Dazi e recessione spaventano Wall Street. Giù Tesla e le Magnifiche 7

Il mercato americano ha bruciato mille miliardi di capitalizzazione sui timori di un peggioramento delle condizioni economiche paventato dallo stesso Trump

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Redazione

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Pubblicato: 11 Marzo 2025 09:05

Il presidente Donald Trump ammette di non escludere la recessione e la borsa di Wall Street affonda e brucia circa mille miliardi di capitalizzazione, trascinata dal Nasdaq (-4%) e dalle Magnifiche 7. Pesanti Nvidia, Apple e Microsoft. Schianto anche di Tesla (-15%) che brucia oltre 100 miliardi su cui pesa il calo delle vendite in Cina (-49%). L’inizio di settimana è stato dunque drammaticamente negativo per Wall Street, con i tre principali indici che hanno azzerato i guadagni registrati dopo le elezioni presidenziali americane di novembre. La verità è ch il mercato americano era salito molto, non sempre supportato dai fondamentali e quindi una correzione era attesa oltre che salutare.

La Casa Bianca minimizza

La Casa Bianca prova a minimizzare il crollo di Wall Street sostenendo che c’è una differenza tra la Borsa e la situazione del business negli Stati Uniti.

“Stiamo assistendo a una forte divergenza tra gli spiriti animali del mercato azionario e ciò che stiamo effettivamente vedendo accadere da parte delle aziende e dei leader aziendali, e quest’ultimo è ovviamente più significativo del primo perché riguarda ciò che riserva l’economia nel medio e lungo termine”, ha dichiarato in una nota tramite il suo portavoce, Kush Desai.

Attesa spasmodica per i dati macro

Le turbolenze sul mercato azionario potrebbero proseguire anche questa settimana, dato che sono previsti diversi dati economici di rilievo: l’appuntamento più importante della settimana è domani, mercoledì 12 marzo, quando sarà reso noto l’indice dei prezzi al consumo di febbraio, che comprenderà il primo mese completo dell’amministrazione Trump da quando è tornato alla Casa Bianca a fine gennaio.

Si tratterà di uno degli ultimi dati importanti che la Federal Reserve riceverà prima della sua prossima riunione del 18-19 marzo, dopo una serie di letture non brillanti per l’economia USA. Venerdì scorso il rapporto ufficiale sui posti di lavoro mensili ha mostrato un’aggiunta di 151.000 posti di lavoro a febbraio, leggermente al di sotto delle aspettative, con il tasso di disoccupazione che è salito al 4,1%.

Chi è a rischio di dazi?

Con il ritorno di Trump alla Casa Bianca, gli investitori di tutto il mondo stanno ancora digerendo il cambio di direzione -sottolinea Andrew Rymer, Strategic Research Unit, Schroders – A differenza del suo primo mandato, afferma l’esperto, le azioni sul fronte commerciale sono state una priorità politica e le regole del gioco stanno cambiando.

Trump è stato inequivocabile in materia di commercio e la sua agenda politica dà precedenza ai dazi come strumento per proteggere le industrie e i posti di lavoro nazionali. Ha spesso citato gli squilibri commerciali come una preoccupazione fondamentale, sia durante il suo primo mandato sia più recentemente. I deficit commerciali degli Stati Uniti (in cui il valore delle importazioni supera quello delle esportazioni) con i paesi partner offrono quindi un indicatore per valutare il rischio tariffario.

I deficit commerciali sono solo uno dei parametri con cui Trump potrebbe misurare le relazioni commerciali. In precedenza, ha citato la manipolazione valutaria, i sussidi nazionali iniqui e il furto di proprietà intellettuale tra i potenziali catalizzatori di un’azione tariffaria. Con l’approntamento di dazi reciproci, l’aliquota effettiva media dei dazi è un’altra metrica da considerare.

Cina, Unione Europea e Messico sono ovviamente in cima alla lista. Tuttavia, spiega Rymer, ci sono altri paesi che potrebbero attirare l’attenzione, comprese varie economie asiatiche esportatrici. Trump, continua l’analista, ha concordato un accordo di libero scambio rivisto con la Corea del Sud nel suo primo mandato, ma diverse economie della regione hanno grandi deficit con gli Stati Uniti.

Per chi esporta negli Stati Uniti, la domanda chiave è quale percentuale del PIL rappresentano le esportazioni verso gli Stati Uniti. Da qui, aggiunge l’esperto, si può capire quale sarebbe l’impatto economico. Il Messico e il Canada sono i più colpiti da questo aspetto. Anche gli esportatori asiatici, Taiwan e Thailandia, sono esposti in misura considerevole.

Quali mercati azionari hanno una maggiore esposizione?

Per gli investitori azionari, valutare l’esposizione individuale di un mercato verso gli Stati Uniti in termini di ricavi è altrettanto importante. Quale percentuale di ricavi potrebbe subire un impatto negativo dall’imposizione di dazi?

Guardando ai mercati azionari delle economie con cui gli Stati Uniti hanno un deficit commerciale, e che quindi sono più probabilmente nel mirino dei dazi, Taiwan si distingue nettamente dagli altri mercati, con il 43% dei ricavi derivanti dagli Stati Uniti. I microchip sono la principale esportazione e Taiwan è il produttore di chip più all’avanguardia del mondo. Di conseguenza, si potrebbe prevedere che una risorsa così strategicamente importante possa essere esentata o beneficiare di qualche agevolazione, anche se ciò non è garantito. Anche l’Europa (escluso il Regno Unito) si distingue, così come vari mercati asiatici.

Le implicazioni per gli investitori azionari globali

Ci sono diverse economie a rischio a causa dei dazi, considerando quelle con cui gli Stati Uniti hanno un deficit commerciale. Tuttavia, c’è qualche sfumatura quando si tratta dell’impatto economico e di mercato.

I dazi hanno il potenziale di sconvolgere le catene di fornitura sia per le società statunitensi che per quelle internazionali quotate in borsa. Le aziende delle economie interessate potrebbero anche subire una riduzione della competitività o un ridotto accesso al mercato. Il potenziale reindirizzamento del commercio lontano dagli Stati Uniti determinerebbe effetti a catena per le aziende di tutto il mondo. Lo stesso potrebbe essere sostenuto per le aziende statunitensi, se venissero attuate misure reciproche. La capacità delle aziende colpite di trasferire l’impatto tariffario sui clienti è un fattore chiave. Alcune aziende potrebbero essere più isolate, o in grado di sopportare i dazi rispetto ad altre.

Se il dollaro statunitense si rafforzerà rispetto alla valuta locale, in risposta ai dazi sulle economie partner, ciò rappresenterebbe un potenziale ostacolo per i rendimenti degli investitori dai mercati partner in termini di dollari Usa. Il dollaro è rilevante anche per le multinazionali statunitensi con ricavi internazionali. Vale la pena ricordare, conclude l’esperto, che la generazione di ricavi dell’S&P 500 è a livello nazionale solo per il 59% circa. Ovvero, le aziende statunitensi guadagnano oltre il 40% dei loro ricavi da mercati non statunitensi. Oltre all’impatto della conversione valutaria, queste aziende potrebbero anche essere soggette a dazi o misure di ritorsione.