Proroga o rinnovo di un contratto di lavoro a termine: differenze

Quando un contratto a tempo determinato giunge al termine ci sono due strade per proseguire la collaborazione, la proroga o il rinnovo

Pubblicato: 26 Agosto 2019 15:36Aggiornato: 14 maggio 2024 17:33

Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Secondo la legge italiana, per forma comune di rapporto di lavoro si intende una tipologia subordinata e a tempo indeterminato. Il panorama contrattuale in termini di impiego risulta però essere alquanto vasto e flessibile, con altre tipologie che vengono ammesse – a patto però di rispettare determinati limiti.

Un esempio particolarmente comune è quello del contratto a tempo determinato, che presenta una palese differenziazione cronologica rispetto all’indeterminato.

In questo caso infatti il rapporto di lavoro tra dipendente e azienda presenta una precisa data di scadenza, raggiunta la quale l’accordo lavorativo potrà dirsi concluso, senza dover licenziare o presentare una lettera di dimissioni.

Un dipendente con contratto a tempo determinato, in grado di svolgere al meglio le proprie mansioni, potrebbe però spingere il datore di lavoro ad avvalersi nuovamente delle sue prestazioni a termine. In questo caso le vie da seguire risultano essere due: proroga o rinnovo.

Vediamo insieme come distinguerle e come non confonderle.

Proroga del contratto a termine, che cos’è

Quando si fa riferimento alla proroga di un contratto (applicabile anche al part time), si intende la volontà del datore di lavoro e del dipendente a tempo determinato di modificare la data di scadenza dell’accordo. In questo modo la separazione tra le parti subisce uno slittamento temporale rispetto agli accordi iniziali.

In altre parole la proroga consiste nell’accordo di prosecuzione del contratto, senza interruzioni del rapporto. La collaborazione può dunque proseguire, senza necessità di interromperla, e il contratto non viene stipulato ex novo, bensì prosegue con la modifica del termine.

Per fare un esempio pratico, se hai sottoscritto un contratto a tempo determinato che inizia il primo febbraio di un anno e termina il 30 luglio dello stesso, di comune accordo con il tuo datore di lavoro potresti scegliere di rinviare la scadenza di tre mesi, fino al 30 ottobre. Questo sarebbe un caso di proroga del contratto.

In assenza di limitazioni, uno scenario del genere comporterebbe una vita lavorativa del tutto priva di certezze e garanzie per il dipendente che, pur di fatto confermato, sarebbe destinato a passare da una proroga all’altra senza poter contare sulle tutele tipiche del tempo indeterminato.

Ma proprio per evitare abusi, l’azienda deve fronteggiare delle restrizioni rispettando la normativa vigente, che impedisce l’infinito posticipare della data di scadenza.

Limiti e restrizioni alla proroga contratto a tempo determinato

Un contratto a tempo determinato ha infatti una durata massima fissata dalla legge italiana, pari a 12 mesi, il che risulta comprensivo di eventuali proroghe.

Il contratto a tempo determinato può essere sottoscritto, e sottoposto a rinnovo, fino a 12 mesi senza causali, e quindi in maniera assolutamente libera, ma può anche avere una durata maggiore – e comunque non maggiore dei 2 anni – soltanto in alcuni casi specifici come ad es. in sostituzione di altri lavoratori.

Qualora non ricorrano le causali previste dalla legge, l’accordo tra le parti passerà automaticamente a tempo indeterminato, una volta superato il limite dei 12 mesi. È bene rimarcare però come, anche in presenza delle indicate causali, il rapporto di lavoro non potrà in alcun caso superare il limite dei 24 mesi complessivi.

Inoltre, in virtù del Decreto Dignità – il decreto n. 87 del 2018 – il numero di proroghe possibili e per cui è sempre richiesto il sì del lavoratore, è calato da 5 a 4, sempre entro una durata massima totale pari a 2 anni. Qualora il numero delle proroghe sia maggiore, il contratto si trasforma in modo automatico in contratto a tempo indeterminato dal giorno di decorrenza della quinta proroga.

Rinnovo del contratto a termine, che cos’è

Se la proroga consiste nel prolungamento di un accordo lavorativo, optare per un rinnovo vuol dire attivare un nuovo contratto a tempo determinato, in riferimento a un dipendente che in precedenza è già stato inserito nel gruppo aziendale a termine.

Nel caso della proroga, le parti agiscono invece sullo stesso originario contratto.

In ipotesi di rinnovo, il nuovo contratto è sottoscritto in data posteriore a quella di scadenza del precedente, ma con quest’ultimo ha in comune inquadramento e mansioni affidate al lavoratore.

Quali sono i limiti del rinnovo contratto a tempo determinato

In questo caso è necessario che intercorra uno stacco temporale tra i due rapporti attivati. Anche in questo è la legge a indicare i parametri (qualora non vengano rispettati i limiti imposti, il secondo rapporto si trasforma a tempo indeterminato):

Così come per le proroghe, anche in caso di rinnovi è necessario rispettare un limite complessivo pari a 24 mesi.

Per legge anche in caso di rinnovi, il numero massimo nei 24 mesi è pari a 4.

Nonostante alcune similitudini, tra le due tipologie esiste però una chiara differenza. Al di là del superamento o meno dei 12 mesi, ogni rinnovo dev’essere giustificato da una causale richiesta dalla legge, come le esigenze connesse a incrementi temporanei e non programmabili dell’attività lavorativa.

Conclusioni

In questo articolo abbiamo visto, nel dettaglio, come si differenziano proroga e rinnovo contratto a tempo determinato: nel primo caso le parti intervengono sullo stesso contratto originario, modificando la data di scadenza, mentre nel secondo danno vita ad un contratto di lavoro subordinato ex novo.

In ambo i casi, comunque, requisito essenziale per la validità della data di scadenza dei contratti è che essi siano redatti in forma scritta e sottoscritti da azienda e lavoratore, come fissato dall’art. 19, comma 4, del Decreto Legislativo n. 81 del 2015.

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