settori, di cui circa la metà (66.000) nel solo settore commerciale.

Tuttavia, le difficoltà non riguardano solo fattori demografici, ma sono anche il risultato di un accesso al credito sempre più limitato e di un contesto di mercato complesso. La ripresa dei consumi delle famiglie procede a ritmo lento, mentre la concorrenza aumenta, con una crescente predominanza di grandi gruppi e piattaforme di e commerce.