Tornare al lavoro dopo il cancro: cosa dice la legge, e come affrontare la situazione

Dopo la diagnosi di un tumore, il ritorno nel mondo del lavoro: la situazione in Italia e i diritti sanciti dalla legge

Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Tornare al lavoro dopo il cancro si può, ma occhio a numeri, dati e strumenti utili. La cd. patologia oncologica continua ad essere una delle malattie più pericolose del XXI secolo, come dimostrano anche i più recenti dati che informano di un aumento dei casi nella popolazione più giovane.

Vero è però che oggi di tumore al seno, guarisce la maggioranza delle donne. Questa è la percentuale che emerge dal rapporto più aggiornato, offerto dall’Associazione italiana di oncologia medica e dall’Associazione Registri Tumori (Airtum). Ma attenzione perché, quando si parla di cancro, bisogna distinguere nettamente tra “sopravvivenza” e “guarigione”.

Infatti la sopravvivenza fa riferimento alla percentuale di donne con in cancro, che è in vita dopo un determinato lasso di tempo: di solito 5 e 10 anni dalla diagnosi. Mentre per guarigione, si intende la percentuale di donne che, a seguito della malattia, torna ad avere l’identica aspettativa di vita della popolazione generale. Inoltre, secondo il citato rapporto, in ipotesi di tumore al seno attualmente 88 donne su 100 sono ancora in vita a 5 anni dalla diagnosi e oltre 60 donne su 100 possono considerarsi guarite.

Ma attenzione perché, come ben noto, il cancro si può manifestare in più modi diversi e presenta un’incidenza oggettiva in ambo i sessi, come testimoniato dalla Fondazione Airc per la ricerca sul cancro.

Vediamo insieme alcuni numeri interessanti in materia e cogliamo l’occasione per spiegare come tornare al lavoro dopo aver scoperto di avere il cancro, cosa fare dopo la diagnosi e quali norme di tutela rilevano a favore dei lavoratori e delle lavoratrici.

Lavorare nonostante il tumore, tra maschi o femmine chi è più esposto al rischio

Dati Airc pubblicati nel 2022 indicano cifre degne di considerazione: su oltre 18 milioni di casi nel mondo diagnosticati per 36 distinti tipi di cancro nel 2020 (esclusi i tumori della pelle non melanomi), l’incidenza è stata più alta negli uomini, con 9,3 milioni di casi contro 8,8 milioni nelle donne. Quindi, tendenzialmente, i lavoratori avrebbero un grado di esposizione maggiore a questo grave problema di salute, rispetto alle lavoratrici. Ma la legge, come vedremo tra poco, tutela ambo i sessi con più strumenti di protezione del rapporto di lavoro.

L’Agenzia internazionale per la ricerca contro il cancro ha fornito altri dati interessanti, che ci aiutano a ricostruire il contesto di riferimento. Risalenti al 2022, le informazioni dell’Associazione mostrano che – a livello mondiale – i tre tipi più comuni di cancro sono quello al polmone, alla mammella e al colon-retto.

Ma l’analisi mostra nitidamente come in ben 82 paesi il cancro al seno è stato quello con la maggiore incidenza. Tra questi troviamo Usa, Francia, Germania e anche l’Italia. Mentre secondo dati Airc aggiornati, il tumore alla prostata risulta quello più diffuso nella popolazione maschile italiana. A ciò, come accennato in apertura, vanno aggiunte le statistiche aggiornate che – negli ultimi anni – segnalano il notevole aumento dei casi di tumore tra gli adolescenti e i cd. giovani adulti.

Insomma, quello del tumore è un problema preoccupante ma anche, purtroppo, di non così rara insorgenza nella vita quotidiana. Ecco perché è opportuno parlare degli strumenti previsti dalla legge a protezione del contratto e del rapporto di lavoro.

Grazie alle terapie odierne, il tumore fa meno paura che nel passato e chi ne è colpito, maschio o femmina, può comunque ambire a sopravvivere, guarire e tornare alle attività di tutti i giorni, comprese quelle di ambito professionale. Tuttavia, quella che dopo la diagnosi della malattia dovrebbe essere una cosa quasi consequenziale – il ritorno all’occupazione – si rivela in concreto non così semplice.

Tornare al lavoro dopo il cancro si può, permessi e congedi

Qualche anno fa spiegammo l’importanza di un rapporto dell’Economist Intelligence Unit, commissionato da Pfizer, dal quale emerse che il 22% delle donne che ha avuto un tumore, dopo la malattia perde l’impiego, mentre il 70% denuncia difficoltà di relazione con i colleghi. Insomma, la vita dopo il problema oncologico cambia, è rivoluzionata e talvolta anche i rapporti in ufficio non sono più quelli di prima.

