Per i lavoratori con meno di 35 anni la pensione sarà un vero e proprio miraggio. A lanciare l’allarme è il Consiglio nazionale dei giovani, organo rappresentativo delle ultime generazioni di fronte alle istituzioni, tramite uno studio realizzato con Eures, la rete di cooperazione europea dei servizi dell’impiego. Da quanto emerso dall’analisi dei dati Inps, chi ha meno di 35 anni di età rischia di dover lavorare fino a 74 anni prima di poter ricevere un assegno di almeno mille euro.
La ricerca
Lo studio dal titolo ‘Situazione contributiva e futuro pensionistico dei giovani’ pone ancora una volta la’ttenzione sulla discontinuità lavorativa e la precarietà crescente che, associate a retribuzioni basse e assenza di garanzie sociali, sono i principali ostacoli per le fasce più giovani e le donne sia per entrare nel mercato del lavoro, sia per raggiungere una stabilità contrattuale e dei livelli retributivi accettabili.
“Tutto questo comporta un impatto significativo sulla situazione previdenziale futura dei giovani” ha spiegato la Presidente del Consiglio nazionale giovani, Maria Cristina Pisani, che ha lanciato un appello sulla “necessità di un dibattito più approfondito sulle questioni previdenziali, che tenga conto anche delle esigenze delle giovani generazioni”.
“La questione demografica e il passaggio al sistema ‘contributivo puro’ mettono ulteriormente a rischio la sostenibilità del nostro sistema pensionistico – ha aggiunto la presidente del Cng – Questa tendenza impone ai cittadini di lavorare più a lungo per ricevere pensioni meno generose rispetto alle generazioni precedenti”.
I dati
Stando all’analisi del Consiglio nazionale dei giovani, le cause di questo fenomeno sono quindi rintracciabili principalmente tra questi fattori:
- discontinuità lavorativa
- basse retribuzioni
- mancanza di garanzie sociali
- questione demografica
- passaggio al sistema ‘contributivo puro’
Secondo l’elaborazione dei dati Inps relativi al monte retributivo dei giovani (15-35 anni), in Italia i lavoratori con meno di 35 anni potranno lasciare la propria occupazione, secondo quanto prevede la legge, non prima dei 69,8 anni di età per maturare una pensione superiore 2,8 volte al minimo, per un importo di 1.249 euro lordi, cioè 951 euro al mese al netto dell’Irpef (qui abbiamo riportato le ultime ipotesi sulla riforma delle pensioni sulle quali il Governo è al lavoro).
Per ricevere in media un assegno di almeno mille euro netti, gli under 35 dovrebbero smettere di lavorare a 73,6 anni, fino al 2057, raggiungendo i 1.561 euro lordi mensili (1.093 al netto dell’Irpef, 1.134 euro per gli uomini e 1.041 per le donne), pari a 3,1 volte l’importo dell’assegno sociale.
Ritirandosi a quasi 74 anni, secondo le proiezioni del Cng, i lavoratori con partita Iva riceverebbero 1.650 euro lordi mensili (1.128 al netto dell’Irpef), equivalenti a 3,3 volte l’importo dell’assegno sociale.
Un quadro in linea con le stime dell’Ocse che calcola come le ragazze e i ragazzi del nostro Paese che a 22 anni hanno cominciato a lavorare nel 2020 raggiungerebbero l’età pensionabile a 71 anni, dato più alto tra i Paesi dell’Unione europea. Questo nonostante, come riporta l’ultimo rapporto Eurostat, la spesa pensionistica in Italia nel 2020 abbia costituito il 17,6% del PIL, il secondo più alto nell’UE27 dopo la Grecia, e molto superiore alla media dell’UE27 del 13,6 (qui avevamo parlato della soluzione pensione di garanza per i 40enni).