Tutta l’Italia è su un piano inclinato per quanto riguarda la crisi demografia e le relative proiezioni sul mercato del lavoro, ma le previsioni per le regioni del Nord sono particolarmente impietose: gli occupati nel Nord Italia scenderanno di -2,4 milioni di unità entro il 2040. Il Nord sperimenterà con particolare durezza gli effetti della cosiddetta “glaciazione demografica”. È quanto si evince dalla quarta nota pubblicata dalla Fondazione Nord Est.
I rimedi contro la glaciazione demografica
Nel periodo considerato, il numero degli occupati nel Nord Italia passerà da 27,4 milioni del 2023 a 25,1 milioni, in assenza di apporti esterni. Se il Nord si impoverisce, in mancanza di politiche reali ed efficaci per lo sviluppo del Sud, tutto il Paese è destinato a risentirne con effetti immediati sul welfare e sulle politiche per la transizione green.
La Fondazione suggerisce quattro contromosse per invertire la tendenza:
- attrarre e valorizzare i giovani;
- coinvolgere pienamente le donne nel mondo del lavoro;
- rinviare l’età del pensionamento;
- accogliere più immigrati.
Il Nord Italia sembra destinato a perdere -2,3 milioni di abitanti entro il 2040, passando da 27,4 milioni del 2023 a 25,1 milioni. Il calo sarà di -1,4 milioni nel Nord Ovest e di -939.000 nel Nord Est.
Valorizzare i giovani
L’attrazione e la valorizzazione dei giovani, spiega la Fondazione, è la “leva più potente per attenuare le conseguenze della glaciazione demografica”. Fra il 2011 e il 2021 se ne è andata dall’Italia una media di quasi 29.000 18-34enni all’anno, al netto di quanti sono rientrati. Allo stesso tempo, sono arrivati dai Paesi europei avanzati meno di un settimo di giovani di pari età.
La Fondazione Nord Est suggerisce di potenziare i collegamenti interni e con l’esterno, delle infrastrutture digitali, della connettività e dei servizi per la famiglia; propone poi di creare università meno autoreferenziali e più internazionali; di garantire l’equipollenza dei titoli di studio con i Paesi esterni alla Ue; di introdurre retribuzioni legate al merito e non all’anzianità; di puntare sulla responsabilizzazione e sull’autonomia decisionale; di aumentare la disponibilità di alloggi; e di puntare su una maggiore innovazione nelle imprese, fra le altre cose.
Puntare sulle donne
Il secondo step è quello di aumentare il coinvolgimento delle donne nel tessuto produttivo potenziando “tutti i servizi che aiutano ad alleggerire il loro gravoso compito di accudimento all’interno della famiglia, sia che si tratti di prole sia che si tratti di altri parenti” dal momento che l’accudimento è oggi “in larghissima misura a carico delle donne”. L’Assegno unico universale e il Bonus asilo, misure già in atto, sono dunque solo il punto di partenza.
Più donne nel mondo del lavoro, e soprattutto nelle professioni meglio remunerate e nei ruoli dirigenziali, porterebbero a un aumento del Pil e alla creazione di nuovi posti. Ma non solo: si darebbe loro maggiore potere nella società e nel nucleo familiare. “La piena partecipazione femminile al mondo produttivo è coerente con il successo delle politiche di attrazione dei giovani, anzi ne è una precondizione”, puntualizza la Fondazione. “Non può esserci attrattività verso i giovani in un sistema sociale che discrimini ancora le persone in base al genere”.
Innalzamento dell’età pensionabile
L’innalzamento dell’età pensionabile è ormai un tema fisso nel dibattito pubblico. Il tema è giustificato dall’allungamento della vita media e dalla crisi degli istituti previdenziali. Anche la Fondazione Nord Est si aggiunge al coro di chi chiede l’allungamento della vita lavorativa in Italia.
In parte l’allungamento avverrà naturalmente, specifica la Fondazione, “attraverso la sostituzione delle coorti più anziane di lavoratori con quelle meno anziane, che hanno un tasso di occupazione più elevato, hanno iniziato a lavorare più tardi essendosi prolungato il tempo di istruzione e dovranno adeguare i comportamenti alle diverse regole previdenziali, compresa la necessità di garantirsi una pensione mensile che consenta il più possibile il mantenimento delle condizioni di vita”.
L’innalzamento fisiologico potrebbe compensare fino a un terzo del calo di 2,4 milioni di occupati. Mantenere i lavoratori in servizio per un maggiore numero di anni porterebbe a un innalzamento del Pil. Ma questa misura, che da sola rallenta di fatto il ricambio generazionale, per essere efficace dovrebbe sposarsi con la creazione di nuovi posti di lavoro. L’obiettivo, viene specificato, non è solo quello di dare respiro alle finanze pubbliche, ma puntare anche al “mantenimento di una società vitale sul piano produttivo”.
Secondo le stime della Fondazione Nord Est, ogni punto di innalzamento del tasso di occupazione per le persone nella fascia di età 65-70 anni comporta un aumento di 27.000 lavoratori al 2040 nelle regioni settentrionali, con una maggiore distribuzione nelle regioni più popolose: +10.000 in Lombardia, +5.000 in Veneto, +4.000 in Piemonte ed Emilia-Romagna.
Ipotizzando l’estensione all’intera popolazione della fascia di età 65-70 anni del tasso di occupazione attuale dei 45-54enni (pari all’85,1% nel 2023) ci sarebbero nel 2040 2,3 milioni di occupati in più. “In un futuro non lontano – prevede la Fondazione Nord Est – la maggior parte degli ultra 64enni lavorerà”.
Aumentare il numero degli immigrati nel tessuto produttivo
La quarta e ultima contromossa proposta dalla Fondazione riguarda l’immigrazione, tema caldissimo del dibattito pubblico.
Secondo le proiezioni elaborate dalla Fondazione Nord Est le tre precedenti contromisure messe in atto per controbilanciare la glaciazione demografica (giovani, donne ed età pensionabile più lontana) lascerebbero comunque un buco fra 794.000 e 1,1 milioni di lavoratori. Buco che dovrebbe essere colmato dai lavoratori immigrati. “Attualmente – viene evidenziato – per ogni lavoratore immigrato vive nel Nord Italia un’altra persona”. Per la Fondazione dovremo prepararci ad accogliere nei prossimi 17 anni tra 1,5 e 2,2 milioni di stranieri. Ossia tra 93.000 e 130.000 l’anno. Cifre che dovranno necessariamente essere tanto più grandi quanto minore successo avranno le altre tre precedenti contromosse.
Fra le regioni del Nord la distribuzione del fabbisogno di immigrati varia molto: al primo posto c’è la Lombardia con 415.000-642.000 immigrati in più, seguita dal Veneto con 413.000-498.000 immigrati, dal Piemonte con 348.000-396.000 e dall’Emilia-Romagna con 122.000-291.000.
Ma l’immigrazione, viene sostenuto, non serve solo a rinforzare l’economia: un’iniezione di nuovi italiani sarebbe efficace anche contro il calo e l’invecchiamento della popolazione.
Il tema del rilancio dell’economia attraverso l’immigrazione era già stato trattato dalla Banca d’Italia.