Come accennato sopra, i casi di tumore – specialmente al seno (nel 2022 si sono registrati 55.700 nuovi casi di carcinoma mammario – dati Aiom) o alla prostata – non sono affatto pochi in Italia, e pertanto tra i lavoratori e le lavoratrici urge sapere quali garanzie hanno per il rientro al lavoro, e per agevolare quella riconquista della routine e della normalità, così ambita durante e dopo un periodo molto difficile dal lato sanitario.

In passato indicammo che la Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia, nel 2012, effettuò uno studio, in collaborazione col Censis, utile a tracciare le difficoltà del ritorno all’occupazione. Ebbene, nel corso del lavoro emerse come 274.000 lavoratori guariti dal cancro furono poi licenziati, costretti al prepensionamento o a dare le dimissioni. Una serie di ‘escamotage’ più o meno ai confini delle norme di legge, con cui di fatto i datori di lavoro si ‘sbarazzavano’ di risorse ritenute non più in grado di garantire un buon stato di salute, nonostante la guarigione.

Ma, in realtà, in Italia – come nel resto dell’Europa – chi rientra al lavoro dopo la diagnosi di un tumore, o dopo il tumore, ha numerose tutele e diritti sanciti dalla legge. E può rivolgersi al giudice laddove ritenga che questi ultimi siano stati violati. D’altronde le norme di tutela derivano dall’art. 32 della Costituzione, che assicura protezione al diritto alla salute.

Infatti i malati oncologici, cui è stato riconosciuto lo stato di handicap grave – di fatto la piena inclusione nelle garanzie della legge 104 – usufruiscono di specifiche agevolazioni, come ad es. permessi retribuiti per cure e controlli (attribuiti in ore o giorni).

Al contempo i lavoratori e le lavoratrici subordinate, con un figlio minore malato di cancro, possono fare richiesta di conseguimento di un congedo speciale retribuito. Inoltre, tenuto anche conto di quanto previsto nei singoli Ccnl, i malati oncologici possono compiere visite mediche senza utilizzare ferie o permessi.

Possibilità di cambio mansioni

Le cure contro il tumore possono essere massicce e prevedere una presenza quasi fissa in ospedale. Qualora la situazione migliori e vi sia la possibilità di tornare in ufficio, il lavoratrice o il lavoratore – previa visita medica – potrà essere ritenuto o meno idoneo, allo svolgimento dell’attività lavorativa.

In caso positivo, il dottore dovrà tener conto delle condizioni di lavoro nella struttura, ma anche quello che era stato finora il ruolo specifico della/del dipendete all’interno dell’azienda. In ipotesi di inidoneità, si può trovare un accordo con la parte datoriale, in quanto è diritto del dipendente domandare il cambio di mansione per ragioni di salute. Ove possibile, è obbligo del datore di lavoro accordagli il cambio. Il lavoratore potrà altresì rifiutare mansioni ritenute non più confacenti alla sua situazione di salute.

Trasformazione in part time e agevolazioni assenza per malattia

I lavoratori e le lavoratrici oncologiche altresì possono passare a mansioni più congeniali alla propria condizione fisica o stato di salute e chiedere – ed ottenere – il part-time provvisorio, fino a quando il miglioramento delle condizioni sanitarie non consentirà loro di riprendere il normale orario di lavoro. In ogni caso tali malati avranno libertà di accordarsi con datore, circa gli orari da rispettare. La legge non glielo vieta ed anzi i singoli Ccnl contengono disposizioni di favore a riguardo.

Basti pensare ad es. a quanto previsto dal Ccnl commercio che, in argomento, dispone quanto segue:

Ai sensi dell’articolo 8, comma 3, D.Lgs. n. 81/15, i lavoratori affetti da patologie oncologiche nonché da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti, per i quali residui una ridotta capacità lavorativa, anche a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita, accertata da una commissione medica istituita presso l’azienda unità sanitaria locale territorialmente competente, hanno diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale verticale od orizzontale. Il rapporto di lavoro a tempo parziale deve essere trasformato nuovamente in rapporto di lavoro a tempo pieno a richiesta del lavoratore.

