Sono bastati appena 15 minuti per il Consiglio dei ministri di venerdì 29 novembre. Una seduta che ha visto l’approvazione del decreto Giustizia. I temi cardine sono però stati di colpo eliminati, a partire da quella che era stata largamente definita una “norma bavaglio” per i magistrati.
Interventi in pubblico dei magistrati
La discussione al Consiglio dei ministri è slittata di qualche giorno su richiesta di Forza Italia. Di fatto Tajani aveva chiesto un rinvio, in una fase decisamente delicata per il governo di Giorgia Meloni. I contrasti interni sono sotto lo sguardo degli elettori e delle opposizioni.
C’è chi si chiede se in questo modo il Paese possa realmente fare dei passi avanti ma, intanto, il decreto Giustizia ha ottenuto il via libera, con una norma mancante che potrebbe generare malumori nella maggioranza.
Perché si parlava di “norma bavaglio”? Il motivo è semplice: l’introduzione di un illecito disciplinare, indirizzato alle toghe non intenzionate ad astenersi dai procedimenti nel caso in cui “sussistano gravi ragioni di convenienza”. Una modifica sostanziale, che amplia nettamente il novero dei casi, in aggiunta a quella che è già l’astensione obbligatoria prevista dalla legge.
Secondo i critici della norma, l’obiettivo sarebbe stato quello di rimuovere determinati fascicoli dalle scrivanie di magistrati ritenuti “politicizzati”.
Sarebbe stato dunque impossibile fronteggiare dei casi specifici, laddove fosse stata precedentemente presa posizione in pubblico (convegni, libri, documenti e/o interviste). Un esempio calzante in merito è quello dei richiedenti asilo in Albania. Uno dei capitoli più spinosi e complessi di questa maggioranza.
La destra si è espressa in massa in merito, con uno scontro a distanza con Silvia Albano, tra i giudici di Roma che hanno bloccato i trattenimenti in corso. Ecco le parole di Matteo Salvini: “Quei giudici, pochi per fortuna, che invece di applicare le leggi le stravolgono e boicottano, dovrebbero avere la dignità di dimettersi, di cambiare mestiere e di fare politica con Rifondazione Comunista. Sono un problema per l’Italia”.
Ecco, dunque, la presunta “convenienza”, che sarebbe stata giudicata da Nordio, in caso di passaggio della norma, fino a una potenziale azione disciplinare dinanzi al Consiglio superiore della magistratura. Da qui, potenzialmente, il passo verso ammonimento e rimozione dall’ordine non sarebbe stato poi così lungo.
Reati informatici, scontro con Forza Italia
Il veto di Forza Italia ha bloccato l’articolo 8 della bozza del decreto Giustizia. Il partito aveva già evidenziato il proprio parere, relativo a ulteriori analisi in materia, obbligando allo slittamento dell’esame del decreto.
Ciò che viene contestato è il potere d’avvio e coordinamento delle indagini garantito alla Procura nazionale antimafia sul nuovo reato di estorsione informatica. Un potenziamento mal digerito, di fatto, con il capogruppo al Senato Maurizio Gasparri che si è così espresso: “Merita ancora una riflessione nel governo”.
Ancora uno step complicato per la maggioranza, dunque, che dopo quattro giorni non è riuscita a individuare il giusto accordo. Tutto rinviato per “ulteriori approfondimenti tra gli uffici competenti”.
Quanto detto, però, non rappresenta la totalità di quanto inserito in tale articolo. Si prevedeva infatti anche l’arresto obbligatorio in flagranza, nel caso di accesso abusivo a sistemi informativi d’interesse militare o in qualsiasi modo connessi all’ordine pubblico o alla sicurezza pubblica.
Al tempo stesso, però, il documento prevedeva anche la possibilità di un approccio meno diretto. Su autorizzazione del pm, infatti, gli investigatori avrebbero potuto ritardare l’arresto, al fine di poter acquisire nuove prove. In aggiunta, sarebbe stata prevista anche la confisca obbligatoria degli strumenti adoperati, con competenza della Procura distrettuale.