Le guerre non sono tutte uguali: alcune avvantaggiano gli attaccanti, altre i difensori. Se tra le prime possiamo annoverare (forse) il conflitto tra Israele e Hamas, tra le seconde c’è senza dubbio la guerra in Ucraina. Ritirandosi da Kherson e trincerandosi nel sud-est del Paese negli scorsi mesi, i russi hanno messo in campo scudi difensivi che l’ormai stanco esercito di Kiev non riesce e non riuscirà a sfondare.
A dirlo non è la propaganda del Cremlino o qualche analista filo-russo, ma lo stesso generale Valery Zaluzhny, comandante in capo delle Forze Armate ucraine, parlando di “una guerra di posizione in bilico sull’orlo di una situazione di stallo, che si inclina lentamente a favore della Russia”. Una difficoltà molto grande, che potrebbe rivelarsi decisiva per le sorti del conflitto se unita al sempre maggiore scetticismo occidentale nella fornitura di aiuti militari a Kiev e alla nuova mossa di Vladimir Putin, che rafforza l’esercito e aumenta il numero di soldati.
Guerra in Ucraina, a che punto siamo
Secondo molti analisti, la controffensiva ucraina è in estrema difficoltà, per non dire che si è arrestata. La guerra di logoramento avvantaggia i russi, grande potenza industriale e demografica che riesce a rifornire il fronte di armi e uomini molto meglio e molto più velocemente rispetto a Kiev, che invece ha perso i suoi migliori reparti e dipende totalmente dagli aiuti statunitensi ed europei. Secondo altri, invece, la situazione non è così grave. Tutti però concordano su una cosa: la guerra è entrata in una nuova fase, la “terza” secondo Zelensky stesso.
Nella prima fase, la Russia ha fallito la guerra lampo ed è andata avanti nonostante perdite pesantissime e nonostante Kiev abbia messo in campo una resistenza sorprendente, respingendo praticamente ogni attacco. Per riuscire in quest’impresa, anche grazie al decisivo contributo dell’intelligence occidentale, l’Ucraina ha speso quasi tutto il suo arsenale. Si sono resi necessari gli armamenti moderni occidentali, oltre a equipaggiamento e addestramento delle truppe. Kiev ha così aumentato la sua capacità di fuoco nella primavera 2022, consentendo agli ucraini addirittura di contrattaccare i russi a nord. In quel momento, Mosca non è riuscita a rifornire di uomini il lunghissimo fronte di guerra e si è vista costretta ad abbandonare Kherson e Kharkiv, tornate così in mani ucraine. Una volta attraversato il fiume Dnper, però, le forze russe si sono riorganizzate rapidamente anche per via della mobilitazione parziale dei riservisti ordinata da Putin.
La seconda fase del conflitto si è aperta proprio all’insegna della ritrovata forza della Russia. L’Ucraina resiste strenuamente a una pioggia di bombardamenti sulle sue infrastrutture energetiche e porta in prima linea le nuove armi fornite dai partner occidentali. Putin sa che l’inverno è micidiale in guerra, stravolge i vertici militari e ordina alle truppe di colpire duro proprio quando gelo e fango impedirebbero ogni operazione. Ne nasce una terribile guerra di logoramento, combattuta città per città, edificio per edificio, foresta per foresta (con cecchini sugli alberi e dietro finestre, come avevamo spiegato qui). I combattenti Wagner (ecco che fine hanno fatto) e intere divisioni di soldati impreparati, chiamati come “carne da cannone”, si consumano contro la resistenza ucraina. Dopo mesi di violenti scontri, Mosca riesce a prendere una Bakhmut ridotta a scheletri di edifici e terra bruciata, ma che funge da bottone a nord della linea del fronte cristallizata ancora oggi lungo la direttrice che verso sud-ovest passa da Avdiivka-Robotyne-testa di ponte ucraina sul fiume Dnepr.
