Monte dei Paschi di Siena si conferma un peso sulle spalle dei contribuenti italiani. Il conto aperto con lo Stato supera ancora i 4 miliardi di euro, nonostante i tentativi di salvare la banca e ridurre la quota statale.
L’intervento pubblico, costoso e discusso, ha lasciato una cicatrice economica che tarda a guarire, simbolo di una vicenda finanziaria complessa e ancora lontana dal trovare una chiusura definitiva.
Indice
L’intervento del Mef nel 2017: soldi pubblici per salvare la banca
Il primo capitolo del salvataggio è scritto nell’estate del 2017, quando il ministero dell’Economia e delle Finanze decide di immettere nelle casse della banca 5,4 miliardi di euro. Di questa somma, 3,9 miliardi erano destinati all’aumento di capitale, mentre 1,5 miliardi sono stati utilizzati per compensare i risparmiatori penalizzati dal burden sharing.
Un’operazione che ha portato il Mef a detenere il 68% del capitale di Mps, sancendo l’ingresso massiccio dello Stato nella gestione della banca senese.
Crediti deteriorati e fusione mancata con Unicredit
Nel tentativo di alleggerire la zavorra dei crediti deteriorati, è stata poi attivata l’operazione Hydra, con la cessione di 8 miliardi di euro di sofferenze ad Amco, la società partecipata dal Mef, a valori di mercato.
Ma nel 2021, quando si cerca di aprire una nuova pagina con la fusione in Unicredit, il tavolo delle trattative salta. I rilievi mossi dall’Eba, l’autorità bancaria europea, bloccano l’accordo, lasciando Mps con la necessità di un nuovo rafforzamento patrimoniale.
I soldi pubblici continuano a fluire: aumento di capitale e dividendi
A dicembre 2021, la banca torna a bussare alla porta dello Stato. Per garantire un aumento di capitale da 2,5 miliardi di euro, il Tesoro partecipa con 1,6 miliardi, prolungando l’impegno pubblico. Nel frattempo, tra il 2023 e il 2024, il Tesoro avvia la progressiva riduzione della sua partecipazione, scendendo all’11,2% del capitale e incassando 2,7 miliardi di euro. Un piccolo segnale di ripresa arriva nel maggio 2024, quando Mps torna a distribuire dividendi dopo 13 anni: 88,9 milioni di euro, una parte dei quali destinati al Tesoro.
L’offerta di Mps su Mediobanca alla prova dei mercati
Ma torniamo a oggi. L’offerta pubblica di scambio di Monte dei Paschi su Mediobanca torna al vaglio dei mercati, dopo un venerdì nero che ha visto Mps perdere il 6,9% in Borsa. Domani si riunirà il consiglio di amministrazione di Mediobanca, presieduto da Renato Pagliaro, per classificare come ostile l’operazione da 13,3 miliardi di euro, interamente in azioni.
La questione passerà anche all’analisi degli avvocati per verificarne la correttezza. Nel board saranno centrali, come scrive il Corriere, le posizioni di Sabrina Pucci e Sandro Panizza, consiglieri di minoranza espressi da Delfin e dal gruppo Caltagirone, azionisti rilevanti con rispettivamente il 19,8% e il 7,8% delle quote.
Settimana di fuoco per i vertici di Mps e Mediobanca
Settimana calda per il ceo di Mediobanca, Alberto Nagel, e per Luigi Lovaglio, alla guida di Mps. L’offerta pubblica di scambio, definita da Lovaglio “di frontiera” per il mercato italiano, mira a unire il retail bancario di Siena con il wealth management e l’investment banking milanese. Ciò con l’intento di creare un nuovo colosso del settore.
Ma gli analisti delle principali banche d’investimento rimangono scettici. Nei report pubblicati fino a venerdì si teme che l’operazione generi “dissinergie”, favorendo un esodo di professionisti della consulenza, complicando la creazione di efficienze di ricavo.
Prossimi passi: il documento d’offerta e il cda di febbraio
Il percorso prevede il deposito del documento d’offerta alla Consob e l’autorizzazione della Bce. Il ceo Luigi Lovaglio presenterà i conti 2024 il prossimo 5 febbraio, occasione per discutere ulteriormente l’operazione su Mediobanca.
Centrale sarà poi l’assemblea di Mps del 17 aprile, chiamata a esprimersi sull’offerta. L’obiettivo è ambizioso: arrivare al 66,67% del capitale di Mediobanca, con l’operazione destinata a partire tra giugno e luglio. Il supporto di Delfin, Caltagirone e Anima Holding, insieme al mercato, sarà determinante per il successo del progetto.
Le manovre di Mediobanca e il ruolo delle generali
Mediobanca non vuole cedere il controllo a Mps. La difesa dall’operazione passa attraverso le relazioni consolidate di Nagel con i principali investitori, inclusi i membri dell’Accordo di consultazione che controllano l’11,4% del capitale.
Tra questi figurano Mediolanum, con l’azionista Fininvest della famiglia Berlusconi, e altre importanti realtà imprenditoriali italiane. Sullo sfondo, il confronto si intreccia con il futuro di Generali, di cui Mediobanca detiene il 13%. L’assemblea di maggio del Leone triestino sarà cruciale per il rinnovo dei vertici, in uno scenario che vede Delfin e Caltagirone nuovamente al centro delle dinamiche di potere.