L’Ucraina ha bloccato il transito di petrolio dalla Russia agli Stati Ue. Scatenando la reazione dei Paesi che più di altri dipendono dal greggio dell’Orso e che, di conseguenza, hanno mantenuto stretti legami col Cremlino. In particolare l’Ungheria e la Slovacchia.
L’interruzione riguarda le spedizioni di Lukoil, società petrolifera privata russa che rappresenta, tra le altre cose, uno dei principali operatori anche in Italia, nel mercato siciliano dei carburanti. Tali forniture forniscono una parte significativa delle importazioni di petrolio ungheresi e slovacche, che denunciano una minaccia alla stabilità interna. E non hanno tutti i torti.
Kiev decide di agitare l’arma dell’energia
L’Ucraina ha capito da tempo che il settore dell’energia è uno dei bersagli privilegiati per indebolire la Russia impegnata in guerra. Dopo aver preso di mira raffinerie e depositi di petrolio anche a mille chilometri dentro il territorio russo, Kiev agisce anche sull’altro versante dell’export di Mosca: i Paesi europei. Allo scopo di aumentare il proprio peso negoziale per un ingresso nell’Ue, il governo ucraino si presta a far danno ai due Stati in scontro aperto con Bruxelles: Ungheria e Slovacchia, per l’appunto. La prima preoccupa per i suoi intimi legami col regime di Vladimir Putin: dipende dal petrolio russo per il 70% del suo fabbisogno e non ha mai sposato l’invito statunitense a diversificare le fonti, e ha da poco inaugurato il semestre di presidenza del Consiglio dell’Ue. La seconda, col ritorno al potere del premier Robert Fico, ha sospeso le sanzioni contro la Russia e gli aiuti militari al Paese invaso. L’asse Ue, in questo senso, si sta spostando sempre più verso Est, centrandosi per volontà statunitense su Repubbliche Baltiche e Polonia. Sullo sfondo di una Nato che si appresta a modificare la propria missione.
Il blocco delle importazioni di petrolio di Lukoil è la conseguenza dell’inserimento della società nell’elenco delle sanzioni imposte dall’Ucraina. Nonostante sia impegnata in un conflitto contro Mosca, Kiev consente ancora il transito di gas russo attraverso il suo territorio, anche se ne minaccia un analogo stop. Minacciando anche la posizione dell’Austria, che importa dalla Federazione addirittura il 95% del metano. E che, assieme alle altre due nazioni, non fornisce supporto militare al governo di Volodymyr Zelensky. Sulla carta il flusso di gas verso l’Ungheria non rappresenterebbe invece una criticità, in quanto trasportato tramite il gasdotto TurkStream nel Mar Nero. La compagnia energetica ungherese Mol pensa poi alla redistribuzione delle risorse energetiche, attraverso le raffinerie situate anche Slovacchia.
Le posizione di Ungheria e Slovacchia
Ungheria e Slovacchia hanno affermato il 18 luglio di aver smesso di ricevere petrolio da Lukoil attraverso l’oleodotto d’epoca sovietica Druzhba, ultima grande infrastruttura di rifornimento di greggio verso l’Europa utilizzata anche da Rosneft e Tatneft. Il ministero degli Esteri di Budapest si è affrettato nel sottolineare che la mossa di Kiev “viola la clausola dell’accordo di associazione tra Ucraina e Unione europea, secondo cui il Paese non può interrompere la fornitura di energia ai Paesi comunitari attraverso il suo territorio”. Il presidente slovacco Peter Pellegrini, da parte sua, si è apertamente schierato come alfiere di Viktor Orban, ancora più inviso a Bruxelles dopo la visita a Mosca e Pechino (seguite a una missione a Kiev). “Finché l’Ungheria presiederà il Consiglio dell’Ue, la Slovacchia non si unirà a nessun tentativo di boicottaggio a danno di un Paese indipendente solo perché le azioni del suo governo non piacciono a nessuno”, ha dichiarato Pellegrini.
Ungheria e Slovacchia hanno avviato consultazioni con la Commissione europea, sostenendo che, se non ci sarà alcun risultato, si passerà a un processo legale. L’Ue, da parte sua, ha il potere anche di non rispettare gli obblighi previsti dall’accordo con l’Ucraina in settori come quello dell’esenzione dai dazi doganali. Dopo la rielezione a capo dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen ha rilanciato la propria crociata per rafforzare il peso geopolitico di un soggetto che geopolitico non è: l’Unione europea. L’obiettivo è influire sulle scelte di politica estera di Stati “minori” e dissidenti, come vengono considerate Ungheria e Slovacchia. All’orizzonte si staglia inoltre una “scadenza di Damocle”: col 2024 finiranno anche i flussi di gas russo verso l’Ue attraverso i gasdotti ucraini. Dopo l’invasione su larga scala dell’Ucraina, Bruxelles ha vietato le importazioni di petrolio russo via mare, consentendo però agli Stati membri senza sbocco sul mare come Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca di continuare ad acquistare forniture tramite l’oleodotto Druzhba, finché non avessero trovato una soluzione alternativa.
Nel frattempo l’Ungheria ha già iniziato a pagare le conseguenze della “guerra energetica” inaugurata dall’Ucraina, cadendo in una preoccupante crisi. Il Paese si avvicina all’utilizzo delle riserve strategiche di petrolio, le quali basterebbero per circa 90 giorni. Intanto i prezzi di gas ed elettricità sono aumentati di un terzo da inizio anno a luglio, superando i 90 euro al megawattora e alimentando il già pressante malcontento popolare. Orban avrebbe però già pronto il rimpiazzo, sempre rigorosamente russo, che potrebbe arrivare tramite due percorsi: direttamente da Rosneft oppure incrementando le forniture dalla Croazia tramite l’oleodotto Adria.
I perché dietro la mossa dell’Ucraina
Dal punto di vista ufficiale, dunque propagandistico, l’Ucraina sostiene di aver bloccato le forniture di petrolio per soffocare una fonte economica essenziale per la Russia. Portando all’attenzione dei Paesi europei stime secondo cui, nel 2023, Mosca ha guadagnato 180 miliardi di dollari dalle sue esportazioni di greggio. Secondo il Center for Research on Energy and Clean Air, solo nell’aprile 2024 l’Ungheria ha speso quasi 250 milioni di euro in idrocarburi russi. La mossa di Kiev tradisce però altre motivazioni sotterranee. Oltre a voler danneggiare la capacità economica e industriale del nemico, un altro obiettivo è probabilmente aumentare il pressing sull’Ungheria per il veto posto agli aiuti militari dell’Ue e per il rifiuto di applicare sanzioni a Mosca. Budapest sta inoltre di fatto ostacolando il percorso di ingresso dell’Ucraina nell’Unione, già di per sé molto complicato.
Le fibrillazioni ucraine rappresentano anche un monito al governo centrale dell’Ue, affinché acceleri il processo di adesione del Paese. Secondo Inna Sovsun, parlamentare ucraina del partito di opposizione filo-europeo Holos e membro della commissione per l’energia del Parlamento, Kiev è stata costretta a prendere la situazione di petto. “Aspettiamo da oltre due anni che l’Ue e il G7 introducano delle sanzioni reali contro il petrolio russo”, ha affermato sottolineando che l’oleodotto continua a trasportare 200mila barili di greggio al giorno.