Uno degli obiettivi a breve termine del Governo Meloni è senza dubbio quello di trattare con l’Ue sulla ratifica del Patto di Stabilità e del MES (come abbiamo spiegato anche qui). Una sfida non semplice, forse una delle più ardue dai tempi dell’insediamento, che punta a evitare un eventuale ritorno all’austerity, come paventato da diversi politici e addetti ai lavori (torna lo spettro della recessione: cosa rischiamo in Italia).
Cosa rischia e a cosa punta l’Italia
L’Italia vuole a tutti i costi scongiurare il “veto” di Germania dei falchi in ambito comunitario, godendo di “buoni margini di manovra su tutti i fronti”. Almeno a quanto sostiene il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, motivato però a escludere l’ipotesi austerità dal tavolo. La maggioranza di centrodestra non potrebbe mai accettare un ritorno alle maglie, considerate strettissime, cuciteci addosso dopo lo scoppio della crisi del 2007-2008. Il fine ultimo è provare a strappare condizioni migliori in Europa sulle regole della nuova governance ed eventualmente anche sul fondo sovrano anti-inflazione al vaglio degli Stati membri.
Senza dubbio i dossier di politica economica sul tavolo della Commissione europea rischiano di penalizzare il nostro Paese: parliamo di MES, PNRR e Patto di Stabilità. Bruxelles chiede a Roma di ratificare il nuovo meccanismo di stabilità europeo, come già operato da altri Stati. Il Governo Meloni sembra però intenzionato a opporsi alla ratifica, sebbene l’ok da parte del Parlamento non implichi necessariamente la richiesta dei fondi europei in questione. Il rebus è però un po’ più complicato di così.
Di fatto, l’Ue spinge l’Italia a indebitarsi il più possibile, attingendo ai fondi del PNRR anche con tassi di prestito oltremodo “rischiosi”, sicuramente più salati rispetto all’anno scorso. Lo stesso schema vale per il MES, una volta ratificato. Ma è forse il Patto di Stabilità a provocare gli incubi più agitati a breve termine.
Il nodo del Patto di Stabilità
La bozza del Patto di Stabilità in discussione in ambito Ue prevede linee di austerity che, se approvate, imporrebbero nel 2024 all’Italia di intervenire pesantemente per ridurre deficit e debito, rispettando severi paletti. Il tutto su spinta di Stati come Germania e Paesi Bassi, promotori di un modus operandi più rigoroso e stringente in ambito economico comunitario.
La contraddizione e il rischio sono evidenti: da un lato la spinta a indebitarsi il più possibile, dall’altro la certezza di essere colpiti perché si ha un debito eccessivo. Per questo l’Italia ha chiesto di modificare la materia del Patto di Stabilità, sebbene anche questa mossa sia mal tollerata da Commissione e mercati. Secondo il ministro Giorgetti, c’è margine di trattativa perché “la richiesta di un trattamento diversificato per gli investimenti ha una ragione logica inoppugnabile“.
Se la spesa in conto capitale per la transizione energetica e digitale crea sviluppo, come certificato dal PNRR, e se uno degli obiettivi richiesti è la crescita, “è logico che le regole fiscali europee trattino questi investimenti in modo diverso da quello che si può applicare a voci meno produttive, come ad esempio il pubblico impiego o le pensioni” (ecco tutti gli scenari legati al PNRR).
Come sta l’economia italiana?
A sostegno della sua visione ottimistica, Giorgetti ha citati dati positivi sulla tenuta dell’economia italiana. Secondo l’Istat, nel primo trimestre 2023 si è registrata una crescita del Pil allo 0,5%, che potrebbe arrivare a +1,8% su base annuale. Previsioni che, secondo il titolare dell’Economia, “consentono margini di manovra per nuovi interventi in autunno contro quella che speriamo sia la coda dell’effetto inflazione sui beni energetici e sui prezzi in generale”.
In definitiva l’auspicio è che, “giunti a questo punto, ci sia da gestire solo la coda di una fiammata inflattiva ora in contrazione, che però impatta su tutti i prezzi dei beni di consumo e non solo su quelli energetici”.