A Prato c’è TIPO, il più grande e antico distretto tessile ecosostenibile: ogni anno 22mila tonnellate di scarti raccolti

Prato è il più grande distretto tessile d’Europa, sinonimo di ecosostenibilità, con un background storico, ma anche di innovazione e ricerca. Come funziona TIPO

Pubblicato: 12 Luglio 2024 19:17

Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

Lotta al fast fashion e promozione della moda green è anche valorizzazione della tradizione, recupero di pratiche a volte antichissime che vengono riadattate, tecnologizzate e rese sostenibili grazie all’innovazione. A Prato, ad esempio, c’è TIPO, un’esperienza unica, tra storia e contemporaneità, nel cuore delle manifatture pratesi, da sempre punto di riferimento internazionale per la qualità dei tessuti realizzati, con lavorazioni di alto livello pensate per le grandi maison della moda. Qualità e innovazione che, unite alla tradizione del recupero delle materie prime, fanno della città toscana un modello di economia circolare all’insegna della filosofia green.

TIPO – Turismo Industriale Prato è un progetto nato nel 2021 dalla volontà del Comune di Prato con la collaborazione di altre importanti realtà del territorio, grazie a cui è possibile per chiunque, esperti, addetti ai mestieri, appassionati e semplici curiosi, scoprire il distretto industriale e green di Prato. Un modo per toccare con mano l’economia circolare tessile, insomma. Un vero e proprio viaggio tra i luoghi di produzione in attività, fabbriche storiche, dismesse o riconvertite a nuovi usi e funzioni. Un percorso avvolgente nel cuore delle manifatture della città e della sua provincia, dove la sinergia tra tradizione, innovazione e sostenibilità prende una forma concreta.

Sono le fabbriche infatti a raccontare la città e il distretto del Museo del Tessuto, del Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci e del Mumat–Museo delle macchine tessili, come modello di imprenditorialità, cura dell’ambiente e progettazione culturale. Un “dentro e fuori” dalle archeologie industriali agli stabilimenti in attività, per toccare con mano i tessuti e la loro storia.

Prato, ieri e oggi, è il più grande distretto tessile d’Europa, sinonimo di ecosostenibilità, con un background storico, ma anche di innovazione e ricerca. I più famosi brand e nomi della moda partono da qui per sviluppare le loro collezioni green. “Oggi la sensibilità ambientale è diffusa e l’ecosostenibilità è un valore aggiunto per tanti brand, stilisti e case di moda che a Prato trovano aziende tessili eco-friendly capaci di offrire prodotti che coniugano stile e attenzione alla limitazione degli impatti ambientali” spiega a QuiFinanza Roberta Pecci, imprenditrice, titolare di Pecci Filati S.p.A. e impegnata nei gruppi di lavoro su sostenibilità e riciclo all’interno della Sezione Moda di Confindustria Toscana Nord.

Pecci, nel campo del tessile la città di Prato si pone come maestra dell’economia circolare, del riuso e del riciclo. Perché proprio qui si è creato questo modello virtuoso?

È dal 19° secolo che Prato lavora stabilmente con i materiali di scarto. Quando ancora non si parlava di economia circolare, eco fashion, sostenibilità ambientale, gli “stracci” venivano raccolti dai cenciaioli di Prato per riutilizzarli e produrre nuovi filati o tessuti. In maniera del tutto artigianale operavano già in un’ottica green. Grazie a questo know how, che negli anni ha saputo rinnovarsi e affinarsi, il distretto pratese è diventato sicuramente un modello virtuoso, punto di riferimento per l’intero sistema. A Prato ogni anno vengono raccolte da ogni parte del mondo circa 22mila tonnellate di stracci, scarti di lavorazione, cascami tessili, maglieria e tessuti riciclati.

Finalmente possiamo di un grande, e antico, distretto tessile ecosostenibile…

Sì, il distretto tessile pratese lo è, capace di declinare l’ecosostenibilità in modi diversi. Parlando di Prato vengono in mente a molti i prodotti realizzati con fibre riciclate, con cui si realizzano semilavorati e poi capi finiti di eccellenza. In realtà però ci sono molte altre attenzioni, che investono anche i prodotti realizzati con fibre vergini. Cito fra gli altri la tutela della risorsa acqua, l’ottimizzazione dei consumi energetici, l’utilizzo di fibre animali e vegetali provenienti da fonti certificate, il ricorso a sostanze chimiche con limiti più restrittivi di quelli di legge. E non va dimenticato il fattore umano: sostenibilità è anche rispetto per i lavoratori, per la loro sicurezza e i loro diritti.

Diamo qualche numero…

Negli impianti pratesi di filatura cardata si stima che siano processati ogni anno 35mila/40mila tonnellate di filati cardati, che danno poi vita a circa 100 milioni di metri di tessuto. Si stima che circa l’80% in peso di questi tessuti sia oggi ottenuto da fibre rigenerate a partire da materiali post-consumo e pre-consumo.

Come vengono lavorati questi scarti?

