Manager licenziata dopo stupro, lettera di risoluzione del contratto firmata da una donna

Prima lo stupro, poi la lettera di licenziamento (firmata da una donna). La giovane, che era solita lavorare anche 12 ore al giorno, è stata cacciata dalla sua azienda per scarso rendimento

Foto di Mauro Di Gregorio

Mauro Di Gregorio

Giornalista politico-economico

Laurea in Scienze della Comunicazione all’Università di Palermo. Giornalista professionista dal 2006. Si interessa principalmente di cronaca, politica ed economia.

Nel marzo del 2023 una ragazza torinese di 32 anni è stata vittima di uno stupro di gruppo in un locale sui Navigli a Milano. La 32enne era manager nella sede di Assago di una multinazionale della moda con sede legale in Olanda. Dopo la terribile esperienza, la giovane donna ha riportato ferite nel corpo e nella psiche. L’azienda l’ha infine licenziata.

Condannati i tre stupratori

I tre stupratori hanno agito fingendosi amici, poi hanno trascinato la giovane in auto caricandola a forza e l’hanno portata in un luogo dove si è consumata la violenza. Gli atti sessuali sono stati filmati e le immagini sono poi passate di cellulare in cellulare. Il trio è stato infine condannato.

Licenziata per scarso rendimento

Oltre ai danni psicologici, la ragazza, dopo la violenza sessuale, aveva avuto bisogno di 70 punti di sutura. Lei, che parla fluentemente 4 lingue e che prima del dramma era una stakanovista capace di lavorare anche per 12 ore al giorno, si era presa un lungo periodo lontano dal lavoro per cercare di riprendersi ed era ritornata in ufficio a settembre 2023.

Per il settore impiegatizio la normativa impone dei limiti temporali minimi per il periodo di comporto, che possono eventualmente essere estesi dalla contrattazione aziendale. Si tratta di 3 mesi se l’anzianità di servizio è inferiore a 10 anni e di 6 mesi se l’anzianità di servizio supera i 10 anni. La Cassazione ha stabilito che per la cura di malattie particolarmente gravi, come quelle oncologiche, il periodo di comporto può essere superiore. Ma i traumi psicologici non rientrano in questa casistica. Oltre alla pausa lavorativa, l’azienda ha contestato alla ragazza anche lo scarso rendimento.

L’11 marzo 2024 l’ormai ex manager è stata cacciata tramite lettera di licenziamento irrevocabile, con effetto immediato e restituzione di tutti i beni aziendali. Nella lettera, firmata da una donna, è stato scritto così: “Mi vedo purtroppo costretta a procedere con il suo licenziamento […] per inadeguato mantenimento di profittabilità”. A svelare i dettagli della conclusione di questo rapporto di lavoro è il quotidiano Il Giorno.

Opposizione al licenziamento

Come riporta ancora il quotidiano, il legale dell’ex manager, Alexander Boraso, impugnerà il licenziamento innanzi al tribunale del lavoro di Torino. L’atto di opposizione, spiega l’avvocato, si articola su tre punti: “L’assenza del giustificato motivo oggettivo, la violazione del repechage (ovvero il dovere del datore di lavoro di offrire una mansione alternativa al dipendente, prima di licenziarlo, ndr) considerando che la mia assistita prima di lavorare alla sede di Assago della multinazionale olandese aveva lavorato con le medesime mansioni in Francia e Spagna e, in ultimo, comportamento discriminatorio del management olandese perché la ‘non profittabilità’ come si legge nella lettera di licenziamento, qualora fosse accertata, non è dovuta a ragioni imputabili alla donna, ancora in cura”.

Il legale punterà anche a ottenere il reinserimento in azienda e un risarcimento non inferiore a 100.000 euro. L’azienda ne ha offerti 5.000.

Come puntualizza l’avvocato, la 32enne “puntava tutto sul lavoro”. È vero che “alla ripresa del servizio, a settembre, non aveva dimostrato la capacità performativa di prima, quando era operativa 12 ore al giorno”. “Ma – aggiunge il legale – sarebbe stata solo questione di tempo e, in ogni caso, il lavoro era la sua ancora di salvezza”.

Le parole della ex manager

Più volte al suo avvocato Alexander Boraso, come riporta la Stampa, la manager che ha subito la violenza ha ripetuto queste parole: “Quello che mi ha fatto più male è essere stata licenziata da una donna. Anzi, tutte quelle che, alla fine, hanno deciso di farmi fuori dall’azienda sono donne. E io che ho sempre creduto alla solidarietà femminile… poi dopo quello che sono stata costretta a subire, pensavo davvero di trovare un po’ di umanità, di supporto, almeno di comprensione. Invece mi sono sbagliata e, a un grande dolore, se n’è aggiunto un altro”.

E ancora, al rientro al lavoro dopo lo stupro il lavoro per lei è cambiato radicalmente: “Viaggiavo di meno, avevo meno responsabilità. Poco per volta mi sono accorta che intorno a me si creava una specie di vuoto. E questo anche se io non avevano mai avuto una contestazione disciplinare, ma avevo sempre fatto il mio, perché sono innamorata del mio lavoro”.