Dazn diffidato da Agcom e il Piracy Shield traballa, chi guadagna col “pezzotto” vive sereno

Il caso del blocco di Google Drive ha fatto discutere ma è soltanto l'ultimo atto di un processo destinato a crollare

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Luca Incoronato

Giornalista

Giornalista pubblicista e copywriter, ha accumulato esperienze in TV, redazioni giornalistiche fisiche e online, così come in TV, come autore, giornalista e copywriter. È esperto in materie economiche.

Pubblicato: 24 Ottobre 2024 12:52

La lotta alla pirateria in Italia è da tempo finita al centro di un caso che ha del clamoroso. La fiducia nel sistema Piracy Shield vacilla giorno dopo giorno, al netto dei grandi annunci fatti. I passi falsi sono stati numerosi e l’ultimo in ordine temporale riguarda il blocco di Google Drive. Un evento tanto clamoroso da sembrare semplicemente assurdo. Non poteva esimersi l’Agcom dall’intervenire. Il risultato? La diffida di Dazn.

Dazn e il blocco Google Drive

Una nota dell’Agcom ha confermato la diffida nei confronti di Dazn. L’azienda, che allo stato attuale detiene la quasi esclusività delle gare di serie A, è da tempo al centro di forti polemiche. Dall’aumento dei prezzi al taglio di programmi e organici, fino ad arrivare al caso del blocco di Google Drive nell’uso della piattaforma Piracy Shield.

“Il Consiglio dell’Autorità (…), in relazione a una segnalazione di blocco riferita per errore a Google Drive, ha deciso di diffidare Dazn, in qualità di segnalatore accreditato sulla piattaforma Piracy Shield, ad assicurare la massima diligenza e il massimo rigore nella presentazione delle istanze di blocco e nella raccolta delle relative prove. L’Autorità si è riservata di adottare tutti i provvedimenti di competenza in caso di inottemperanza”.

Si è scelto invece di non procedere contro la piattaforma Piracy Shield. La maggioranza ha respinto la proposta presentata della commissaria Elisa Giorni. Si prevedeva una sospensione dell’attività, non il suo smantellamento, sia chiaro. La nota si conclude evidenziando i numeri (almeno quelli positivi) del sistema di controllo e blocco: “Disabilitati più di 25.000 FQDN e più di 7.000 IPv4”.

Il fallimento di Piracy Shield

Il blocco di Google Drive è soltanto l’ultimo passo maldestro e scorretto, a dir poco, della piattaforma Piracy Shield. Il sistema non è stato di certo avviato oggi, eppure le problematiche in esso presenti palesemente sono ancora tutte lì.

Si sventolano i risultati raggiunti, a fronte di un sistema che si evolve di frequente e vanta un numero enorme di piani alternativi. Ciò che appare evidente, però, è l’enorme differenza in termini di competenze tecniche messe in campo. Chi contrasta non è all’altezza di chi pirata, di fatto. Per questo motivo chi vive di Iptv e di sistemi di questo genere sta dormendo tranquillamente, senza alcun fastidio reale.

Quale sarebbe la rivoluzione di questo sistema? In precedenza, per quanto la visione di contenuti via sistemi non autorizzati fosse ovviamente illegale, occorreva far passare ogni segnalazione da un tribunale. Oggi invece si mira a interrompere la trasmissione entro 30 minuti. Un processo diretto che va dalla segnalazione all’azione. Considerando i tanti problemi, però, è evidente come tale rapidità abbia dei limiti enormi.

Al tempo stesso, chiunque voglia approfittare di una Iptv può continuare a farlo, al netto della minaccia delle multe. Queste ultime, infatti, devono ancora partire e, di fatto, il sistema sembrerebbe ancora aggirabile con una Vpn decente.

Come funziona Piracy Shield

Il funzionamento di Piracy Shield è molto semplice e vede strettamente coinvolte le aziende detentrici del diritto d’autore. Si parla principalmente di Sky e Dazn, con riferimento soprattutto agli eventi sportivi in diretta.

Chiunque lavori per una di queste società, e venga da esse autorizzato a farlo, potrà individuare un sito che trasmette un contenuto senza autorizzazione. Ciò del tutto sulla base di un proprio ragionamento. Cosa accade poi? Occorre caricare sul sito di Piracy Shield l’indirizzo IP (o il fully qualified domain name), insieme con prove video relative alla violazione.

È qui che si genera un buco nero, nel quale l’intera piattaforma potrebbe precipitare. Nella fase iniziale del progetto la segnalazione veniva considerata legittima nel caso in sui si dimostrasse che il sito in questione fosse usato unicamente per compiere attività illecita. Un emendamento al decreto legge Omnibus ha però modificato la definizione. Ora è necessario che il sito venga usato prevalentemente per attività illecita. Nel testo, però, non si offre una definizione specifica per questo “uso prevalente”.

Caricata la segnalazione, le società che forniscono accesso a internet in Italia hanno 30 minuti per bloccare il sito. I diretti interessati hanno a loro volta solo 5 giorni per fare ricorso. Una situazione che ha del paradossale, dal momento che il diretto interessato non riceve notifica. Può scoprire del danno procurato unicamente collegandosi al sito in questione dall’Italia.

