La Corte di giustizia dell’Unione europea ha annullato una sentenza del Tribunale dell’Ue sul pagamento di 13 miliardi di tasse che Apple dovrebbe all’Irlanda, Stato in cui le succursali europee del colosso americano hanno sede. L’azienda dovrà quindi rendere questo denaro a Dublino, dato che la Commissione europea lo ha individuato come un aiuto di Stato non legittimo.
Con un’altra sentenza, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha anche condannato Google al pagamento di una multa di 2,4 miliardi di euro per abuso di posizione dominante nel mercato delle ricerche su internet. Questa volta la decisione del Tribunale dell’Unione europea, che aveva respinto il ricorso della società americana nel 2021, è stata confermata.
La vicenda Apple sulle tasse dovute all’Irlanda
La decisione che costringe l’Irlanda a riscuotere 13 miliardi di euro in tasse da Apple risale al 2016, ed era stata presa dalla Commissione europea. L’esecutivo Ue aveva valutato che il regime fiscale vantaggioso che Dublino aveva concesso alla società fin dal 1991 si basava su un ruling fiscale che violava le norme del mercato interno.
Cosa sono i ruling fiscali che l’Irlanda ha concesso ad Apple
I ruling fiscali sono una pratica che permette a uno Stato di accordarsi con una singola azienda per fissare un regime fiscale particolare, attirandola quindi nel Paese. L’Irlanda ne aveva emessi due in particolare, uno per ogni succursale di Apple di diritto irlandese: Apple Operations Europe (Aoe) e Apple Sales International (Asi).
Queste due società non si occupano soltanto dell’Europa, ma gestiscono l’interezza delle operazioni commerciali di Apple al di fuori del continente americano. Anche se erano costituite come società di diritto irlandese, non erano fiscalmente residenti in Irlanda. I ruling però non riguardavano questo aspetto, ma approvavano un accordo interno che Aoe e Asi avevano con la casa madre Apple Inc.
Per un periodo che andava dal 1991 al 2014 e che includeva quindi 24 esercizi, le due parti dell’accordo, la Apple americana e le due Apple irlandesi, avevano approvato una ripartizione dei costi e dei rischi della ricerca e sviluppo dei beni immateriali, principalmente software, che permetteva a Apple Inc. di rimanere proprietaria di qualsiasi proprietà intellettuale anche se i costi erano ripartiti tra le due parti dell’accordo. In cambio le due Apple europee ottenevano una licenza senza royalties, quindi senza pagamenti dovuti, per vendere prodotti Apple in tutto il mondo eccetto l’America.
L’annullamento della decisione e la condanna definitiva di Apple
Secondo la Commissione europea, questo avrebbe determinato una riduzione della base imponibile che le due Apple irlandesi avrebbero dovuto dichiarare allo stato irlandese. Questa tecnica, portata a termine con l’approvazione, tramite i ruling fiscali, del governo di Dublino, avrebbe costituito di fatto un aiuto di Stato per Apple Inc. e in generale per tutto il gruppo, che non avrebbe dovuto pagare 24 anni di tasse sul reddito delle aziende.
L’Irlanda è però uno degli Stati con la Corporate income tax più bassa in Ue. Durante il periodo contestato dalla Commissione europea questa è passata dal 24% al 20% nel 2000, al 16% nel 2002 e al 12,5% nel 2003. Di conseguenza in 24 anni Apple avrebbe accumulato “soltanto” 13 miliardi di tasse da pagare nel Paese, anche correggendo i ruling ritenuti incompatibili con le regole di mercato.
Questa la decisione della Commissione europea nel 2016, che però viene ribaltata da un ricorso presentato al Tribunale dell’Unione europea. Si tratta del primo grado della giustizia comunitaria, attraverso cui passano i ricorsi di quasi ogni entità, dalle persone fisiche alle aziende, fino agli Stati, contro le decisioni delle istituzioni Ue.
Il Tribunale ritiene che la Commissione non abbia sufficienti prove per affermare che l’atteggiamento dell’Irlanda fosse un aiuto di Stato con una sentenza nel 2020. La Corte ha però, con la sua ultima sentenza, affermato che nel precedente grado di giudizio i giudici avevano commesso un errore, condannando definitivamente Apple a pagare le tasse dovute, o meglio l’Irlanda a riscuoterle.
La risposta di Apple alla sentenza della Corte di giustizia Ue
Apple ha risposto alla sentenza affermando che “Questo caso non ha mai riguardato la quantità di tasse che paghiamo, ma il governo a cui siamo tenuti a pagarle. Paghiamo sempre tutte le tasse che dobbiamo ovunque operiamo e non c’è mai stato un accordo speciale. Apple è orgogliosa di essere un motore di crescita e innovazione in Europa e nel mondo e di essere sempre uno dei maggiori contribuenti al mondo”.
“La Commissione europea sta cercando di cambiare retroattivamente le regole, ignorando che, come previsto dal diritto tributario internazionale, il nostro reddito era già soggetto a imposte negli Stati Uniti. Siamo delusi dalla decisione odierna, poiché in precedenza la Corte di Giustizia aveva riesaminato i fatti e annullato categoricamente il caso”, ha poi concluso la società.
Google e la multa da 2,4 miliardi di euro
La Corte di giustizia europea ha anche espresso una decisione sul ricorso di Google contro una sentenza del Tribunale che la condannava a una multa da 2,4 miliardi di euro. Nel 2017 la Commissione europea inflisse questa ammenda all’azienda e al suo socio unico Alphabet per abuso di posizione dominante. In particolare la decisione riguardava il comparatore di prodotti di Google, che sarebbe stato avvantaggiato all’interno delle ricerche su internet in confronto ai propri concorrenti.
Secondo quanto sostenuto dalla Commissione, Google avrebbe intenzionalmente mostrato il proprio comparatore di prodotti con una maggiore evidenza rispetto agli altri, relegati alla normale grafica con link blu dei risultati di ricerca. Per questa ragione avrebbe quindi abusato della posizione dominante del proprio motore di ricerca, il più utilizzato al mondo in assoluto, per favorire un altro prodotto.
Google fece ricorso al Tribunale dell’Unione europea che però in questo caso respinse le richieste dell’azienda. Decisione confermata dalla Corte di Giustizia, che ha quindi condannato l’azienda a pagare 2.424.495.000 euro. Alphabet è stata trovata responsabile in solido e quindi sarà anch’essa coinvolta nel risarcimento, ma dovrà pagare una cifra di diversi ordini di grandezza inferiore a quella della sua controllata: poco più di 500mila euro.
“Siamo delusi dalla decisione della Corte. Questa sentenza si riferisce a un insieme di fatti molto specifico. Abbiamo apportato modifiche nel 2017 per conformarci alla decisione della Commissione Europea e il nostro approccio ha funzionato con successo per oltre sette anni, generando miliardi di clic per oltre 800 servizi di comparazione prezzi”, ha commentato Google.