Plastica biodegradabile, dal Giappone la nuova invenzione per dire addio alle microplastiche

Creata una bioplastica in grado di decomporsi persino in acqua di mare, una risposta concreta al problema dell'inquinamento da microplastiche e macro rifiuti

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Matteo Paolini

Giornalista green

Nel 2012 ottiene l’iscrizione all’Albo dei giornalisti pubblicisti. Dal 2015 lavora come giornalista freelance occupandosi di tematiche ambientali.

Pubblicato: 17 Dicembre 2024 14:29

L’inquinamento da plastica rappresenta una delle sfide ambientali più urgenti del nostro tempo. L’immagine della famigerata “isola galleggiante” di rifiuti plastici nel Pacifico, estesa per una superficie oltre quattro volte quella della Germania, è ormai impressa nella coscienza collettiva. A questa si aggiunge la preoccupante presenza di microplastiche, frammenti derivati dalla degradazione di indumenti e contenitori, con dimensioni variabili da pochi millimetri a 300 micrometri, ritrovati persino nel sangue umano. La consapevolezza del problema è diffusa, ma la ricerca di soluzioni efficaci è ancora in corso. Mentre si cercano approcci politici e si studiano “batteri mangiaplastica” capaci di degradare il Pet (polietilene tereftalato), polimero impiegato nella produzione di bottiglie d’acqua, un gruppo di ricercatori ha compiuto un passo avanti significativo affrontando il problema alla radice: l’invenzione di una plastica intrinsecamente non inquinante.

Un team di ricercatori giapponesi del Riken Center for Emergent Matter Science, in collaborazione con la facoltà di Chimica e Bioingegneria dell’Università di Tokyo, ha sviluppato una nuova famiglia di bioplastiche che promette di rivoluzionare il settore. Queste nuove plastiche presentano caratteristiche di resistenza, durabilità e duttilità paragonabili a quelle delle plastiche convenzionali derivate dal petrolio. Ciò significa che possono essere impiegate per la produzione di un’ampia gamma di prodotti, dai componenti più robusti come i paraurti automobilistici, agli oggetti più flessibili come gli stuzzicadenti. La vera innovazione risiede nella loro biodegradabilità naturale. A differenza delle plastiche tradizionali, che persistono nell’ambiente per centinaia di anni, questa nuova bioplastica si decompone col tempo anche in acqua di mare, un fattore cruciale per la salvaguardia degli ecosistemi marini. Questa caratteristica distintiva rappresenta un cambio di paradigma nella lotta all’inquinamento da plastica, offrendo una soluzione concreta al problema dell’accumulo di rifiuti negli oceani.

I risultati sperimentali di questa ricerca, che aprono nuove prospettive nella gestione dei rifiuti plastici e nella protezione dell’ambiente, sono stati recentemente pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica Science. La scoperta di questa bioplastica biodegradabile rappresenta una speranza concreta per un futuro più sostenibile, in cui l’utilizzo della plastica non debba necessariamente coincidere con un disastro ambientale.

Innovazione nel settore delle plastiche, una nuova speranza per l’ambiente

L’introduzione su larga scala di una plastica completamente biodegradabile avrebbe il potenziale di ridurre drasticamente l’inquinamento attualmente causato dall’accumulo di plastica negli ambienti naturali. Se questa innovazione dovesse entrare effettivamente in produzione, si aprirebbe una nuova era nella gestione dei rifiuti, con la possibilità di mitigare l’inquinamento non solo negli oceani, ma anche nei boschi, nelle discariche e, più in generale, in tutti gli ecosistemi terrestri. Un aspetto cruciale di questa nuova tecnologia riguarda la sua capacità di contribuire significativamente alla riduzione dell’inquinamento da microplastiche nocive, le quali si accumulano negli oceani e nel suolo, entrando infine anche nella catena alimentare, con rischi ancora non del tutto noti per la salute umana e l’ambiente.

È importante sottolineare la differenza tra questa nuova bioplastica e le attuali plastiche biodegradabili, come il Pla (Acido Polilattico). Il Pla, derivato dalla trasformazione degli zuccheri presenti nel mais, nella barbabietola e in altri materiali naturali e rinnovabili (e quindi non derivato dal petrolio), rappresenta un passo avanti rispetto alle plastiche convenzionali. Tuttavia, anche il Pla presenta dei limiti: una volta disperso in mare, risulta insolubile e quindi non decomponibile. Questo significa che, pur essendo di origine vegetale, il Pla può comunque frammentarsi in microplastiche, contribuendo all’inquinamento marino. La nuova bioplastica, al contrario, promette di decomporsi completamente anche in ambiente marino, rappresentando un’innovazione significativa nella lotta all’inquinamento plastico. L’entrata in produzione di un materiale con tali caratteristiche potrebbe segnare una svolta cruciale nella gestione dei rifiuti e nella protezione dell’ambiente.