La nuova fase del conflitto tra Mosca e Kiev
La terza fase del conflitto è quella attuale, risultante di diversi fattori. Usa e Ue hanno inviato all’Ucraina appena un terzo dei nuovi armamenti richiesti e l’addestramento occidentale delle forze ucraine non si è dimostrato utile per affrontare la realtà del campo di battaglia, dominato dai droni. L’intero sud-est del Paese è stato disseminato di centinaia di migliaia di mine, trascinate dall’acqua ed esplose in gran numero dove non erano state posizionate. Ebbene, l’Ucraina non si è dotata (o non è stata dotata) di adeguati sistemi per lo sminamento. Così come non ha messo in campo mezzi adeguati per la cosiddetta guerra elettronica, ambito nella quale aveva conservato un vantaggio sugli avversari, e per la guerra aerea. Dopo aver chiesto i modernissimi caccia F-16 per mesi e mesi, Kiev non è ancora in grado di rivaleggiare con Mosca nei cieli.
Come riporta Foreign Policy la sopraggiunta “freddezza” occidentale, impegnata anche sul fronte mediorientale, ha dunque fatto sì che la Russia trovasse tempo e modo di rafforzare la sua linea del fronte attraverso un’ampia rete di fortificazioni, trincee e campi minati. In particolare, gli Stati Uniti hanno frenato la fornitura di sistemi missilistici tattici avanzati fino a tempi molto recenti, mentre la Germania continua a essere riluttante nel dotare l’Ucraina di missili Taurus. Ribadendo la narrazione di aver sventato la controffensiva nemica, Mosca ha lanciato attacchi in diversi punti del fronte, anche vicino alla città di Avdiivka e alla città di Vuhledar. Nonostante l’enorme sacrificio di vite e di risorse militari – ottobre è stato il mese più sanguinoso per la Russia dal febbraio 2022 – gli invasori hanno conseguito piccole vittorie territoriali. Non di grande valore tattico, tantomeno strategico, ma di certo un’occasione per sbandierare un successo militare in patria. Molti osservatori hanno infatti ora l’impressione che l’iniziativa bellica sia di nuovo nelle mani di Mosca. Oltre alla fiacca controffensiva ucraina, il timore che la situazione stia girando a favore della Russia sta aggravando la stanchezza bellica tra le nazioni occidentali e spingendo sempre più convintamente per nuovi negoziati.
Attualmente si combatte per infrastrutture, ponti e ferrovie nell’oblast di Kherson, viatico strategico per la Crimea. La penisola sul Mar Nero sarà il vero ago della bilancia del conflitto: gli ucraini la vogliono riconquistare, i russi la vogliono mantenere. Una questione che fa scivolare in secondo piano il controllo del Donbass, perché nel caso in cui la Crimea tornasse in mano ucraina la Russia dovrà all’improvviso preoccuparsi della sicurezza della costa del Mar Nero e forse anche della stabilità della regione del Caucaso. Mettendo Putin con le spalle al muro. Per questo motivo Kiev, manovrata da Washington, è motivata a spendere fino all’ultimo uomo per controllare entrambe le sponde del fiume Dnepr. La vera grande battaglia di questa terza fase del conflitto si svolge lì e nel prossimo mese la capacità ucraina di espandere le sue teste di ponte sarà messa alla prova.
L’inverno cambierà, come sempre, l’andamento del conflitto. I fronti vedranno alternarsi periodi di maggiore e minore intensità di combattimento per via delle condizioni meteorologiche. Entrambi gli schieramenti utilizzeranno periodi di “visibilità limitata” per rifornire, rinforzare e ruotare le forze, mentre il rischio di osservazione e attacco dei droni si riduce. Il fronte più caldo resterà Avdiivka, la “nuova Bakhmut” che la Russia vuole sfondare in prossimità del grande parco industriale che fissa il fianco settentrionale della difesa ucraina.
