Per la prima volta in due anni la Cina sperimenta la deflazione. I prezzi dei beni e dei servizi, cioè, nel Paese del Dragone diminuiscono in maniera generalizzata e questo di fatto si traduce in un aumento del potere d’acquisto.
Cina in deflazione
Gli ultimi dati economici per la Cina, diffusi dall’Ufficio nazionale di statistica, sono tutti in negativo:
- import: -12,4%;
- export: -14,5%;
- indice dei prezzi al consumo: -0,3%;
- indice dei prezzi alla produzione: -4,4%.
La locomotiva cinese rallenta per una serie di fattori: calo dei prezzi dovuto a una flessione della domanda interna (sia dei consumatori che delle imprese), crollo del mercato immobiliare, calo nelle esportazioni e minore spesa dei consumatori. C’è da considerare poi la contrazione del credito nei confronti di famiglie e imprese.
Se dunque le economie di Stati Uniti ed Europa combattono contro l’inflazione, soprattutto andando a ritoccare i tassi di interesse, la Cina ha il problema opposto: la deflazione.
In Occidente si registra un aumento generalizzato dei prezzi dei beni e dei servizi con una conseguente flessione del potere d’acquisto per le famiglie e le imprese. Nella più robusta economia d’Oriente si verifica l’opposto.
Deflazione: significato e rischi
Le banche centrali hanno definito un tasso di inflazione ottimale pari al 2%. Traduzione: perché l’economia sia solida occorre che i prezzi aumentino costantemente del 2% l’anno. Tale soglia è indicata come indice di stabilità nel medio termine e di economica in crescita.
La deflazione invece può avere effetti deleteri, se prolungata nel tempo: la deflazione può rallentare la spesa perché può convincere i consumatori a rimandare gli acquisti nella speranza di un’ulteriore riduzione dei prezzi; il calo della domanda interna spinge le aziende a rallentare la produzione e questo si traduce immediatamente in un calo delle assunzioni o in licenziamenti. Con le imprese che limitano spese e investimenti e un calo generalizzato dell’economia può divenire più difficile il rimborso di mutui e prestiti. Le minori entrate per lo Stato si traducono in tagli generalizzati che di regola colpiscono con maggiore durezza tre settori: welfare in sostegno ai ceti più deboli, minore spesa per le infrastrutture e tagli alla sanità pubblica.
Intanto in Cina aumentano le proteste di chi è escluso dal benessere.
Deflazione in Cina e possibili effetti sull’Occidente
Occorre adesso vedere quali effetti la deflazione cinese avrà sui mercati occidentali, dal momento che l’economia del Dragone è fittamente intrecciata con quella del resto del mondo per la fornitura di materie prime e per la trasformazione dei prodotti. Già a fine maggio uno degli effetti registrati è stato il crollo del prezzo del rame che nei primi cinque mesi dell’anno ha perso il 17%. Il petrolio, poi, a maggio e rispetto all’ultimo anno solare ha perso il 50%. La conseguenza è stata il crollo dei prezzi alla produzione nei Paesi occidentali.
Gli analisti occidentali temono soprattutto che la difficile situazione interna possa portare Xi Jinping a dare corpo alle mire cinesi su Taiwan scatenando una guerra. La risposta militare imprimerebbe un boost all’industria bellica e distrarrebbe l’opinione pubblica. Oltre a rappresentare una catastrofe umanitaria e un fallimento della diplomazia, una eventuale guerra Cina-Taiwan avrebbe anche gravissime ripercussioni economiche a livello globale.
Questo è lo scenario apocalittico che si verificherebbe in caso Xi Jinping non dovesse mettere in campo una risposta incisiva. Ma è difficile che l’aggressivo capitalismo di Stato cinese non predisponga misure per invertire la rotta.