Quanto conta la socialità nel prevenire o almeno ritardare l’insorgenza di deficit cognitivi nella terza età? Sicuramente molto. E ci sono semplici misure che possono aiutarci a rimanere “connessi”, aiutando le infinite ed imperscrutabili vie che collegano le stazioni del sistema nervoso. Per questo è importante non isolarsi: il contatto regolare con gli altri è fondamentale. Ed occorre coltivare sempre i propri interessi, evitando di chiudersi in sé stessi. Fare ciò che piace insieme ad amici e parenti aiuta a rompere la monotonia. È importante anche fare regolarmente la spesa. Lo shopping coinvolge diverse dimensioni del benessere personale sia dal punto di vista della salute che della coesione sociale, e potrebbe quindi aumentare il benessere. E poi, conta informarsi, discutendo con gli altri. Corpo e mente, insieme agli amici, lavorano assieme mantenendo attivo il cervello e migliorando la coordinazione.
A confermare quanto queste semplici misure sociali possano aiutare è una ricerca condotta dagli esperti dell’Università Rush, apparsa online su “Alzheimer’s & Dementia: The Journal of the Alzheimer’s Association”.
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Quanto vale la lotta al declino cognitivo
Lo studio, coordinato da Bryan James, conferma ancora una volta come la vita sociale possa aiutare a prevenire il decadimento cognitivo nella terza età, o quanto meno ritardarne l’esordio. Secondo James, come riporta una nota, lo studio rivela che “l’attività sociale è associata a un rischio aumentato di sviluppare demenza e lieve deterioramento cognitivo e che gli anziani meno attivi socialmente hanno sviluppato demenza in media cinque anni prima di quelli più attivi socialmente”.
Ma cosa accade tecnicamente? L’ipotesi è che l’attività sociale rafforzi i circuiti neurali nel cervello, rendendoli più resistenti alle patologie che si rilevano sempre più presenti con l’avanzare dell’età. Il tutto, in base ad un semplice percorso neurologico. Il comportamento sociale attiverebbe le stesse aree del cervello coinvolte nel pensiero e nella memoria. I risultati suggeriscono che un’attività sociale più frequente indica una riduzione del 38% del rischio di demenza e una riduzione del 21% del rischio di lieve deterioramento cognitivo, rispetto a chi invece è meno attivo in questo senso.
Le stime sul risparmio economico
Quanto vale ritardare l’insorgenza della demenza? Sia sul fronte del singolo che della sanità il conto economico è ampiamente in attivo. Stando a quanto si segnala nella ricerca, si stima che un ritardo di cinque anni nell’insorgenza della demenza comporti una sopravvivenza aumentata di tre anni con una riduzione dei costi legati al decadimento cognitivo che si aggira intorno al 40% nei trent’anni successivi. Il che si tradurrebbe in circa mezzo milione di dollari per ogni persona, in termini di mero conto economico per ogni persona che alla fine svilupperà comunque i segni del progressivo calo funzionale del cervello.
Per la cronaca, lo studio ha incluso 1.923 anziani senza demenza con un’età media di circa 80 anni che partecipano al Rush Memory and Aging Project, uno studio longitudinale in corso sulle comuni condizioni croniche dell’invecchiamento. 545 partecipanti hanno sviluppato demenza e 695 hanno sviluppato lieve deterioramento cognitivo. Ognuno di loro è stato sottoposto a valutazioni annuali che includevano un’anamnesi medica e test neuropsicologici. L’attività sociale è stata misurata in base a un questionario che chiedeva ai partecipanti se e con quale frequenza nell’anno precedente avessero svolto sei comuni attività sociali che implicano l’interazione sociale, ad esempio se fossero andati al ristorante o a eventi sportivi, se avessero giocato a bingo, se avessero fatto gite di un giorno o di una notte, se avessero fatto volontariato o visitato parenti o amici. La funzione cognitiva è stata valutata utilizzando 21 test per vari tipi di memoria, nonché velocità percettiva e capacità visuospaziale. All’inizio dell’indagine, tutti i partecipanti erano privi di segni di deterioramento cognitivo. In media, tuttavia, in cinque anni coloro che erano più attivi socialmente mostravano tassi ridotti di demenza. Altre variabili che potrebbero aver spiegato l’aumento del declino cognitivo, come età, esercizio fisico e salute, sono state tutte corrette nell’analisi.
Importante coltivare le relazioni
Il cervello di tutti, e in particolare gli anziani, l’amicizia può diventare un vero e proprio strumento di prevenzione e cura per il decadimento cerebrale. Avere una rete di relazioni sociali può essere davvero una medicina, o se preferite un’integrazione ad un sano stile di vita, tanto da poter vedere “misurati” in chiave scientifica i suoi effetti. Esattamente come una compressa: conta la dose del principio attivo, ovvero la vicinanza, l’empatia e la certezza di avere chi ci sta vicino e di poter stare vicino ad altri, così come si può verificare anche quanto tempo di vuole per cedere gli effetti del “trattamento” fatto di abbracci, partite a bocce, serata a teatro o sulla pista da ballo.
A testimoniare questa realtà aveva provveduto qualche tempo fa anche una ricerca condotta all’Università Statale della Pennsylvania, coordinata da Ruixue Zhaoyang e pubblicata su Plos One. Lo studio ha preso in esame poco più di 300 persone tra i 70 e i 90 anni, analizzando per oltre due settimane consecutive non solo il numero di relazioni, quindi di persone incontrate, ma anche la qualità di questi rapporti. I “controlli”, come deve avvenire in una valutazione clinica, sono stati ripetuti mediamente cinque volte al giorno: ogni persona coinvolta nella ricerca ha dovuto riferire quante altre persone fossero entrate in contatto con lei con grande attenzione agli incontri “de visu”, alle chiacchierate al telefono o anche più semplicemente allo scambio di messaggi via smartphone. Ovviamente, nel valutare il “valore” di questi rapporti individuali sono state anche considerate le reazioni, ovvero se questi “appuntamenti” sono stati graditi o poco piacevoli.
Come misurare gli effetti di questa condizione? Attraverso speciali test, da effettuare attraverso il telefonino tre volte al giorno per tutto il periodo dello studio. Questi test sono stati mirati a valutare la velocità di elaborazione delle informazioni correlandola con il livello di attenzione, la memoria di lavoro insieme alla capacità di associare i concetti proposti. Risultato: l’amicizia giusta e il numero delle relazioni positive contano. Nelle giornate con il maggior numero di relazioni, anche in relazione al loro valore positivo cioè con “veri” amici, si sono osservati i migliori risultati ai test cognitivi. Ma non basta: anche l’effetto di questi incontri di valore in termini emotivi (vanno bene anche i parenti, a patto che i rapporti siano buoni) tende a protrarsi nel tempo, fino ad almeno due giorni dopo l’avvenuta relazione di alto profilo amicale. E tende ad incrementarsi, come una sorta di “catena”, se l’abitudine al rapporto si mantiene.