Ormai è diventato un mantra quasi svuotato di senso: Israele e Hamas sono vicini a un altro accordo sugli ostaggi. Questione, quella degli ostaggi, che rappresenta una crisi nella crisi che attanaglia il Medio Oriente già da prima del maxi attacco del 7 ottobre.
Ora il Qatar ha annunciato di aver ricevuto “una risposta positiva” da parte dei fondamentalisti della Striscia di Gaza sull’intesa con lo Stato ebraico, sebbene a condizioni estremamente difficili da accettare. Tra queste due appaiono inaccettabili da Tel Aviv: un cessate il fuoco totale e la “fine dell’aggressione” contro i palestinesi. La guerra appare dunque ben lontana dalla sua conclusione, complice anche l’annuncio della morte di almeno 31 ostaggi israeliani sui 136 nelle mani di Hamas.
La proposta di accordo sugli ostaggi israeliani e il ruolo di Usa e Argentina
Hamas ha poi confermato di aver inoltrato a Qatar ed Egitto una risposta alla mediazione di Parigi, orientata anche dagli Usa, “affrontata con spirito positivo”. Il primo ministro del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman Al-Thani, ha insistito sul carattere duratura della fine dei combattimenti richiesta dai miliziani. Passando la palla al Segretario di Stato americano Antony Blinken, giunto nella notte in Israele per presentare le modifiche all’accordo ai funzionari di Tel Aviv.
“C’è ancora molto lavoro da fare, ma continuiamo a credere che un accordo sia possibile, anzi essenziale“, ha detto Blinken parlando da Doha, dopo aver incontrato l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani. Il tour dell’esponente della Casa Bianca in Medio Oriente ha già fatto tappa in Arabia Saudita ed Egitto e proseguirà anche in Cisgiordania.
Se però il Segretario di Stato americano lavora per una de-escalation, il presidente argentino Javier Milei, anch’egli in visita in Israele, alimenta al contrario le tensioni, con un annuncio diramato solo pochi minuti dopo essere atterrato a Tel Aviv. “Il mio piano è quello di spostare l’ambasciata a Gerusalemme ovest“, ha detto al ministro degli Esteri israeliano Israel Katz. Milei ha così di fatto riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele, mossa controversa che rievoca la posizione dell’amministrazione di Donald Trump, che spostò l’ambasciata statunitense da Tel Aviv nel 2018.
La risposta di Israele e il rifiuto del cessate il fuoco permanente
La proposta annunciata dal Qatar non incontra ovviamente i favori di Israele, che esclude ogni possibilità di un cessate il fuoco permanente. Il premier Benjamin Netanyahu ha parlato di “richieste impossibili” e dichiarato che l’offensiva di Gaza proseguirà, nonostante la spinta a smorzare l’intransigenza da parte di Joe Biden. “Le richieste di Hamas sono un po’ oltre, ma ci ragioniamo”, ha replicato il presidente degli Stati Uniti. Sullo stallo diplomatico è intervenuto anche l’ambasciatore israeliano in Italia, Alon Bar, con parole non propriamente distensive. “La mia speranza è che si possa arrivare a un cessate il fuoco e alla liberazione degli ostaggi. Un dialogo fra israeliani e palestinesi è necessario, ma prima bisogna eliminare Hamas. Senza questo passo non si può discutere di orizzonti politici futuri. Ogni soluzione futura non può prescindere dalle garanzie di sicurezza per Israele, quindi bisogna distruggere la capacità militare di Hamas. Loro vogliono continuare ad avere la possibilità di attaccare lo Stato ebraico e non possiamo accettarlo”.
Intanto il New York Times riferisce che i vertici militari israeliani stanno verificando informazioni (non ancora confermate) secondo cui altri 20 ostaggi potrebbero essere essere morti durante la prigionia. Il quotidiano americano ha inoltre pubblicato alcuni video ripresi dai social, in cui si vedono i soldati israeliani a Gaza brindare dopo i raid aerei sulla popolazione palestinese e festeggiare la distruzione degli edifici civili. Comportamenti definiti dallo stesso esercito dello Stato ebraico “deplorevoli” e che potrebbero costituire una violazione della Convenzione di Ginevra.
Il quadro degli scontri è chiuso ancora una volta dai ribelli Houthi. Sul fronte del Mar Rosso, proseguono infatti gli attacchi dei miliziani yemeniti contro le navi in transito. Due mercantili, uno statunitense e uno britannico, sono stati presi di mira nell’arco delle ultime 24 ore. Dal leader degli sciiti dello Yemen, Abdul Malik al-Houthi, è arrivata la nuova minaccia: “Se l’aggressione israeliana a Gaza non si fermerà, continueremo a intensificare le nostre operazioni nel Mar Rosso”.
Geopolitica della guerra in Medio Oriente: cosa rappresentano davvero gli ostaggi
Al di là della vetrina diplomatica, esistono dunque condizioni alle quali nessuna delle due parti è disposta a rinunciare. Come abbiamo già avuto modo di notare, ufficialmente Hamas si è detto “aperto a discutere qualsiasi iniziativa o idea seria e pratica, a condizione che conduca a una cessazione completa dell’aggressione e garantisca il processo di accoglienza per il nostro popolo, la ricostruzione, la revoca dell’assedio e la realizzazione di un serio processo di scambio di prigionieri”. Tradotto: Israele dovrà rinunciare alla gestione di Gaza e di qualsiasi territorio rivendicato dai palestinesi, accettando di mantenere la pace.
La posizione di Hamas è condivisa anche dal Jihad Islamico (in Italia inspiegabilmente declinata al femminile come Jihad Islamica), al quale sono stati affidati diversi ostaggi precedentemente nelle mani dei “colleghi” filo-iraniani. Il capo Ziad Nahaleh ha chiarito incontrovertibilmente che la sua fazione non accetterà intese che prevedano, ancora una volta, scenari diversi da un “cessate il fuoco globale” e il ritiro delle forze israeliane dalla Striscia. D’altronde l’obiettivo tattico dell’Iran, sostenitore dei due gruppi fondamentalisti, è stato ampiamente centrato: colpire Israele militarmente e nel suo status di grande potenza del Medio Oriente, dimostrandone la debolezza ai Paesi arabi che hanno firmato e stavano firmando gli Accordi di Abramo per la normalizzazione dei rapporti diplomatici e istituzionali con Tel Aviv.
Contestualmente, la crisi degli ostaggi rivela la natura della contesa geopolitica che vede contrapposti Usa e Iran, con quest’ultimo che aggira la mediazione occidentale e qatarina rivolgendosi direttamente a Russia e Cina. Dimostrando, dunque, che la soluzione diplomatica prescinde dalla volontà e dalle azioni di Washington. Come nel caso dei due ostaggi di nazionalità russa liberati da Hamas con tanto di negoziati diretti (senza passare dall’onnipresente Qatar) e di omaggio a Vladimir Putin. Allo stesso modo è stato gestito anche il rilascio di altri ostaggi, stavolta per volontà diretta dell’Iran, che finanzia i fondamentalisti della Striscia da anni. Parliamo dei thailandesi liberati dalle prigioni di Gaza, scelti con acuto calcolo in quanto cittadini di un Paese con cui Teheran intende lavorare nell’Indo-Pacifico, sempre in funzione anti-americana.