Auto elettriche, la Cina presenta ricorso per i dazi europei: quali conseguenze per l’Italia

Secondo Pechino la decisione è priva di fondamento giuridico e fattuale: perché la tensione Cina-Ue preoccupa l'Italia

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Giorgio Pirani

Giornalista economico-culturale

Giornalista professionista esperto di tematiche di attualità, cultura ed economia. Collabora con diverse testate giornalistiche a livello nazionale.

Pubblicato: 10 Agosto 2024 17:06

La Cina considera illegittimi i dazi imposti dall’Unione Europea sulle importazioni di auto elettriche cinesi e ha quindi presentato un ricorso all’Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc). Secondo il ministero del Commercio cinese, i dazi europei violerebbero le normative dell’Omc e danneggerebbero gli interessi dei produttori cinesi, che potrebbero subire gravi penalizzazioni.

Il caso dei dazi cinesi

La vicenda è nata a inizio luglio, quando la Commissione Europea ha introdotto dazi sulle auto elettriche cinesi per cercare di bilanciare il grande vantaggio che i produttori cinesi ottengono grazie ai sussidi governativi, che permettono loro di vendere a prezzi molto bassi e al di sotto dei costi di produzione, mettendo in difficoltà i produttori occidentali. I nuovi dazi, in vigore dal 5 luglio, variano tra il 17,4% e il 37,6%, a seconda dell’azienda, e si sommano ai dazi esistenti del 10%. Di conseguenza, l’importo complessivo dei dazi può arrivare fino al 47,6% del valore dell’auto.

Attualmente la grande azienda statale Saic Motor, che controlla il brand di maggior successo in Europa, l’ex britannica MG Motor, e che da 40 anni è partner del Gruppo Volkswagen in Cina, è soggetta alla tariffa più alta del 37,6%. Questo si somma all’aliquota esistente del 10%. Al contrario, il gruppo Geely, proprietario di Volvo Car, e il colosso BYD, che è diventato il leader globale per volumi di auto elettriche a batteria (Bev) e ibride plug-in (Phev) in pochi anni, affrontano oneri aggiuntivi rispettivamente del 19,9% e del 17,4%.

Percentuali che, però, non fanno felice il Ministero del Commercio cinese, che ha fatto ricorso dichiarando: “La conclusione provvisoria dell’Ue è priva di fondamento giuridico e fattuale. Essa viola gravemente le regole dell’Omc e mina la cooperazione globale per affrontare il cambiamento climatico. Esortiamo l’Unione Europea a correggere immediatamente i suoi errori e a preservare la cooperazione economica e commerciale tra Cina e Ue, così come la stabilità della catena di approvvigionamento dei veicoli elettrici”.

A luglio, per la prima volta, le vendite di auto elettriche a batteria e ibride plug-in in Cina hanno superato il 50% del mercato, raggiungendo il 50,7%. Sono state vendute 1,72 milioni di vetture, con una diminuzione complessiva del 2,8% rispetto all’anno precedente e del 2,6% rispetto a giugno 2024. Tuttavia, le auto elettriche hanno visto un incremento del 37%, raggiungendo 878 mila unità (482 mila Bev, con un aumento del 14,3%, e 396 mila Phev, con un incremento dell’80,4%). Inoltre, l’export di questi veicoli è aumentato del 20%.

Perché la tensione Cina-Ue preoccupa l’Italia

Il ricorso era ampiamente prevedibile e ventilato nei giorni scorsi; negli ultimi mesi, le relazioni tra Pechino e l’Unione Europea hanno raggiunto nuovi minimi, mentre il blocco europeo sta progressivamente allineando la sua politica estera a quella degli Stati Uniti.

La trattativa per raggiungere un accordo diventa così più complessa. Una situazione che mette in mezzo indirettamente anche l’Italia: il Governo è favorevole ai dazi, ma Meloni da tempo sta aprendo alla produzione di auto elettriche cinesi in Italia. Il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, è impegnato in tre trattative con case automobilistiche cinesi, tra cui il colosso statale Dongfeng, che è pronto a fare un massiccio investimento nel nostro paese per la creazione di un hub con una produzione di oltre 150mila veicoli l’anno per tutta l’Europa e portando così 11mila posti di lavoro. Se le tensioni tra Cina e Unione Europea dovessero aumentare, alcune di queste trattative potrebbero saltare.

In un’intervista al Messaggero, Urso afferma: “Credo sia utile trovare una soluzione negoziale, come avvenuto in passato, per ripristinare condizioni di parità”. Inoltre, il ministro sottolinea che, in ogni incontro, è presente un rappresentante dell’Anfia, l’associazione delle imprese dell’indotto, perché “chi verrà deve coinvolgere i fornitori italiani, non semplicemente assemblare pezzi realizzati altrove”.