Per completezza ricordiamo anche che, qualora ricorrano patologie gravi, acclarate dalla Asl o da una struttura convenzionata, che impongano terapie salvavita, i lavoratori malati potranno ottenere che non vengano computati nei giorni di assenza per malattia i relativi giorni di ricovero ospedaliero o di day-hospital, ma anche i giorni di assenza dovuti alle terapie summenzionate, senza subire decurtazioni alla retribuzione.

Non solo. Un altro escamotage potrebbe essere quello dell’accordo con il datore di lavoro, per lavorare in regime di smart working (scopri qui la differenza con il telelavoro).

Diritto alla conservazione del posto

Come indicano le norme di legge a tutela di chi contrae malattie anche gravi, i dipendenti hanno diritto alla conservazione del posto di lavoro e di tutte le agevolazioni collegate (spettanza della retribuzione o di un’indennità sostitutiva della stessa, maturazione dell’anzianità, accantonamento delle quote di trattamento di fine rapporto). Inoltre, i malati oncologici in malattia – e dunque assenti dall’ufficio o dal luogo di lavoro – non possono essere licenziati, fino a quando non viene superato il limite massimo di giorni di assenza, previsto dal Ccnl di categoria.

Si tratta del cd. periodo di comporto, che non fa ‘sconti’ neanche a chi soffre di malattie molto gravi come i tumori. In sostanza, se la patologia si protrae a lungo e il numero di giorni di assenza dal lavoro supera il limite massimo consentito nel quadro del periodo di comporto, a quel punto il lavoratore o la lavoratrice – anche se è colpito da tumore – potrà essere legittimamente licenziato dall’azienda. Vero è però che alcuni Ccnl prevedono espressamente l’estensione del comporto per alcune patologie particolarmente gravi, come quelle oncologiche.

Opportuno ricordare che, ai fini della tutela prevista dalla legge, la malattia del cancro dovrà essere quanto prima comunicata al datore di lavoro – e acclarata da opportuno certificato medico. Per questa via sarà possibile ottenere la conservazione del posto di lavoro per un tempo stabilito dalla legge, o dal Ccnl applicato all’azienda in cui il malato o la malata presta la propria attività.

Licenziamento prima della fine del comporto

Da notare che nel periodo di comporto, l’azienda o il datore di lavoro non potrà recedere unilateralmente e dunque licenziare, se non per gravi inadempienze del dipendente stesso (pensiamo ad es. a chi non svolge le terapie previste). Ecco perché, in linea generale, l’assenza per malattia è da considerarsi giustificata e il licenziamento intimato prima della scadenza del periodo di comporto è da considerarsi nullo. Anzi il malato oncologico avrà diritto ad un trattamento economico sostitutivo dello stipendio.

Non solo. In questa fase, l’assenza per malattia con attribuzione di un trattamento economico sarà utile ai fini del TFR e della maturazione di tutti gli istituti contrattuali, come ad es. gli scatti di anzianità o le ferie, ed anche a scopi di contribuzione previdenziale.

Aspettativa non retribuita e fondi di assistenza sanitaria

Inoltre non va dimenticato che i malati possono scavalcare il problema del rientro al lavoro, mettendosi in aspettativa non retribuita se i medici hanno affermato che la malattia potrà protrarsi oltre il termine di comporto. Per questa via, il posto di lavoro dovrà essere conservato secondo le previsioni stabilite dal contratto collettivo applicabile.

Mentre, in caso di licenziamento, il giudice potrà tutelare il lavoratore o la lavoratrice che ha contratto il cancro, dichiarandolo discriminatorio e disponendo sia la reintegra che il pagamento di un’indennità risarcitoria (calcolata in mensilità di retribuzione).

Concludendo, se in passato un lavoratore o una lavoratrice tornava al lavoro un anno e mezzo dopo la guarigione, il progredire della medicina e della terapia consente ora di tornarci dopo sei mesi. Le tutele sono quelle che abbiamo visto sopra e riguardano sia colui che è in malattia sia colui che, pur malato, si reca al lavoro o chiede di passare al tempo parziale o allo smart working.

La cosa importante, perciò, non è rientrare al più presto in ufficio per il timore di perdere il posto. La legge infatti protegge il lavoratore. Sarà opportuno farlo quando si è pronti, per tornare ad una situazione di normalità e per riavere quella dignità che – di frequente – i malati temono di perdere.

Infine se si parla di malati oncologici – e in particolare se la persona in questione sta già avvalendosi dell’aspettativa non retribuita – è utile guardare anche alla copertura economica che può essere garantita dai cd. Fondi di Assistenza Sanitaria Integrativa.

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