La Russia rafforza l’esercito e arruola nuovi soldati
A quasi due anni dall’inizio dell’invasione, Putin ha firmato un decreto per aumentare del 15% il numero dei soldati dell’esercito russo. Una decisione presa, urla il Cremlino, a causa delle “crescenti minacce” legate “all’operazione militare speciale e “alla continua espansione della Nato“. Una misura che riguarderà 170mila nuovi effettivi ma che, si è affrettato a precisare il ministero della Difesa, non si tradurrà in una mobilitazione generale (che invece potrebbe arrivare presto in Ucraina, come abbiamo svelato qui). “L’aumento del numero del personale militare delle Forze Armate della Federazione Russa verrà attuato gradualmente impiegando i cittadini che esprimono il desiderio di prestare servizio militare sotto contratto“, hanno spiegato da Mosca. Accusando al contempo l’Alleanza Atlantica di “attività aggressive” e di “dispiegare ulteriori armi di difesa aerea e d’attacco” vicino ai confini russi, compreso un potenziamento delle capacità nucleari in Europa e in Turchia.
Il documento firmato dal presidente russo ha fissato l’organico delle forze armate a 2.209.130 persone complessive, di cui un milione e 320mila militari. Nel precedente decreto, superato da questo nuovo documento, si parlava di 2.039.758 persone, di cui 1.150.628 militari. Secondo i dati rivelati dal dissidente russo in esilio Vladimir Osechkin – che si ritiene abbia
una vasta rete di informatori all’interno del sistema carcerario russo – Mosca ha reclutato oltre 100mila detenuti dalle colonie penali per combattere in Ucraina dal febbraio 2022. La portata del reclutamento di prigionieri evidenzia la grave carenza di soldati che il Cremlino sta affrontando, secondo alcuni esperti. Ciò dimostra anche la preferenza di Putin per il personale “usa e getta” piuttosto che per la mobilitazione della popolazione giovane della grandi città, che potrebbe comportare ripercussioni politiche in vista delle elezioni presidenziali fissate per il 17 marzo 2024. I prigionieri reclutati includono assassini e persino un “satanista” condannato per l’uccisione rituale di quattro adolescenti.
Nel 2022 la pace era vicina, ma non se ne fece nulla
Mentre la guerra sul terreno continua a mietere vittime senza grandi avanzamenti da una parte o dall’altra (i russi hanno annunciato che dall’inizio della controffensiva, a giugno 2023, gli ucraini hanno perso oltre 125mila soldati), il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha sostenuto che c’era un accordo per porre fine al conflitto, ma non se ne fece nulla per l’opposizione dell’allora premier britannico Boris Johnson. Parlando a Skopje in un’affollata conferenza stampa a margine del vertice dell’OSCE, Lavrov ha ricordato come alla fine di maggio 2022 a Istanbul, al termine di varie sessioni negoziali, fosse stata raggiunta un’intesa. “Tre sessioni di trattative in Bielorussia, e l’ultima a Istanbul. L’accordo era stato raggiunto, come ha confermato uno dei partecipanti al negoziato per la parte ucraina, David Arakhamija. Poi però arrivò Johnson che disse: “No, dovreste continuare la guerra”, ha affermato Lavrov.
L’Arakhamija nominato da Lavrov, capogruppo nel Parlamento ucraino del partito “Servitore del Popolo” del presidente Zelensky, ha ammesso in un’intervista televisiva che la guerra sarebbe potuta effettivamente finire nella primavera 2022 se l’Ucraina avesse accettato la neutralità. “L’obiettivo della Russia era indurci ad accettare la neutralità, sul modello della Finlandia degli anni scorsi, con la promessa di non aderire alla Nato, e su questo Mosca era pronta a porre fine alla guerra”, ha dichiarato Arakhamija. Alla domanda sul perché Kiev non accettò, il politico ucraino ha risposto affermando che “si sarebbe dovuta modificare la Costituzione ucraina”, e che inoltre “non si fidavano dei russi”.
