Ancora trattative in corso tra sindacati e Volkswagen. L’intesa è in dirittura d’arrivo, ma c’è ancora il rischio della chiusura di una fabbrica, mentre un’altra potrebbe essere venduta. Sindacati e operai non hanno smesso di minacciare un’escalation degli scioperi; l’ultimatum è quello di trovare un accordo (anche con compromessi) entro Natale. La direzione sembra essere quella di ridurre il numero di fabbriche chiuse in maniera definitiva, resta in bilico l’impianto di Dresda, mentre un altro potrebbe essere venduto.
Accordo con i sindacati: Volkswagen prova a evitare escalation di scioperi
Proseguono gli incontri tra sindacati e dirigenti Volkswagen in cerca di un accordo. Dopo giorni di trattative, l’ultimo incontro sembra aver portato a un’intesa provvisoria.
Emerge la possibilità che Volkswagen abbia fatto un passo indietro rispetto alla minaccia iniziale che voleva la chiusura di tre fabbriche in Germania. Resterebbe un solo impianto a rischio, ovvero quello di Dresda. Questo potrebbe essere riconvertito per mantenerlo in funzione o potrebbe essere la vittima sacrificale della crisi dell’automotive. Per l’impianto di Osnabrück, il piano potrebbe essere la vendita, mentre gli altri due stabilimenti minacciati, ovvero quelli di Zwickau ed Emden, risultano salvi.
Qual è il compromesso?
La trattativa tra azienda e sindacati è andata avanti per oltre 60 ore, diventando la trattativa più lunga della storia di Volkswagen. Il compromesso deve essere ancora esaminato, non solo dal consiglio di vigilanza e dal comitato di contrattazione dei dipendenti, ma anche dal consiglio di amministrazione, il quale è il principale sostenitore delle soluzioni drastiche.
Si parla in queste ore di compromesso perché si è discusso della possibilità di ripristinare una forma di garanzia occupazionale per i 120.000 dipendenti dell’azienda. Rinnovare l’accordo è necessario, soprattutto perché l’ultimo è stato stipulato nel 1994 per sospendere i licenziamenti collettivi e poi revocato lo scorso settembre.
L’azienda però ha necessità di ridurre i costi e, se non può farlo attraverso la chiusura degli impianti, sarà necessario trovare altri escamotage. Una misura pensata per ridurre i costi è quella di spostare la produzione della Golf dalla sede centrale al Messico e di interrompere la produzione di veicoli elettrici nell’impianto di Zwickau. Per sopperire alla mancata produzione, nella fabbrica potrebbe essere realizzato un progetto di riciclo di automobili. Questo porterebbe alla conferma di 1.000 posti di lavoro.
Riduzione del costo del lavoro: continua scontro
La famiglia Porsche-Piech, che detiene il 31,9% di Volkswagen, spingerebbe per la chiusura delle fabbriche. Si tratta infatti del modo più sicuro per ridurre i costi. Volkswagen deve infatti ridurre i costi di 17 miliardi nei prossimi due anni, di cui una buona parte è dovuta al costo del lavoro. Per questo si parla ancora di riduzione del costo del lavoro del 10%.
Sul punto c’è ancora molto da discutere, poiché i sindacati si oppongono alla chiusura degli impianti e offrono in alternativa una riduzione del costo del lavoro con il taglio dell’orario. Se non ci sarà un accordo, Ig Metalli ha già minacciato un’escalation degli scioperi nel 2025. La minaccia ha la consistenza di oltre 100.000 dipendenti che hanno incrociato le braccia già due volte e questi scioperi non sono senza costi. Secondo Patrick Hummel, di Ubs, gli scioperi possono far perdere al gruppo fino a 100 milioni di euro al giorno. Un prezzo che Volkswagen non può permettersi.
Contro le decisioni di Volkswagen si è alzata anche la voce del governo tedesco. Il cancelliere uscente Olaf Scholz è intervenuto affermando che non possono pagare i dipendenti per le cattive decisioni prese dai manager, ovvero coloro che hanno generato la crisi. Anche il ministro dell’economia Robert Habeck ha richiamato il gruppo a pensare a delle soluzioni, come rendere le auto elettriche più accessibili con una riduzione del costo. Dopotutto, ricorda all’azienda, “il vostro nome è auto del popolo, non auto di lusso”.