In Italia il consumo di carne e pesce è calato del -16,9%. Tutti vegani? Non proprio. Sono le difficoltà economiche a spingere le famiglie a ridurre le spese alimentari e ad acquistare prodotto di qualità inferiore. Secondo l’Osservatorio Nazionale Federconsumatori, l’aumento dei prezzi e l’incertezza economica stanno portando molti italiani a scegliere alimenti meno costosi e a cercare sconti. Il risultato è una minor spesa alimentare e un minor consumo di carne e pesce. Anche le politiche di sostegno, come i bonus spesa, non sono sufficienti a sostenere gli italiani durante la crisi, perché lasciano fuori molte categorie vulnerabili, come i giovani e i single.
Perché si mangia meno carne e pesce (di qualità)?
La diminuzione del consumo di carne e pesce in Italia, pari al -16,9%, non è una scelta dietetica o alimentare, ma una risposta alla difficile situazione economica che molte famiglie stanno vivendo. Il dato, fornito dall’Osservatorio Nazionale Federconsumatori, evidenzia come l’aumento dei prezzi stia spingendo gli italiani verso opzioni più economiche, rinunciando in molti casi alla qualità. Come se non bastasse, una delle conseguenze dirette di questo fenomeno è l’aumento dello spreco alimentare.
Tornando ai dati, il prezzo crescente di carne e pesce ha quindi avuto un impatto diretto sulle abitudini alimentari. I consumatori si trovano a dover scegliere tagli meno pregiati e a ridurre il consumo di questi alimenti per far fronte al bilancio familiare. Il dato di Federconsumatori si accompagna a una ricerca costante di offerte e sconti, con una crescente abitudine di acquistare prodotti prossimi alla scadenza, pratica adottata dal 49% dei cittadini. Inoltre, cresce l’acquisto di alimenti nei discount, (+11,9%), dove i prezzi sono inferiori rispetto ai supermercati tradizionali.
La qualità della carne e del pesce acquistati è in calo. Le famiglie italiane si orientano sempre di più verso opzioni più economiche, a discapito di prodotti di alta qualità. Questo fenomeno non è una semplice tendenza alimentare, ma una necessità imposta dalla crisi economica. L’acquisto di cibi meno costosi e meno nutrizionali sta diventando una strategia per sopravvivere, ma espone a rischi legati alla salute e alle spese future per malattie derivanti da una dieta non equilibrata.
I dati di acquisto: si spende meno per alimentazione
La crisi si riflette anche nei dati sulle vendite alimentari. A ottobre, l’Istat ha registrato un calo congiunturale nelle vendite sia in valore (-0,5%) che in volume (-0,8%). In particolare, il settore alimentare ha visto una riduzione del -0,7% in valore e del -1,4% in volume. Sebbene i dati tendenziali mostrino una crescita del 2,9% in valore e dello 0,4% in volume, il calo generale riflette una condizione di difficoltà per le famiglie.
Il costo crescente di prodotti di prima necessità, come pasta, riso e carne, sta erodendo il potere d’acquisto degli italiani, spingendo molti a ridurre le proprie spese alimentari soprattutto in vista del Natale.
L’aumento dei prezzi però non riguarda solo i beni più costosi, ma anche i prodotti di base, che oggi risultano comunque troppo cari per una parte significativa della popolazione. Le famiglie sono costrette a fare tagli anche sulla spesa alimentare, cercando soluzioni alternative come gli acquisti in discount o l’uso di offerte promozionali.
Federconsumatori ha quindi criticato la Manovra 2025 del governo, affermando che non risponde adeguatamente alle difficoltà dei cittadini. L’organizzazione ha richiesto un intervento più incisivo, tra cui una riforma fiscale equa e misure mirate contro l’evasione fiscale e gli extraprofitti.
I buoni spesa solo alle famiglie non bastano per invertire la rotta
Le politiche di sostegno come la Carta Acquisti, la Carta Dedicata a Te e il Reddito Alimentare sono strumenti utili per alcune famiglie, ma non risolvono le difficoltà di chi non rientra nei parametri per accedere a questi aiuti. Se queste agevolazioni possono offrire un sollievo a chi ha redditi più bassi, giovani lavoratori, studenti e single si trovano in una situazione di crescente difficoltà economica.
Secondo un’analisi di Coldiretti, pubblicata in occasione del Single’s Day l’11 novembre, le difficoltà economiche di chi vive da solo sono aumentate, con una crescita continua dei costi di vita. In Italia ci sono oltre 8,8 milioni di single e la spesa per vivere da soli è notevolmente più alta, infatti un single spende mediamente l’80% in più rispetto a un membro di una famiglia di tre persone. Il divario riguarda principalmente i costi alimentari, l’affitto e i trasporti.
Le spese alimentari rappresentano uno dei maggiori carichi per chi vive da solo, con una persona che spende circa 337 euro al mese per cibo e bevande, rispetto ai 220 euro di ogni membro di una famiglia di tre. Tra le difficoltà si segnalano:
- la gestione delle porzioni, che porta a sprechi alimentari
- la scelta di cibi ultra-processati e pronti per mancanza di tempo
- svantaggi nutrizionali di scegliere cibi economici e pronti.
Inoltre, i costi per casa e trasporti sono più elevati per i single, che non possono suddividere le spese con altri membri della famiglia. Per questo anche i giovani lavoratori e studenti universitari fuori sede si trovano a dover affrontare costi maggiori, ma senza poter usufruire degli aiuti destinati alle famiglie.
Il governo Meloni ha un target, ovvero le famiglie e a quelle parla quando presenta strumenti anti-crisi; allo stesso tempo le politiche economiche non rispondono in modo adeguato alle difficoltà di molte altre categorie, che sono però fondamentali per la crescita sociale ed economica del Paese.
Da qui la richiesta di modifiche da parte di associazioni e sindacati alla Manovra, per arrivare ad affrontare in maniera più mirata le difficoltà di questi gruppi, assicurando un sostegno equo per tutti i cittadini, non solo per chi ha una famiglia (il più delle volte con requisito “numerosa”).