La lotta contro la crisi climatica coinvolge anche il settore culinario. L’industria alimentare è responsabile della produzione di oltre diciassette milioni di tonnellate di CO2 in tutto il mondo. Il 29% di queste emissioni deriva dalla produzione di alimenti di origine vegetale, mentre il 57% è attribuibile ai prodotti di origine animale. Gli allevamenti bovini e le coltivazioni di riso, soprattutto in Sud America e nel Sud-Est asiatico, sono i principali responsabili dell’impatto negativo sul bilancio delle emissioni di gas serra.
Le conclusioni presentate nel citato studio pubblicato dalla rivista Nature Food, condotto da un gruppo di esperti internazionali guidati dall’Università dell’Illinois e con la partecipazione della divisione Statistica della Food and Agricultural Organization (FAO) di Roma, evidenziano un impatto ambientale significativo dell’industria alimentare sul pianeta. Questo impatto può essere considerato come un soffocamento per i polmoni della Terra. Tuttavia, è interessante comprendere quali siano le scelte alimentari preferite dagli italiani e come queste influiscano sulla salute dell’ambiente.
Indice
Studio internazionale rivela i Paesi più impattanti e le soluzioni possibili
Un gruppo internazionale di ricercatori ha condotto uno studio coordinato dalle università di Groningen e di Birmingham per rispondere, almeno in parte, alle seguenti domande: da dove provengono le emissioni che contribuiscono all’aumento della temperatura del pianeta? Quali produzioni alimentari hanno un impatto maggiore? Quali sono i paesi che hanno il maggior peso in questa situazione e, soprattutto, come si può frenare la crisi ambientale?
Gli effetti negativi del consumo di carne di manzo e latticini
Lo studio, pubblicato su Nature Food, ha evidenziato che alcuni anelli della catena alimentare sono responsabili del maggior aumento delle emissioni di gas ad effetto serra. In particolare, il consumo di carne di manzo e di latticini in paesi altamente popolosi e in rapido sviluppo come Cina e India è un fattore determinante. Questo contribuisce ulteriormente all’instabile bilancio delle emissioni di anidride carbonica, metano, monossido di diazoto e idrofluorocarburi. L’aumento della popolazione mondiale e il consumo crescente di alimenti ad alto impatto ambientale sono i due principali fattori che accentuano tale situazione.
I dati dei consumi e delle emissioni dal 2000 al 2019
Secondo una recente ricerca, le emissioni alimentari sono state oggetto di un approfondito studio da parte di un gruppo di autori. Analizzando i dati raccolti nel periodo compreso tra il 2000 e il 2019, gli studiosi hanno scoperto che oltre il 40% delle emissioni derivanti dalla filiera alimentare sono attribuibili a cinque Paesi principali: Cina, India, Indonesia, Brasile e Stati Uniti.
Inoltre, è emerso che nel corso dello stesso lasso di tempo, le emissioni annuali causate dalla produzione di cibo sono aumentate del 14%. Questo incremento è principalmente dovuto all’aumento dei consumi di prodotti di origine animale, i quali contribuiscono al 50% delle emissioni alimentari totali. Tra i principali fattori di questa crescita si trovano la carne di manzo, che rappresenta il 32% dell’aumento delle emissioni, e i latticini, responsabili del 46% dell’incremento complessivo delle emissioni.
Ma cosa succede con gli alimenti di origine vegetale? Risulta che i consumi di cereali, in particolare riso, e le colture oleaginose destinate alla produzione di oli vegetali, giocano un ruolo significativo nel bilancio delle emissioni alimentari.
Emissioni globali, la mappa
L’analisi rivela che ci sono diverse tipologie di paesi in relazione alle emissioni generate dalla produzione di cibo. Questi profili sono condizionati non soltanto dalle caratteristiche geografiche, politiche ed economiche, ma anche dalle recenti politiche commerciali e dagli accordi stipulati.
In breve, si possono individuare i seguenti profili:
- I paesi con un elevato livello di emissioni pro capite, principalmente dovute all’allevamento e al consumo di carni rosse, come Nord America, America latina, Caraibi e Australia.
- I paesi sviluppati che importano cibo e quindi “esternalizzano” gran parte delle emissioni legate all’agricoltura e all’allevamento, come Europa e Giappone.
- I paesi in rapido sviluppo che aumentano le emissioni a causa dell’aumento della popolazione e/o del miglioramento delle condizioni di vita, come Cina, Sud-est asiatico, Nordafrica e Medio Oriente.
- I paesi con una produzione ad alto impatto di emissioni e cambiamenti nell’uso del suolo, come la deforestazione, come Brasile, Indonesia, Africa centrale e meridionale.
L’Italia: uno dei maggiori consumatori di cibi animali al mondo
Prendendo in considerazione che il settore dell’industria alimentare contribuisce al 57% delle emissioni globali, principalmente a causa della produzione di cibi di origine animale, si può affermare che gli italiani non sono molto sostenibili a tavola.
Secondo i dati riportati da Our World in Data, in Italia si consumano più di centodiecimila kg di cibi di origine animale all’anno, un livello medio-alto che ci posiziona appena dopo paesi con una popolazione molto più numerosa come gli Stati Uniti (centoquarantaseimila kg all’anno) e l’Argentina (con più di centosedicimila kg all’anno). Tuttavia, è interessante notare che ci sono paesi con una popolazione meno numerosa ma una propensione maggiore al consumo di prodotti di origine animale, come il Portogallo (con centocinquantamila kg all’anno) e la Francia (centodiciassettemila kg all’anno).
Crescente consumo di prodotti di origine animale
Secondo il rapporto di Our World in Data, il consumo intensivo di prodotti di origine animale sta aumentando rapidamente, superando addirittura il tasso di crescita della popolazione.
Tuttavia, questo fenomeno non si verifica in modo uniforme in tutti i paesi. Infatti, i paesi con un’economia in crescita hanno sperimentato una crescita ancora più significativa nel consumo di prodotti di origine animale. Questo è evidente ad esempio in Cina, dove il consumo di carne è aumentato di circa quindici volte rispetto agli anni sessanta, e in Brasile, dove è quadruplicato.
Con un aumento così rapido e costante dei consumi, la produzione dovrà necessariamente seguire le esigenze della popolazione. Tuttavia, come accennato in precedenza, l’alto livello di inquinamento generato lungo l’intera filiera dei prodotti di origine animale non farà altro che aumentare.
Cambiamenti globali nella dieta per un futuro sostenibile
Gli autori dello studio pubblicato su Nature Food sottolineano che per trovare soluzioni è necessario apportare cambiamenti globali nella dieta. In particolare, ridurre il consumo eccessivo di carni rosse e aumento della quota di proteine di origine vegetale. Questo non solo permetterebbe di ridurre le emissioni, ma anche di prevenire problemi di salute come obesità e malattie cardiovascolari. È inoltre consigliato consumare più frutta e verdura, ridurre l’assunzione di cibi elaborati, carne e latticini al fine di alleviare l’impatto della nostra alimentazione sulla salute del pianeta e su noi stessi.