La maggior parte con la tecnica della cardatura, processo necessario per ottenere il nuovo filato “senza le pecore”. I cenciaioli ancora oggi, come un tempo, effettuano a mano la cernita degli stracci. Dopodiché, con macchinari appositi, si effettua la stracciatura e la sfilacciatura per ottenere una sorta di ovatta simile alla lana appena tosata dalle pecore, la lana rigenerata, che prima diventa filato cardato riciclato e quindi nuovo tessuto o maglieria di qualità.

Quanto risparmiate?

La nostra produzione tessile consente un risparmio di circa 60 milioni di kilowatt di energia, 500mila metri cubi di acqua, 650 tonnellate di ausiliari chimici, 300 tonnellate di coloranti. In più, si evita l’immissione in atmosfera di 18mila tonnellate di anidride carbonica e 1.000 tonnellate di anidride solforosa ogni anno (dati riferiti al 2021 e derivati da uno studio di Process Factory S.R.L., realizzato per il Life Cycle Assestment, mettendo a confronto l’equivalente di fibra vergine con il prodotto green riciclato, ndr).

E gli stracci che non sono rigenerabili?

Quelli non vengono distrutti, ma trasformati da alcune aziende specializzate in materiali a base tessile per vari usi. Per esempio, per pannelli per l’arredamento, pannelli isolanti per l’edilizia, tappetini per rivestimento elettrodomestici, asfalti per piste ciclabili.

La centralità del riciclo è testimoniata anche dai dati relativi alla certificazione GRS (Global Recycle Standard) di Textile Exchange, il più importante standard internazionale per la produzione sostenibile di indumenti e prodotti tessili realizzati con materiali da riciclo…

Sì, oggi sono oltre 600 imprese pratesi hanno ottenuto la certificazione o sono in fase di audit. Inoltre, da mezzo secolo, a partire dal 1965, le aziende tessili hanno sviluppato un sistema centralizzato di depurazione che è formato da pochi grandi impianti collegati con gli utenti domestici e industriali da un reticolo fognario e da un sistema di impianti per la purificazione e il riutilizzo dell’acqua, che può così essere reimmessa nel ciclo industriale. Attualmente vengono prodotti circa 3-3,5 milioni di metri cubi utilizzati per fini industriali con un peso che si avvicina al del 40% sul totale dei consumi. L’acquedotto industriale di Prato rappresenta un’infrastruttura particolarmente importante per il distretto, ma anche per l’intera comunità: a livello europeo non ci sono esempi analoghi, soprattutto per l’estensione e per l’utilizzo di acqua di riuso.

Molti vostri tessuti e filati, soprattutto di lana, come abbiamo visto, hanno una certificazione di prodotto che garantisce qualità e il reale rispetto e tutela dell’ambiente in termini di consumo di acqua, coloranti chimici, energia, come abbiamo visto. Ma a che punto siamo con la normativa e la direttiva europea?

A iniziative volontarie e privatistiche quali marchi e certificazioni di sostenibilità dei prodotti si stanno affiancando veri e propri obblighi normativi. Il 30 marzo 2022 la Commissione Europea ha presentato la propria Strategia per un’industria del tessile sostenibile e circolare fissando obiettivi davvero molto ambiziosi da raggiungere già nel 2030.

Che ha definito alcune “azioni chiave” per arrivare al risultato…

Sì, sono state ad esempio introdotte specifiche vincolanti di progettazione ecocompatibile, il cosiddetto Ecodesign, sono state lanciate azioni di disincentivazione della distruzione dei tessili invenduti o resi. Si è deciso di ridurre l’inquinamento da microplastiche, di introdurre obblighi di informazione e un passaporto digitale dei prodotti, e anche di contrastare fenomeni di greenwashing, introdurre la responsabilità estesa del produttore e la promozione del riutilizzo e del riciclaggio dei rifiuti tessili.

Tutti questi capitoli si stanno traducendo in nuove Direttive e Regolamenti europei?

Sì, ciascuno con ricadute significative sui prodotti tessili e sui sistemi produttivi. Stiamo vivendo una sorta di rivoluzione. Come detto, Prato è protagonista nella sostenibilità del tessile e stiamo anche cercando di dare un contributo alla definizione dei nuovi schemi normativi. Ci sono comunque anche molte insidie per un distretto fatto di piccole e medie imprese ultra specializzate in singole fasi del ciclo produttivo, ovvero un modello produttivo che non è il più rappresentato in sede europea.

Ad esempio?

Norme come l’End of Waste tessile – la definizione dei trattamenti che il rifiuto tessile deve subire per poter tornare a essere materia prima utilizzabile industrialmente – o la Responsabilità Estesa del Produttore (EPR), rischiano di essere implementate senza tenere in dovuto conto né la tradizionale produzione pratese né gli interessi delle imprese manifatturiere che compongono la filiera tessile. Questo potrebbe portare gravi danni non solo a Prato ma all’intero sistema tessile nazionale. Siamo comunque molto impegnati a far sì che le nuove norme rappresentino un’opportunità. Speriamo in un impegno di tutti gli attori coinvolti.

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