Entro quali margini il dipendente può assentarsi dal lavoro, usufruendo dei permessi legge 104? E quali attività sono consentite senza rischiare di violare norme di legge e scavalcare i limiti correlati all’utilizzo di questa agevolazione per caregiver? Si tratta di questioni ricorrenti, su cui la giurisprudenza più volte è intervenuta con illuminanti pronunce, utili a chiarire ulteriormente il quadro normativo e i diritti e i doveri dei lavoratori.
La recente ordinanza della Cassazione n. 24130 fa luce sull’effettiva possibilità del dipendente di non andare al lavoro per accudire il familiare disabile, evitando rischi di abuso del diritto e una violazione delle finalità assistenziali di cui alla legge 104.
Vediamo insieme i contenuti chiave del provvedimento per capire meglio come usare i permessi in oggetto.
Indice
La vicenda
La controversia che qui interessa attiene ad un licenziamento disciplinare annullato nei primi due gradi di giudizio, con la condanna del datore di lavoro alla reintegrazione della lavoratrice ricorrente nel posto di lavoro e al pagamento dell’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, oltre al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali.
In particolare il datore di lavoro avanzava contestazione disciplinare:
- considerando che la lavoratrice era titolare dei permessi ex art. 33 legge 104 allo scopo di assistere la madre, portatrice di handicap;
- addebitandole il fatto di aver svolto solo poche ore al giorno di assistenza alla disabile, contravvenendo alle finalità dei permessi e concretizzando un abuso in grave violazione dei principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto di lavoro.
La corte d’appello confermava la decisione di primo grado, giungendo alla conclusione secondo cui non sussisteva la prova del fatto contestato, essendovi invece prova dell’uso dei permessi conforme alla propria finalità.
Inoltre il magistrato del secondo grado aggiungeva che, una volta dimostrato che i permessi legge 104 erano stati usati in modo legale:
non era possibile per il giudice sindacare il modo in cui l’assistenza sia prestata (per acquisti nell’interesse della persona disabile; presso la residenza del disabile o presso quella della persona dedita all’assistenza, ecc.), né poteva pretendersi che l’assistenza sia svolta nelle stesse ore in cui era svolta l’attività lavorativa (richiamando a riguardo Cass. 54712/2016).
Inoltre la corte aveva ritenuto che non si sarebbe configurato l’abuso del diritto in quanto la lavoratrice si era comunque recata:
per un lasso di tempo del tutto idoneo all’assistenza della disabile, essendovi prova del fatto che la stessa
coabitava con l’altro figlio, le nipoti e la nuora”.
In sostanza, in secondo grado, l’elemento chiave che indica il corretto esercizio del diritto ai permessi legge 104 è stato rappresentato dal nesso di causalità fra la fruizione del permesso e l’attività di assistenza. Secondo la corte d’appello, l’esistenza di tale nesso causale era stata chiaramente dimostrata. Contro la decisione il datore di lavoo fa fatto ricorso in Cassazione.
La decisione della Corte
Allineandosi alle precedenti decisioni, la Corte ha ribadito che i lavoratori hanno diritto di assentarsi dal lavoro per brevi periodi per effettuare attività personali, come ad es. shopping, spesa in mercatini e altri acquisti, senza che questo integri per forza un abuso del diritto o una violazione degli scopi assistenziali di cui alla 104.
Questi i punti chiave dell’ordinanza n. 24130:
- se l’attività collaterale e secondaria all’utilizzo dei permessi legge 104 rimane tale, non ci sono profili di abuso. Nella vicenda era in particolare emerso che la donna aveva fatto acquisti nel tragitto al luogo di assistenza, e aveva comprato capi di abbigliamento ad un mercatino che potevano soddisfare le esigenze dell’assistito;
- la legge 104 non impone espressamente che il dipendente resti presso l’abitazione del familiare assistito per tutta la durata della giornata di lavoro;
- i permessi in oggetto sono stati pensati dal legislatore su base giornaliera. In altre parole, dopo aver assegnato l’agevolazione, il dipendente potrà modulare le ore di assistenza con una certa discrezionalità, senza bisogno di un’assistenza ininterrotta e senza che da questo possa automaticamente dedursi una violazione della legge 104;
- posto che l’assenza dal lavoro deve essere motivata da necessità di cura del familiare, ciò non vieta al dipendente di svolgere attività ‘satellite’, di breve durata e non tali da occupare gran parte della giornata, sempre che queste ultime non si oppongano apertamente gli scopi assistenziali del permesso.
La decisione della Corte (che segue un’altra sullo stesso tema risalente allo scorso luglio) in sostanza protegge i diritti dei lavoratori, consentendo loro di bilanciare le necessità assistenziali con le tipiche attività quotidiane che esulano dall’assistenza diretta al familiare disabile.
Conclusioni
Alla luce dell’ordinanza n. 24130 della Cassazione, al dipendente è riconosciuto il diritto di assentarsi per brevi attività personali, come ad es. le spese personali e lo shopping, senza andare automaticamente incontro ad un abuso del diritto o alla violazione di una delle norme della legge 104. Infatti i magistrati della Suprema Corte ritengono che le regole in materia non impongano la presenza fissa e continuativa del dipendente nel luogo del familiare assistito, per tutta la durata della giornata lavorativa ‘coperta’ dal permesso in oggetto.
Alla luce dei principi enunciati, la Corte ha confermato la legittimità dell’uso del permesso 104 per acquisti personali, se lo shopping non viene svolto per gran parte della giornata: l’attività marginale svolta nella vicenda in questione dalla dipendente non rappresentava infatti un abuso. Ne è così conseguito il rigetto del ricorso presentato dal datore di lavoro e la conferma dell’illegittimità del licenziamento in tronco.
Ricordiamo infine che la decisione rimarca una linea interpretativa chiave, in tema di legge 104: il diritto ai permessi non comporta una rigidità totale nelle modalità di utilizzo delle ore concesse, sempre che l’accudimento del familiare portatore di handicap resti prevalente. Per stabilirlo sarà necessario appurare con chiarezza i fatti contestati.