Dazi Usa, quali Paesi ci guadagnano e chi ci perde di più

L’accordo sui dazi al 15% scuote i settori strategici di diversi Paesi, come Francia e Italia. Altri invece ne escono più soddisfatti

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Giorgia Bonamoneta

Giornalista

Nata ad Anzio, dopo la laurea in Editoria e Scrittura e un periodo in Belgio, ha iniziato a scrivere di attualità, geopolitica, lavoro e giovani.

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Si sapeva da mesi, ma alla fine è stato comunque uno shock per molti Paesi: i dazi al 15% pesano e su alcuni settori strategici anche di più. All’annuncio dei dazi, gli economisti hanno subito lanciato l’allarme per i Paesi dell’Unione Europea. Questo perché l’Ue è il primo partner commerciale degli Stati Uniti e, anche nello scenario migliore, ci sarebbero stati impatti significativi.

Tra i Paesi europei alcuni sono più esposti, come Francia e Italia, ma anche Germania e Olanda. C’è poi chi ci guadagna, come Donald Trump, ma è una vittoria di Pirro. Quando i mercati Usa risentiranno degli accordi che ora festeggiano, i dazi saranno stracciati o resteranno a vegliare sull’orgoglio di colui che, come l’economista Mario Seminerio ha spiegato, si crede “il nuovo imperatore del mondo e inventore di una nuova teoria economica”?

C’è chi vince e chi perde con i dazi al 15%

Bene l’accordo con gli Usa, gridano alcuni, mentre altri iniziano a calcolare a quanto ammonteranno i danni diretti e indiretti dell’intesa: una vittoria di Pirro. Così appare la stretta di mano tra Donald Trump e Ursula von der Leyen, che ha definito l’accordo “una certezza in tempi incerti”. Non i toni entusiastici che ci si attenderebbe, mentre Trump torna a casa con un secchiello pieno e il petto gonfio.

Nelle prime ore dopo l’accordo iniziano ad arrivare appoggi e insoddisfazioni dai 27 Paesi europei. Chi vince (o perde meno) accoglie i dazi per quello che sono: la stabilizzazione di un periodo incerto. Meglio di niente. Chi ci perderà di più, invece, cerca ripari, chiede l’attivazione di meccanismi di supporto per i settori strategici a rischio e avvia colloqui interni difficili.

I Paesi positivi sull’accordo: dall’Irlanda alla Polonia

L’Irlanda, uno dei Paesi maggiormente esposti ai dazi, è soddisfatta dell’intesa. Il motivo è la stabilizzazione della relazione con gli Stati Uniti, da cui dipende per il legame con le aziende tecnologiche e farmaceutiche insediate nel Paese e che accedono a incentivi fiscali. Alcune di queste sono:

  • Apple;
  • Google;
  • Meta;
  • Pfizer;
  • Johnson & Johnson.

La Svezia, invece, vanta un mercato di nicchia per il quale gli Stati Uniti continuerebbero comunque a sborsare denaro con o senza dazi al 15%. Polonia e Paesi baltici, allo stesso modo, non sono scontenti dell’accordo. Le esportazioni verso gli Usa sono pari a 11,6 miliardi di euro, quindi i dazi non comportano un grande danno. A Varsavia, invece, interessa la questione della sicurezza militare e l’impegno europeo ad acquistare più armi dagli Stati Uniti è accolto con soddisfazione.

Lo schieramento degli insoddisfatti: chi ci perde

C’è poi la lista più lunga di chi ci perde di più dall’accordo. Paesi come Francia, Italia e Germania sono tra i più colpiti. Ai francesi non piacciono né gli impatti economici, né gli accordi aggiuntivi, come quelli per l’acquisto di gas, uranio per il nucleare e petrolio dagli Stati Uniti (per un importo di 250 miliardi di euro all’anno).

Il passaggio è delicato, perché chiede ad aziende come TotalEnergies di modificare le proprie strategie senza alcun motivo se non quello di evitare i capricci del “nuovo imperatore”. C’è poi la questione delle armi. Trump ha dichiarato che l’Europa comprerà moltissimo materiale bellico Made in USA, ma questo punto entra in contrasto con il piano di riarmo Ue, che invece punta a rafforzare l’industria militare dell’Unione. Come far coincidere le due realtà?

Anche l’Olanda rischia molto con i dazi al 15%, ma ha deciso di rimanere silente per non mettere a rischio la rotta transatlantica che frutta 43,4 miliardi di euro di esportazioni. La Germania, invece, ha parlato e ha ottenuto uno sconto dal 27,5% al 15% di dazi sul settore automotive. Una vittoria di Pirro, appunto, soprattutto se si guarda all’acciaio e all’alluminio fermi al 50%.

L’Italia, non c’è romanticismo che tenga tra Meloni che si dice soddisfatta e Trump, rischia molto in diversi settori. Meno sull’auto, anche se nelle auto tedesche c’è molta componentistica italiana, ma tanto sull’agroalimentare: dal vino ai salumi, passando per cereali, latte e derivati e frutta.

Una via alternativa: la Spagna guarda altrove

C’è poi la Spagna, che ha deciso ancora una volta di distanziarsi dagli Stati Uniti, proprio come sull’aumento della spesa militare al 5% del Pil. Non ha intenzione di sabotare il lavoro della Commissione, fa sapere Sánchez, ma non darà l’ok con entusiasmo.

Spagna e Francia sono sulla stessa lunghezza d’onda sul tema dell’emancipazione politica, economica e militare dagli Stati Uniti. Il problema è però interno: mentre Sánchez cerca equilibrio, Podemos lo accusa di piegare la Spagna al volere di Trump.