Il neo premier Draghi ha sollevato Domenico Arcuri dall’incarico di commissario all’emergenza Covid. Al suo posto il Generale di Corpo d’Armata Francesco Paolo Figliuolo. Per quanto i toni tra i due siano stati in apparenza cordiali, la mossa di Draghi è stata chiara nei confronti di una gestione della pandemia considerata superficiale, manchevole e quantomeno “curiosa”, in più parti.
Cosa ha fatto Domenico Arcuri
Il premier Mario Draghi ha dato il benservito a Domenico Arcuri. Classe ’63, nato in un piccolo paese della Provincia di Reggio Calabria, dopo la Nunziatella di Napoli e la laurea in Economia nel 1986 alla Luiss di Roma, Arcuri inizia nel 1986 la sua carriera nella partecipata dallo Stato Iri e nel 2004 diventa amministratore delegato della società leader nel settore di consulenza alle aziende Deloitte Consulting.
Amministratore delegato di Invitalia dal 2007, viene nominato dal governo Conte il 18 marzo 2020 commissario all’emergenza nella lotta alla pandemia. Invitalia, società, posseduta dal ministero dell’Economia, si occupa ad oggi di attrazione degli investimenti, sviluppo del Mezzogiorno, aziende in crisi, bonifiche, accoglienza migranti, digitalizzazione della Pubblica amministrazione, ricostruzione post terremoto, salvataggio Ilva e Banca Popolare di Bari.
Quanto ha guadagnato Arcuri
In qualità di manager di Deloitte Consulting pare che Arcuri sia arrivato a percepire uno stipendio di circa 600mila euro l’anno. Con il suo arrivo alla guida di Invitalia la cifra sale parecchio: secondo diversi giornali il suo compenso era di oltre 900mila euro all’anno, almeno fino al 2013, quando è stata approvata la norma che fissa un tetto allo stipendio dei manager pubblici.
A quel punto, come riferito dallo stesso Arcuri in alcune interviste, il suo stipendio è sceso a 300mila euro l’anno “tutto compreso”. In veste di commissario Covid, il compenso per i commissari straordinari è fissato per decreto ministeriale in 100mila euro lordi annui.
Come funziona la macchina acquisti prima della pandemia
Come spiegano bene Milena Gabanelli e Simona Ravizza in un’inchiesta pubblicata su Dataroom-Corriere della Sera e dedicata alle spese di Arcuri, fino all’emergenza Covid la spesa di tutto ciò di cui ogni anno gli ospedali hanno bisogno, cioè 28 miliardi di bandi di gara aggiudicati, è così ripartita:
- centrali d’acquisto delle Regioni comprano il 60%
- ospedali comprano il 30%
- Consip compra il 10%.
Lo scoppio dell’epidemia rende necessaria la presenza di un commissario con funzione di coordinamento. Il decreto del 17 marzo 2020 conferisce ad Arcuri, nominato da Giuseppe Conte Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure occorrenti per il contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica Covid (incarico che termina il 1º marzo 2021), il compito di acquistare ogni bene indispensabile al contenimento della diffusione del virus, anche in deroga alle norme. In pratica, tutti gli atti sono sottratti al controllo della Corte dei Conti, fatti salvi gli obblighi di rendicontazione. Arcuri potrebbe utilizzare le centrali d’acquisto regionali ma non lo fa.
Una lunga esperienza manageriale ma nessun competenza specifica in Sanità, Arcuri prova a soddisfare il fabbisogno di camici, guanti, tamponi, respiratori, gas medicali, reagenti, siringhe, letti, e chi più ne ha più ne metta: ma non ce la fa, e per più della metà devono pensarci le Regioni.
Quanto ha speso Arcuri
Secondo quanto rilevato da Gabanelli e Ravizza sulla base dei dati di MaSan (Management acquisti contratti in Sanità) del Bocconi-Cergas, Arcuri avrebbe speso:
- 65,4 milioni per guanti di vinile e nitrile (le Regioni devono sopperire per 138 milioni)
- 197 milioni per respiratori, monitor e letti, pari al 57% del totale (le Regioni 81, pari al 23%, e Consip 71, pari al 20%)
- 338 milioni per camici, calzari, cuffie e visiere (le Regioni 1,4 miliardi)
- 110 milioni (pari al 49%) per tamponi e reagenti (le Regioni 113, pari al 51%).