Nuova frontiera per le bioplastiche, stabilità e versatilità grazie ai legami supramolecolari

La ricerca di alternative sostenibili alle plastiche convenzionali è un tema centrale nel dibattito ambientale. Un team di ricerca giapponese ha recentemente compiuto un significativo passo avanti in questo campo, lavorando sulle plastiche supramolecolari, una classe di polimeri le cui strutture sono mantenute insieme da interazioni reversibili. Questo approccio innovativo apre nuove prospettive per lo sviluppo di materiali con proprietà desiderabili e un ridotto impatto ambientale.

Il team di ricerca ha concentrato i propri sforzi sulla creazione di nuove plastiche attraverso la combinazione di due monomeri ionici che formano i cosiddetti ponti salini reticolati. Questi legami chimici sono fondamentali per conferire al materiale sia resistenza che flessibilità, due caratteristiche spesso difficili da conciliare. Un elemento chiave per la stabilità di questi legami chimici è stato individuato nell’utilizzo dell’esametafosfato di sodio e del solfato di guanidinio, un composto fortemente alcalino. La durezza della plastica ottenuta può essere modulata variando i tipi di solfato di guanidinio impiegati, offrendo così la possibilità di ottenere materiali con diverse proprietà meccaniche a seconda delle applicazioni.

Oltre alle proprietà meccaniche, i ricercatori hanno prestato particolare attenzione alla sicurezza e all’impatto ambientale del nuovo materiale. La nuova plastica è risultata essere atossica e non infiammabile, caratteristiche importanti per un’ampia gamma di applicazioni. L’assenza di infiammabilità implica anche che durante la sua lavorazione o smaltimento non vengono emesse quantità significative di CO2, contribuendo alla riduzione delle emissioni di gas serra. Inoltre, il materiale può essere rimodellato a temperature superiori a 120°C, comportandosi quindi come le altre termoplastiche convenzionali, il che ne facilita la lavorazione e il riciclo. Questa caratteristica di rimodellabilità rende il materiale particolarmente interessante per applicazioni che richiedono la formatura a caldo, aprendo nuove possibilità nel campo del design e della produzione di oggetti in plastica. La combinazione di stabilità, versatilità, atossicità e riciclabilità rende questa nuova bioplastica una promettente alternativa ai materiali tradizionali.

Nuove plastiche biodegradabili, promesse e sfide per un futuro sostenibile

Una delle grandi domande che sorge riguardo alle nuove plastiche biodegradabili è legata ai costi di produzione. Uno dei principali benefici della plastica derivata dal petrolio, infatti, risiede proprio nei bassi costi di realizzazione su larga scala. Al momento, non ci sono ancora notizie precise su quanto costerebbe l’industrializzazione finale di queste nuove plastiche, un fattore cruciale per la loro adozione su vasta scala.

Inoltre, è importante tenere presente che tra i principali elementi inquinanti in mari e oceani vi è l’attrezzatura da pesca, soprattutto le reti, che chiaramente non possono dissolversi a contatto con l’acqua marina. Per queste attrezzature, la soluzione è ancora da trovare, rappresentando una sfida significativa per la gestione dei rifiuti marini.

Nonostante queste sfide, i test condotti con i fogli della nuova plastica hanno dato risultati incredibili. Lasciati pochi centimetri sottoterra, questi fogli si sono degradati completamente nel corso di soli 10 giorni, fornendo al terreno fosforo e azoto, elementi ideali come fertilizzante. Questo risultato apre nuove prospettive per l’agricoltura sostenibile, dove i rifiuti plastici potrebbero essere trasformati in nutrienti per il suolo.

Gli esperti del settore sono cautamente ottimisti riguardo a queste innovazioni, sottolineando però la necessità di ulteriori ricerche e sviluppi per superare le sfide legate ai costi e alle applicazioni specifiche. Se queste nuove plastiche riusciranno a essere prodotte in modo economicamente sostenibile e a trovare applicazioni efficaci in vari settori, potrebbero rappresentare un passo avanti significativo nella lotta contro l’inquinamento da plastica e nella promozione di pratiche più sostenibili.