All’ex Ilva di Taranto nuovi dubbi sul futuro con la perdita di altri posti di lavoro

Ci sono 2.000 posti in bilico con Baku Steel e Jindal Steel che si sfidano per il polo: il futuro tra promesse, rilanci e il rischio di un nuovo taglio occupazionale

Foto di Francesca Secci

Francesca Secci

Giornalista

Giornalista pubblicista con esperienza in redazioni rilevanti, è specializzata in economia, finanza e geopolitica.

Pubblicato: 17 Febbraio 2025 08:06

L’ex Ilva di Taranto è di nuovo al centro di una partita che vale miliardi e, soprattutto, migliaia di posti di lavoro. Tra gli attuali 10.000 dipendenti, almeno 2.000 rischiano concretamente il posto se le promesse di mantenimento occupazionale non saranno rispettate. Per molti operai e famiglie, il futuro dipende da chi metterà le mani sull’acciaieria, ma il timore è che il finale sia già scritto.

Sul tavolo ci sono le offerte di Baku Steel e Jindal Steel, con un’acquisizione che sembra una riedizione del solito film: cambiano gli attori, ma il copione resta lo stesso. L’associazione Genitori Tarantini, da anni in trincea per difendere la salute dei cittadini, lancia l’ennesimo allarme. Le news sull’ex Ilva di Taranto continuano a monopolizzare il dibattito, tra promesse di investimenti e scenari che, per la comunità locale, sanno di déjà-vu.

Gli effetti delle multinazionali a Taranto

La storia industriale di Taranto è costellata di decisioni che hanno lasciato ferite aperte sulla pelle della città. Massimo Castellana, portavoce dell’associazione Genitori Tarantini (un gruppo che si batte per la salute dei cittadini e contro l’inquinamento), osserva con sguardo disilluso l’ennesimo capitolo di questa saga.

Baku Steel avrebbe messo sul piatto circa un miliardo, una somma che viene giudicata insufficiente da chi si batte per la tutela della città. “Hanno svenduto l’azienda e la vita dei tarantini. Per noi c’è solo disperazione, non si può giocare con il diritto alla salute dei cittadini, l’unico definito ‘fondamentale’ nella Costituzione italiana”.

L’associazione Genitori Tarantini non molla la presa e punta dritto alla chiusura definitiva dello stabilimento. Nessun compromesso, nessun rattoppo, solo lo stop totale alle emissioni nocive. L’unica via d’uscita, secondo loro, sarebbe trasformare gli operai in bonificatori, ridando dignità a chi per anni ha respirato veleno. “Noi non siamo contro, ma con gli operai, perché pensiamo debbano essere considerati lavoratori e non schiavi. Dentro l’ex Ilva sono più vicini alla schiavitù”. Per l’associazione la salute e il lavoro non devono essere una contraddizione.

Offerte in gioco e scenari futuri

Scaduti i termini per presentare i rilanci, restano due principali contendenti in corsa per mettere le mani sull’ex Ilva di Taranto. Baku Steel Company, spalleggiata da Azerbaijan Investment Company, si gioca la carta di un’offerta superiore ai 200 milioni di euro con la promessa di mantenere 8.500 posti di lavoro. Dall’altra parte, Jindal Steel International entra nella partita con una proposta più contenuta, tra i 100 e i 120 milioni di euro, garantendo 7.000 dipendenti per due anni, ma con mille uscite incentivate. L’ex Ilva continua a essere una montagna russa di ipotesi, smentite e strategie industriali più o meno convincenti.

Gli addetti ai lavori scommettono sugli azeri, forti di un’offerta che batte la concorrenza sia sul piano economico che occupazionale. L’intesa con Azerbaijan Investment Company assicura una spinta finanziaria e logistica per trasformare gli impianti e renderli operativi con altiforni elettrici. Bedrock Industries, invece, resta ai margini senza rilanci concreti, un nome che appare più come un diversivo che un reale protagonista della partita.

Dubbi sulla transizione energetica

Il piano di decarbonizzazione che punta sul gas lascia più di qualche perplessità. Per l’associazione, si tratta di una scorciatoia costosa che non risolve il problema alla radice. “Il gas, che vogliono portare con la nave, non è una soluzione ecologica e costa comunque di più”, spiega Castellana. Sul fronte del lavoro, nonostante la cassa integrazione, il rischio è un ridimensionamento massiccio: oggi servono 1000 dipendenti per ogni milione di tonnellate prodotte, con i nuovi forni la cifra crollerebbe a 300. Un taglio netto del 70%, che ridisegna i contorni di una crisi sociale annunciata.

Il prossimo passo nella vendita

I Commissari Straordinari di Acciaierie d’Italia e Ilva in Amministrazione Straordinaria si prendono il loro tempo per scandagliare le offerte sul tavolo. La palla passerà poi al Ministero delle Imprese e del Made in Italy, che dovrà districarsi tra numeri, piani industriali e promesse sul mantenimento occupazionale. Baku Steel, forte della sua disponibilità di gas e di un’offerta che sembra più strutturata, parte in pole position. Resta da vedere se il vincitore della partita si limiterà a gestire l’esistente o opterà per uno spezzatino strategico degli asset.