Tanti, troppi ritardi sulle reti ferroviarie italiane. A causa del caos treni, Unimpresa stima una perdita di 3,16 miliardi l’anno, tutta a carico di persone e aziende, oltre che un danno per l’immagine internazionale dell’Italia.
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Meno treni o migliori infrastrutture ferroviarie?
Dopo un 2024 da dimenticare, la stima di Unimpresa non è un grande risultato da rivendicare. In questi giorni colpisce il piano del ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, che vorrebbe ridurre i disagi diminuendo il numero dei treni.
Il progetto potrebbe funzionare su una semplificata cartina ferroviaria italiana, che secondo diverse voci, tra cui gli esperti di Unimpresa, necessita di un generale miglioramento delle infrastrutture e nuovi binari.
Perché sì, il problema è sempre lo stesso: in caso di guasto (che può sempre accadere), non ci sono binari alternativi e basta una singola stazione bloccata da un chiodo per fermare mezzo Paese.
Da qui i danni economici dovuti ai ritardi di consegna per le imprese, per i rimborsi ai turisti e per i pendolari che ogni giorno utilizzano treni locali o ad alta velocità per raggiungere scuole, università e lavoro.
Quanti miliardi l’anno ci costa inefficienza dei treni
Unimpresa stima 15 euro persi per ogni ora di ritardo, ovvero un fardello economico di 3,16 miliardi di euro all’anno. I numeri del Centro studi sono una fotografia dell’usura e dell’inefficienza della rete ferroviaria italiana, condizioni che pesano su settori come trasporti, turismo e servizi.
Partiamo dal numero più invadente, ovvero i 3,16 miliardi di euro persi all’anno. Questi sono a carico:
- degli utenti, dato che ogni giorno circa 800mila persone utilizzano l’Alta velocità – considerando una perdita media di 15 euro per ogni ora di ritardo, il costo stimato medio del tempo perso ammonta a 1,8 miliardi di euro all’anno;
- del trasporto merci, che incide sul 13% del traffico ferroviario, e che accumula una media di due ore di ritardo per ogni convoglio – la stima di euro persi è di oltre 912 milioni di euro all’anno;
- del settore turistico, con una perdita economica di circa 450 milioni di euro all’anno, pari al 3% del fatturato della mobilità ferroviaria nel turismo.
Difficile da calcolare, invece, è il danno alla produttività in senso ampio. Le imprese, infatti, devono fare i conti con appuntamenti, meeting e attività fuori sede danneggiati dal trasporto pubblico poco efficace e dalla necessità di ricorrere a mezzi privati, in genere più costosi anche a causa dell’aumento di prezzi di benzina e diesel.
Di cosa ha bisogno il sistema ferroviario italiano?
Un dato è vero: in Italia circolano troppi treni. Sono oltre 9mila al giorno. Il problema non sono i mezzi, ma le strutture su cui passano. Vecchie e usurate, queste sono destinate a un maggior numero di incidenti.
Come spiega Luigi Ciracì, coordinatore nazionale di Filt-Cgil per il settore ferroviario:
“È una catena: più treni circolano, più l’infrastruttura si usura. Ma la manutenzione ordinaria è molto scarsa, a causa del sovraccarico che lascia pochi margini di intervento. Il che aumenta il rischio di guasti, a cui si aggiunge la scarsa tempestività dell’intervento tecnico, spesso esternalizzato”.
Sul tavolo del Mit, secondo quanto riportato da Il Manifesto, ci sarebbe la proposta del viceministro Edoardo Rixi per il taglio del 15% dei treni. Servirebbe invece non tagliare km di binari e non penalizzare le aree interne, costringendo Alta velocità e treni merci a condividere binari unici e rallentare di conseguenza le linee ordinarie.
Il commento di Giovanna Ferrara, presidente di Unimpresa, è di questa linea: chiede azioni immediate per migliorare la puntualità e l’affidabilità della rete ferroviaria e sostenere così le Pmi (per cui il trasporto ferroviario di dipendenti, merci e clienti è fondamentale) che contribuiscono a oltre il 60% del Pil nazionale.
Come? Investendo nelle infrastrutture, potenziando e modernizzando le linee ferroviarie, soprattutto regionali, migliorando la gestione operativa e ottimizzando la pianificazione e il monitoraggio del traffico ferroviario, puntando a trasparenza e comunicazione. I 1.200 cantieri attivi o da attivare, alla fine dei conti, non bastano. Serve un impegno capillare per evitare altri caos treni.