Il maltempo ha colpito duramente l’Italia causando allagamenti, esondazioni di fiumi e frane. Nel Goriziano è in corso una delle situazioni più critiche e Friuli Venezia Giulia ha dichiarato l’emergenza regionale. A Versa sono circa 300 le persone che hanno bisogno di una sistemazione e di supporto, dai pasti all’assistenza, dopo le esondazioni del fiume Torre. Il maltempo continua a tenere in ostaggio parte del territorio italiano: da piogge che hanno fatto crollare soffitti, esondazioni e frane, fino a trombe d’aria. L’allerta per i temporali si allarga oltre il Friuli Venezia Giulia e tocca Toscana, Molise ed Emilia-Romagna, con particolare attenzione alle piene dei fiumi, alle frane e all’allerta vento.
L’Italia si riconferma, tristemente, il Paese delle frane. Lo scorso 5 giugno, in occasione della Giornata dell’Ambiente, si è tenuto un convegno nel quale gli esperti hanno ricordato che, nel corso della sua storia, in Italia sono state cartografate 634.000 frane in collina e montagna: ben due terzi di quelle note in tutta Europa. La superficie del territorio italiano a rischio frana continua ad aumentare e oggi rappresenta il 23% del territorio nazionale, con situazioni critiche a Bolzano, Toscana, Sardegna e Sicilia. Nel 2024, il 94,5% dei comuni italiani è a rischio frana, alluvione, erosione costiera o valanghe.
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Maltempo e frane: i rischi del territorio italiano
Il territorio italiano non è mai davvero fuori pericolo. Come hanno spiegato il geologo Fabio Guzzetti e Ispra nella Giornata dell’Ambiente, lo scorso 5 giugno, l’Italia è un territorio ricco di colline e montagne. Tolte le pianure, in Italia ci sono state 3 frane ogni chilometro quadrato. Guzzetti ha ricordato che, durante le alluvioni che hanno colpito l’Emilia-Romagna nel maggio 2023, sono state contate addirittura 80.000 frane in pochi giorni.
Il numero delle frane è aumentato nel tempo perché è strettamente collegato al cambiamento climatico. L’aumento delle temperature fa fondere il ghiaccio e il permafrost, e i versanti, tenuti in piedi dalla presenza di acqua allo stato solido, diventano instabili. È il caso della tragedia della Marmolada, nel 2022, quando una valanga di ghiaccio, rocce e detriti ha ucciso 11 persone.
In Emilia-Romagna, invece, è stata la pioggia a scatenare la frana: una cosiddetta frana con colata di detrito, superficiale e veloce. Una dinamica simile si è verificata anche a Sarno nel 1998, quando morirono 160 persone. Poi ci sono le frane profonde, quelle che coinvolgono superfici di terreno più estese e vengono innescate da piogge lunghe e da stagioni molto umide. Anche se oggi piove sempre meno, sono proprio gli eventi estremi, che concentrano in pochi momenti la quantità di pioggia annuale, a favorire le colate di detrito, che sono anche le frane più pericolose e imprevedibili.
Dissesto idrogeologico: +15% di superficie a rischio
Oggi ci sono almeno 1.200 aree instabili che vengono monitorate costantemente, e la superficie a rischio è destinata ad aumentare. Dal 2021 al 2024 l’aumento è stato del +15%, facendo arrivare a 69.500 km² la superficie del territorio nazionale esposta a rischio.
I territori che hanno subito un incremento maggiore sono:
- Provincia autonoma di Bolzano +61,2%;
- Toscana +52,8%;
- Sardegna +29,4%;
- Sicilia +20,2%.
L’aumento dei dati è dovuto sia a un maggior studio delle autorità locali, sia al deterioramento progressivo del territorio. In questo modo, nel 2024 è stato calcolato che il 94,5% dei comuni italiani è a rischio frana, alluvione, erosione costiera o valanghe.
I costi delle frane e delle alluvioni
Nel momento in cui si verifica un evento estremo come un’alluvione o una frana, stimare i danni è difficile. Per esempio, è ancora impossibile calcolare a quanto ammontino i danni per l’agricoltura nel Friuli Venezia Giulia, fortemente colpito dalle piogge. Sappiamo però che dal 2012 al 2023 sono stati spesi 3,3 miliardi di euro l’anno per rimediare ai danni del dissesto idrogeologico.
Secondo i dati diffusi da Ispra, la situazione non può che peggiorare, sia dal punto di vista ambientale che da quello della spesa pubblica. Federica Brancaccio, presidente dell’Associazione nazionale costruttori edili, ha dichiarato che non possiamo continuare a rincorrere le emergenze e che serve una svolta. È necessario quindi studiare un piano con fondi certi per la manutenzione del territorio e istituire un coordinamento per le politiche di prevenzione, oggi troppo frammentate.
Su una cosa l’Ufficio parlamentare di bilancio è chiaro: se non ci attiviamo in tempo, l’impatto degli eventi estremi e degli sconvolgimenti del clima ci costerà 5,1 punti percentuali di PIL entro il 2050, ovvero oltre 100 miliardi di euro.
Investire contro il cambiamento climatico
Parte della politica, non solo italiana ma anche europea e globale, non sta puntando su un fattore determinante per ridurre la frequenza di eventi estremi: la lotta al cambiamento climatico. Lo vediamo soprattutto nei giorni della COP30: il clima è ormai diventato un tema ideologico che divide destra e sinistra, come se i costi non ricadessero su tutti, dall’economia alla salvaguardia dei beni culturali, fino alla salute delle persone.
Le frane sono causate da diversi fattori, tra i quali quelli climatici. Oltre agli aspetti geologici, morfologici e idrogeologici, non possiamo non citare i fattori climatici: l’alternanza di lunghe stagioni secche e periodi di piogge intense, i fattori vegetali come disboscamenti e incendi, e quelli antropici, come scavi, impermeabilizzazione dei suoli e abbandono delle terre.
L’Italia è indietro, ma non fa peggio di molti altri Paesi, compresa un’Europa che vuole raggiungere obiettivi climatici ambiziosi ma sempre più spesso impopolari, complice la propaganda di partiti e governi che inseguono un benessere immediato al costo del “tutto e subito”.