Gli Stati Uniti non smetteranno di sostenere l’Ucraina, per la quale hanno investito soldi e risorse militari e di intelligence (oltre che d’immagine). Il contenimento della Russia resta ancora un proposito strategico per Washington, al netto di tutte le aperture diplomatiche annunciate dalla neo presidenza Trump.
Detto questo, qualcosa doveva cambiare. Il tycoon lo aveva promesso ai suoi elettori, stanchi marci di aiutare i loro “parenti poveri” europei senza ricevere nulla in cambio. Come annunciato, ecco quindi il cambiamento: il sostegno materiale all’Ucraina dovrà passare quasi totalmente a carico degli Stati Ue.
Perché e come Trump vuol far pagare gli aiuti ucraini all’Ue
Donald Trump ne dice tante, ma c’è un filo logico nelle sue (apparentemente) irrazionali uscite retoriche. La minaccia di dazi doganali agli Stati Ue e la spinta alle aziende europee a produrre negli Usa sono parte dello stesso disegno che coinvolge anche gli aiuti a Kiev. Il tycoon ha conquistato una seconda volta gli americani promettendo loro di aumentare il benessere economico delle classi medie anche nell’America profonda, e non solo sulle coste. Per riuscirci, è necessario rilanciare la produzione interna. Le armi e le tecnologie necessarie agli ucraini nella guerra contro la Russia sono un prodotto di punta dell’industria a stelle e strisce. E non vengono di certo “regalate”.
Quando sentiamo che gli Usa stanziano miliardi di dollari per l’Ucraina, vuol dire che il governo federale ordina armi e tecnologie alle aziende nazionali (e non, considerando anche le collegate europee). Il tutto ovviamente al netto degli aiuti squisitamente umanitari e di quelli finanziari, pensati per tenere in piedi la macchina statale ucraina da tempo in fallimento tecnico. Il sistema dei famosi contractor statunitensi funziona dunque così: il Congresso approva i fondi per l’acquisto di armi e tecnologie da società legate a Pentagono, Cia e altri apparati. Non sono gratis, non è beneficenza.
Gli Stati europei dovranno sobbarcarsi questo fardello economico, oltre che parte di quello industriale. Quando al World Economic Forum di Davos 2025 il tycoon ha ribadito ai Paesi Ue di destinare il 5% del Pil al riarmo e alla Difesa, non ha detto altro che questo: comprate le armi da noi americani e, se le producete, le producete da noi e con nostro tornaconto. Messaggio forte, ma semivuoto. Sono anni che gli Stati membri faticano ad arrivare a quel 2% del Pil di spesa deciso al vertice del Galles nel 2014, e poi ribadito a gran voce dalla prima presidenza Trump nel 2017.
Lo scontro tra Nato e Usa non esiste, ma con l’Ue sì
Un’altra scenetta divertente, e ricorrente negli ultimi tempi, è offerta dal segretario generale della Nato, Mark Rutte, che dialoga col segretario di Stato americano, Marco Rubio. Divertente perché posticcia, in quanto dire “Nato” e dire “Usa” è la stessa cosa. Eppure abbiamo sentito Rutte dire, sempre al Forum di Davos, che sull’Ucraina “noi della Nato abbiamo bisogno che gli Stati Uniti rimangano coinvolti. Se la nuova amministrazione Trump è disposta a continuare a rifornire Kiev dalla sua base industriale di difesa, il conto sarà pagato dagli europei. Ne sono assolutamente convinto, dobbiamo essere disposti a farlo”. Chi l’avrebbe mai detto: il capo del braccio armato degli Usa in Europa dà ragione al presidente degli Usa.
L’impegno degli Usa nella Nato, checché ne dica Trump, non è in discussione. La Nato è una creazione di Washington, necessaria agli obiettivi strategici di tenuta del continente europeo. Con un nemico necessario, la Russia, con cui però si dovrà parlare per cessare il conflitto in Ucraina. Il braccio politico americano in Europa si dipana invece attraverso le istituzioni Ue, la cui presa sui singoli Stati incontra sempre più resistenza per via delle divisioni interne. Gli elettori di Trump sono arrabbiati con gli europei, visti come “scrocconi” mantenuti dai fucili e dai soldi americani. Per questo era molto più facile e utile per il neo presidente attaccare la parte politico-economica dell’Unione europea. Ed eccoci qui.