Al 30 dicembre 2020 la spesa per le attrezzature e i materiali sanitari indispensabili nella lotta alla pandemia è di 5,5 miliardi, così ripartiti:
- acquisti Arcuri per 2,8 miliardi, di cui 1,8 miliardi (il 65% del fabbisogno) riguardano mascherine chirurgiche, Ffp2 e Ffp3 (51% sul totale)
- acquisti Regioni per 2 miliardi (36,3% sul totale)
- acquisti Consip per 400 milioni (7,3 sul totale)
- acquisti Protezione civile per 300 milioni (5,4 % sul totale).
L'”affaire” mascherine pagate care
Analizzando le mascherine, l’inchiesta non considera la prima ondata, durante la quale non si trovavano e quindi le abbiamo dovute pagare a qualunque prezzo pur di averle. Dall’estate scorsa invece le cose sono cambiate: il mercato è stato letteralmente inondato.
Le Ffp2, fondamentali negli ospedali, sono pressoché tutte di produzione cinese. “Visto che si tratta di quantità gigantesche, non c’è dubbio che il commissario spunterà il miglior prezzo”. E invece… l’11 settembre Arcuri firma un contratto da 100 milioni di pezzi con la YQT Health Care B.V., società olandese con un solo dipendente costituita il 16 marzo 2020. È una srl controllata dalla Bydcare Eu, filiale europea della cinese Byd, produttore di automobili di Shenzhen riconvertita, come dichiarato sul sito, nel più grosso produttore al mondo di mascherine.
Al 20 dicembre l’unico destinatario di import sanitario della YQT è il commissario straordinario. Il prezzo pagato è di 105 milioni di euro, vale a dire 1,05 euro a mascherina. Le forniture sono mensili e, ad oggi, risultano consegnati oltre 45 milioni di pezzi.
La Byd cinese è la stessa azienda con cui il commissario aveva firmato le scorso aprile due contratti per una fornitura di 300 milioni di mascherine chirurgiche per 89,4 milioni di euro (30 centesimi l’una) con consegne avvenute fino ad ottobre. In quel caso però il pagamento era stato fatto direttamente alla società cinese senza passare dall’importatore olandese che c’è in mezzo. In sostanza, Arcuri compra dalla Cina, paga in Olanda, e gli (ci) costa più caro.
Le Regioni hanno pagato di meno
Il 25 settembre, nello stesso periodo, l’azienda ospedaliera Ospedali riuniti Marche Nord di Pesaro si aggiudica una procedura negoziata da 756 mila euro per l’acquisto di 2 milioni di Ffp2 a 37 centesimi l’una. La gara d’appalto è divisa in tre lotti. Uno degli aggiudicatari è la Polonord Adeste, importatore italiano di mascherine cinesi. La qualità è la stessa, la certificazione è equivalente, ma su 100 milioni di pezzi il commissario Arcuri ha pagato 65 milioni in più.
Anche la centrale acquisti della Regione Veneto, che per non rischiare di trovarsi scoperta ha acquistato un piccolo lotto, ha speso meno: 90 centesimi. Il Gruppo San Donato, principale operatore della Sanità privata accreditata, ai primi di settembre se le aggiudica a 0,91 centesimi da un’azienda produttrice italiana.
Il caso siringhe
Non solo. C’è anche la questione della fornitura da 10 milioni di euro per l’acquisto di 157 milioni di siringhe di precisione luer lock, che estraggono 6 dosi invece di 5 da ogni fiala del vaccino Pfizer.
Qui interviene persino la Corte dei Conti del Lazio, per capire se sia fondato il sospetto che avrebbero potuto essere comprate siringhe decisamente meno costose. Ma anche se fosse, il commissario per decreto è immune da ogni responsabilità. “Vale per le siringhe, le mascherine, le primule (i box per le vaccinazioni) e qualunque altro bene”.
Il caos delle terapie intensive
Infine, il tema dolente delle terapie intensive. Scrivono ancora Gabanelli e Ravizza: “Il decreto legge del 19 maggio 2020 prevede l’acquisto di attrezzature e ventilatori per potenziare di 3.500 posti letto le terapie intensive e di 4.225 le semi-intensive. Il 27 luglio Invitalia pubblica il bando in cui le aziende disponibili a vendere i macchinari devono segnalarsi per poi essere selezionate”.
Le Regioni comunicano le loro necessità entro il 31 agosto. Ma l’elenco dei fornitori, a cui le singole aziende sanitarie devono rivolgersi per negoziare, il commissario lo rende pubblico il 2 novembre, 5 mesi e mezzo dopo, nel pieno nella seconda ondata.