In questo groviglio di segnalazioni e blocchi si può parlare di mancanza organizzativa e di scarsità di competenze. Il caso Google Drive lo dimostra ampiamente. Non è stata ancora fornita una giustificazione ufficiale al caso, ma sappiamo che il blocco ha riguardato drive.usercontent.google.com, un sottodominio di google.com. Non è da escludere che sia stato trovato un indirizzo illegale condiviso via Drive e che, mandata la segnalazione, non ci si sia resi conto che l’IP segnalato a Piracy Shield fosse collegato alla CDN (content delivery network) di Google.

Il problema IP

Il caso Google è clamoroso, come detto, ma anche molto particolare. Piracy Shield ha invece un errore nel proprio cuore pulsante. Si dimostra un approccio maldestro scegliendo di ordinare il blocco dei siti a livello di indirizzo IP.

Non si può ancora ritenere che un indirizzo IP corrisponda a un singolo computer. Si tratta di una nozione d’introduzione, che oggi appare in gran parte superata. È infatti possibile confrontarsi con sistemi nei quali una IP corrisponda a centinaia di migliaia di server, decisamente differenti tra loro. Lo ha spiegato il professor Stefano Zanero, che insegna cybersecurity al Politecnico di Milano, ed è tra i principali esperti che hanno ampiamente criticato la nuova legge antipirateria.

Ha sottolineato inoltre come esistano anche sistemi di CDN, che sfruttano indirizzi IP condivisi da migliaia di differenti siti web. Inoltre: “Alcuni fornitori domestici sfruttano singole IP, dietro le quali però sono connessi svariate centinaia di migliaia di clienti finali. Quasi tutte le IP sono temporanee e vengono riassegnate a persone diverse in momenti diversi”.

La fine di Piracy Shield

Si ha davvero la sensazione netta che l’intera struttura del Piracy Shield crollerà tra non molto. Un gran fracasso a fronte di risultati irrisori. Prima o poi occorrerà fronteggiare ad esempio uno dei problemi cruciali, ovvero l’assenza di adeguate forme di controllo preliminare e di garanzie.

È stato dato nelle mani di privati un potere enorme, quello di segnalare un sito e vederlo bloccato. Ciò al netto di errori grossolani e danni economici notevoli, senza pagare alcuna conseguenza concreta. Anche l’Agcom, per ora, si è limitata a una strigliata.

Il sistema attuale non regge e, soprattutto, si stanno ignorando volutamente i fatti. Che in Italia esista una sottocultura per la quale se è possibile non pagare, perché farlo, ma esiste anche un problema di diritti e costi.

Le esclusività garantite, come per 7 gare di serie A a Dazn a settimana, hanno portato a un aumento notevole dei costi. Quasi di anno in anno gli abbonamenti sono stati rivisti, tra le polemiche generali.

La situazione pirateria si è aggravata negli ultimi due anni e non è affatto un caso. Un’indagine della Fapav, la Federazione per la tutela dei contenuti audiovisivi, ha sottolineato come la fruizione illegale di contenuti sportivi, nello specifico, sia aumentata del 26% nel 2022 rispetto all’anno precedente.

Non è un caso che proprio nel 2022 abbia dato inizio a una campagna di revisione di prezzi al rialzo. Un processo proseguito, con l’aggravarsi del peso per le finanze dei tifosi. Il risultato è dunque quello di spingere verso la pirateria e il “pezzotto” anche coloro che, per timore e per morale, non erano annoverati tra i clienti di questi servizi illegali.

Negli uffici che contano, però, il tema non è minimamente sfiorato. Ciò che si fa è tuonare contro i cittadini. Lo ha fatto ad esempio Massimiliano Capitanio, commissario dell’Agcom, che ad aprile ha parlato di una campagna di discredito contro Piracy Shield da parte di anonimi utenti.

In precedenza aveva negato l’ipotesi di un rischio censura di pagine che condividevano indirizzi IP di siti illegali. Ora, invece, ammette la gravità del blocco di Google Drive ma, al tempo stesso, ribadisce come tutto ciò sia prevedibile perché ci si ritrova dinanzi a un “incendio di dimensioni devastanti”.

Tutto ciò che le istituzioni fanno, però, è ripetere gli stessi errori. Si stimano 2 milioni di abbonamenti illegali attivi a canali Iptv a pagamento. Il tutto per un giro d’affari da 200 milioni di euro l’anno, circa. E se invece di dare la caccia a questi cittadini si tentasse di riportarne una netta porzione sulla “retta via”? In certe Regioni più di altre, la criminalità organizzata è sostenuta perché trova soluzioni concrete, come in ambito lavorativo. Sotto questo aspetto la politica dovrebbe creare lavori e non minacciare chi opera in nero perché non ha alternative. Lo stesso dicasi per la pirateria. Si ragioni su un sistema economicamente equo, al fine di rendere questa forma di intrattenimento nuovamente popolare e non più elitaria.