Sulla decisione negativa di Kiev, sempre secondo Arakhamija, influì al tempo stesso il veto posto da Boris Johnson, che si disse contrario alla firma di un qualsiasi documento di accordo con la Russia e al contempo favorevole a proseguire le ostilità. Nell’incontro con i giornalisti Lavrov, sul quale si sono concentrate buona parte delle attenzioni al summit di Skopje, è poi tornato ad accusare l’Ucraina e i suoi alleati occidentali di non mostrare “alcun segnale di disponibilità per una soluzione politica” del conflitto. Per iniziare un negoziato “si deve essere necessariamente in due, come nel tango”, mentre “dall’altra parte sembra che ballino la breakdance“, ha sostenuto il capo della diplomazia del Cremlino. A rovinare qualunque spiraglio sul “dopo”, sempre secondo Lavrov, contribuisce anche il piano occidentale di installare una base militare americana nel Mar Nero e un’altra britannica nel Mar d’Azov. “Se guardate la mappa potrete capire che si tratta di un qualcosa di inaccettabile per la Russia”.
Al di là delle riforme militari, la guerra si continua a combattere anche a parole. Da un lato il presidente americano Joe Biden spinge il Congresso ad approvare i nuovi fondi per l’Ucraina entro Natale, perché “se Putin vince si rischia il coinvolgimento delle truppe statunitensi”. Dall’altro lato, il Cremlino “spera” che il Congresso americano blocchi i nuovi finanziamenti a Kiev, come sottolineato apertamente dal portavoce Dmitry Peskov, secondo il quale l’amministrazione Usa “demonizza” la Russia per indurre il Congresso ad approvare i nuovi stanziamenti. “Siamo molto dispiaciuti che la leadership americana continui a usare Mosca come strumento nei suoi affari interni”, ha dichiarato ancora Peskov, riferendosi alle dichiarazioni dei vertici americani, secondo i quali la Russia attaccherà la Nato se non sarà sconfitta in Ucraina.
La crisi degli aiuti militari all’Ucraina
Ormai il meccanismo è chiaro e consolidato: l’Ucraina chiede forniture militari sempre più numerose e potenti, l’Occidente le invia col contagocce. Un po’ per l’opinione pubblica stanca e stufa di sentire che i vari governi investono miliardi di euro e dollari nei pacchetti di aiuti a Kiev mentre il caro-vita mangia i risparmi dei cittadini, un po’ perché l’industria soprattutto europea non riesce a stare al passo e di certo non rinuncia a esportare una parte di prodotti bellici verso Paesi che le pagano profumatamente. I ritardi nelle consegne del cosiddetto piano Asap si sono registrati già nelle ultime settimane, e la situazione non migliorerà nel 2024. La Germania, principale polo industriale che produce armi ed equipaggiamenti per Kiev, non ha dubbi: è “molto improbabile che sarà rispettata” la promessa dell’Ue di fornire all’Ucraina entro marzo un milione di munizioni di artiglieria, fondamentali per avere una qualche speranza di piegare a proprio favore le sorti del conflitto.
Nel contesto dell’assegnazione di una nuova tranche di assistenza militare americana all’Ucraina, un’altra notizia è passata abbastanza inosservata. Come riportato da ABC News, sebbene l’Occidente abbia promesso che il supporto a Israele non avrebbe influenzato l’invio di aiuti a Kiev, in realtà la fornitura di colpi da 155 mm è diminuita di quasi il 30%. In effetti, è successo qualcosa che in una situazione del genere non poteva fare a meno di accadere: negli Usa la produzione di munizioni per artiglieria è ancora a un livello che non consente di soddisfare contemporaneamente i bisogni di Israele, Ucraina e i propri.
Tuttavia, anche se il conflitto di Gaza finisse presto, il fabbisogno israeliano di proiettili rimarrà elevato a causa della necessità di rifornire gli arsenali a causa della minaccia di conflitto con Hezbollah (per non parlare dei ribelli Houthi dello Yemen, come avevamo sottolineato qui). Quindi, in ogni caso, Washington dovrà ridurre leggermente l’importo degli aiuti all’Ucraina a favore del suo alleato in Medio Oriente. In queste condizioni, sarà la capacità dei Paesi Nato di aumentare rapidamente la produzione di munizioni che determinerà in gran parte il volume delle forniture militari alle formazioni ucraine. Anche perché l’Ucraina non ha alcuna intenzione di abbandonare la difesa di un solo pezzo del suo territorio, indipendentemente dalle intenzioni degli altri Stati.